Il direttore editoriale di Libero rinviato a giudizio insieme al responsabile Senaldi con l'accusa di diffamazione aggravata.
«Molti ricorderanno un “raffinatissimo” titolo che mi dedicò oltre due anni fa il quotidiano Libero, “La patata bollente”, ed un articolo di Feltri condito dai più beceri insulti volgari, sessisti rivolti alla mia persona: nessun diritto di cronaca esercitato né di critica politica… semplicemente parole vomitevoli», ha scritto su Facebook la sindaca di Roma Virginia Raggi, annunciando che il Gup di Catania «accogliendo la richiesta della procura, ha disposto il rinvio a giudizio per il direttore Vittorio Feltri per diffamazione aggravata».
L’ACCUSA È DI DIFFAMAZIONE AGGRAVATA
«Avevo annunciato che avrei querelato il giornale e i suoi responsabili per diffamazione. L’ho fatto», ha spiegato la sindaca Raggi sul Facebook, «e oggi voglio darvi un aggiornamento: mi sono costituita parte civile ed il Gup di Catania ieri, accogliendo la richiesta della procura, ha disposto il rinvio a giudizio per il direttore Vittorio Feltri e per il direttore responsabile Pietro Senaldi. Andranno a processo per rispondere di diffamazione aggravata».
«VITTORIA PER TUTTE LE DONNE»
«È un primo importante risultato. Non tanto per me, ma per tutte le donne e tutti gli uomini che non si rassegnano a un clima maschilista, a una retorica fatta di insulti o di squallida ironia», continua la sindaca di Roma, «e il mio pensiero va a tutti coloro, donne e uomini, che hanno subito violenze favorite proprio da quel clima. Gli pseudo-intellettuali, i politici e alcuni giornalisti che fanno da megafono ai peggiori luoghi comuni, nella speranza di vendere qualche copia o conquistare qualche voto in più, arrivano persino a infangare la memoria di figure istituzionali come Nilde Iotti o a insultare le donne emiliane e romagnole. Patata bollente e tubero incandescente mi scrivevano..io non dimentico… vediamo come finisce in Tribunale questa vicenda».
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Collocata nel palinsesto 2020 sul secondo canale la trasmissione ideata negli Anni 70 dallo storico direttore generale. Ora la figlia Simona ha convinto l'attuale ad dopo i no di Gubitosi, Campo Dall'Orto e Orfeo. Arriva dunque l'ennesimo programma sulla salute.
La Rai del cambiamento che a detta di presidente e amministratore delegato dovrebbe cambiare linguaggi, contenuti editoriali e modalità di fruizione, sta decidendo in queste ore per un ritorno al passato. L’idea è quella di riprogrammare Check-up, una famosa trasmissione ideata negli Anni 70 da Biagio Agnes che è stato per lungo tempo direttore generale a Viale Mazzini.
SU RAIDUE NEL PERIODO FEBBRAIO-MARZO 2020
Perciò si sta lavorando per trovargli una collocazione in palinsesto e, salvo sorprese, l’ipotesi è che la nuova edizione di Check-up possa essere inserita nella programmazione di RaiDue nel periodo febbraio-marzo 2020.
PRESSING ASFISSIANTE PER IL FORMAT
Simona Agnes, figlia di Biagio, e presidente della fondazione che porta il nome del padre, aveva già tentato più volte in passato di riproporre il format ricevendo sempre un cortese quanto fermo no da parte degli ultimi tre direttori generali della tivù pubblica, ossia Luigi Gubitosi, Antonio Campo Dall’Orto e Mario Orfeo.
UNA MIRIADE DI PROGRAMMI SULLA SALUTE
Invece con Fabrizio Salini è riuscita nell’impresa, avendo anche trovato una buona sponda in un consigliere del consiglio di amministrazione. L’attuale ad, dopo una serie di riunioni operative che hanno visto coinvolte alcune direzioni, avrebbe dato semaforo verde. L’appalto è esterno, visto che il nuovo Check-up sarà un prodotto fornito chiavi in mano da una società della Agnes. E andrà ad aggiungersi alla miriade di programmi sulla salute che già esistono nei palinsesti delle tre reti.
SULLA RETE DI CUI SALINI È DIRETTORE AD INTERIM
Unica novità rispetto all’originale che andava in onda sul primo canale, per il nuovo Check-up è stata scelta RaiDue, la rete di cui dopo l’uscita di Carlo Freccero l’ad Salini è direttore ad interim.
Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.
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L'attivista svedese che si batte contro i cambiamenti climatici è la più giovane a essere finita sulla copertina della celebre rivista americana.
L’attivista Greta Thunberg è stata scelta da Time come persona dell’anno 2019. La 16enne svedese che si batte contro i cambiamenti climatici ha conquistato la copertina del numero di dicembre, assegnata dal 1927 alla persona che secondo la rivista ha segnato l’anno in maniera indelebile, nel bene o nel male. Greta ha battuto il presidente Donald Trump, la speaker della Camera Nancy Pelosi, la ‘talpa’ che ha messo in moto la procedura per l’impeachment contro il presidente e i manifestanti di Hong Kong. È la più giovane Persona dell’Anno di Time.
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L'attivista svedese che si batte contro i cambiamenti climatici è la più giovane a essere finita sulla copertina della celebre rivista americana.
L’attivista Greta Thunberg è stata scelta da Time come persona dell’anno 2019. La 16enne svedese che si batte contro i cambiamenti climatici ha conquistato la copertina del numero di dicembre, assegnata dal 1927 alla persona che secondo la rivista ha segnato l’anno in maniera indelebile, nel bene o nel male. Greta ha battuto il presidente Donald Trump, la speaker della Camera Nancy Pelosi, la ‘talpa’ che ha messo in moto la procedura per l’impeachment contro il presidente e i manifestanti di Hong Kong. È la più giovane Persona dell’Anno di Time.
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L'addio dopo l'ultimo taglio dei compensi: «Il sistema deve creare condizioni di sostenibilità». Scarse tutele dei collaboratori, frettolosità per gareggiare coi social, informazione sempre più scadente: intervista sui mali di un settore in crisi.
Rinunciare a una collaborazione importante e prestigiosa per una questione di principio. Barbara D’Amico ha detto basta. Quando il Corriere della sera le ha tagliato il compenso per articolo per la seconda volta nel giro di poco tempo, ha deciso di dire addio, motivando la sua scelta con un lunghissimo thread sul suo profilo Twitter.
Non una questione meramente economica, tutt’altro. Perché sì, prendere 15 euro lordi a pezzo quando prima erano 40 è «lavorare quasi gratis», ma ciò che le ha fatto perdere la pazienza è stata l’assenza di comunicazione. Non le hanno detto nulla, l’ha scoperto ancora una volta a cose fatte, ad articoli scritti e pubblicati, all’atto di emettere la fattura.
«LA MIA È UNA STORIA DI LIBERA SCELTA»
Una storia fin troppo comune, ma nei suoi tweet non troverete mai la parola “sfruttamento”. «Sono una vera partita Iva, non una falsa, non ho il giornale che mi ha sfruttato per anni. La mia è una storia di libera scelta. Io ho detto “se non vi potete più permettere di finanziare il progetto non è un problema, basta che me lo diciate”».
DOMANDA. La vita del freelance è dura. RISPOSTA. Sì, ma chiariamolo, il lavoro autonomo non è una cosa brutta, cattiva, che non va scelta. Anzi, io sono orgogliosa di essere freelance e voglio continuare a esserlo. Bisogna però capirsi sulla sostenibilità.
In che senso? La mattina mi sveglio e devo fare io le proposte. Oppure vengo chiamata per fare il mio lavoro. Va bene, bisogna però intendersi sui tempi e le modalità. Se si è chiari fin dall’inizio va benissimo, poi può certamente capitare l’elemento esterno che cambia le carte in tavola, ma non deve mai mancare il rapporto di rispetto reciproco. Anche comunicare come sono messe le cose è una forma di rispetto del lavoro altrui.
Invece a volte questo rispetto viene meno. Sì, e io ho deciso di fare la mia parte con un gesto di responsabilità e simbolico: quello di interrompere la collaborazione.
Perché l’ha fatto? Perché questo è un settore che si deve rendere conto che se ha bisogno di certe figure deve creare delle condizioni di sostenibilità.
Molti colleghi freelance sono nella stessa situazione ma non hanno il coraggio di dirlo
E come è andata? Bene. Ho
avuto una grande risposta, messaggi di colleghi freelance che mi
ringraziano perché sono nella stessa situazione ma non hanno il
coraggio di dirlo e tanti colleghi anche delle redazioni internet che
riconoscono lo stato delle cose. So che non è che da domani
alzeranno i compensi o cambieranno le cose, ma ho cercato di avviare
una riflessione.
Di chi è la colpa della situazione
attuale? Su Twitter i sovranisti dicono che è colpa
dell’euro, della svalutazione dei salari, tutte cose che non
c’entrano niente.
E allora dov’è il problema? È un problema di cultura del lavoro. Noi abbiamo un impianto normativo molto completo in Italia che già dovrebbe tutelare il lavoro, ma nella pratica non viene applicato e per farlo applicare bisogna andare in causa. E non credo che sia sempre lo strumento migliore, sebbene a volte sia indispensabile. Serve concertazione di tutti, corpi intermedi, aziende, editori, sedersi su un tavolo e capire cosa si vuole fare da grandi. Perché se l’informazione cala di qualità ci vanno a perdere tutti.
Se nessuno inizia a prendere delle responsabilità interne e continua a dare colpe esterne all’euro o a internet, non si va da nessuna parte
La colpa è solo degli editori? No,
tutta la filiera è colpita. Il punto vero è che se nessuno inizia a
prendere delle responsabilità interne e continua a dare colpe
esterne all’euro o a internet, non si va da nessuna parte. Bisogna
capire quali sono le disfunzionalità e agire.
I giornalisti freelance che responsabilità hanno? Quella di dire sì incondizionatamente a chiunque. Non c’è niente di male nel collaborare a pezzo, ma attenzione a prestarsi sempre e comunque. Ogni tanto se uno dice no, non succede niente e magari arrivano altre proposte.
A lei è successo? Sì. Ho ricevuto più proposte di lavoro negli ultimi due giorni che in sei mesi. Ci può essere una via d’uscita.
I sindacati tutelano più i giornalisti dipendenti che i freelance? Occupandomi di lavoro ho potuto vedere come lavorano i sindacati. La verità è che per tutelare chi è dentro ci sono gli strumenti, per chi è fuori sono molto più scarsi. Il lavoro autonomo non è regolato perché poggia su dei presupposti che sono in parte diversi, anche se le tutele dovrebbero essere uguali per tutti i lavoratori.
A oggi l’unica forma di tutela è una forma di rispetto reciproco, anche se mi rendo conto che sia utopico
E così ancora non è. È quello che si sta cercando di fare con lo Statuto del lavoro autonomo, che non sarà forte come lo Statuto dei lavoratori del 1970 ma è un primo passo. Sarebbe bello avere uno strumento che non mi costringa a scegliere tra il lavoro e la mia salute quando mi ammalo, e si sta andando in quella direzione. A oggi l’unica forma di tutela è una forma di rispetto reciproco, anche se mi rendo conto che sia utopico.
E come si può migliorare la situazione? Faccio un esempio. Per i rider, in Belgio, c’è una cooperativa che si chiama Smart che è andata dai grandi player del food delivery e ha detto che avrebbe contrattualizzato lei i rider. Le aziende avrebbero mantenuto il pagamento a consegna lasciando una piccola percentuale alla cooperativa per la previdenza e tutele. Questo modello è una strada. Ci sono anche oggettivi mutamenti di mercato che riguardano l’editoria, coi social e internet che stanno cambiando il contesto, bisogna saper affrontare dotandosi di strumenti.
Si parla tanto di equo compenso, si era anche raggiunto un accordo tempo fa. Dirò una cosa un po’ forte, ma secondo me l’equo compenso è già uno strumento un po’ superato, andava fatto tempo fa. Oggi il mondo si muove velocemente e non è più un problema di equo compenso. Non è inutile del tutto, sia chiaro, ci sono colleghi che prendono 2 o 3 euro al pezzo, ma il rischio è che nel momento in cui lo fai urti il sistema di formazione del prezzo e rischia di diventare un tetto salariale, non un minimo.
È proprio stupido pagare a pezzo. Noi non scriviamo e basta, noi ricerchiamo e verifichiamo. Il compenso deve essere fatto sul servizio
E cosa si dovrebbe fare? Coinvolgere
esperti di settore nella discussione per valutare pro ed effetti
collaterali, come si sta facendo col salario minimo, che potrebbe
fare da modello. Che poi il problema è alla base, è proprio stupido
pagare a pezzo. Noi non scriviamo e basta, quello è l’ultimo step di
un processo più lungo. Noi ricerchiamo e verifichiamo. Il compenso
deve essere fatto sul servizio, non a pezzo.
Si dice che manchino i lettori e che il settore sia in crisi per questo. Che ne pensa? Per me il lettore non ha colpe ed è imbarazzante dargliene. Anzi, la domanda di informazione è cresciuta, aziende come Facebook e Twitter ci campano sopra.
E allora cosa è successo? Che il settore giornalistico si è azzoppato da solo perché in molti casi ha abdicato al metodo giornalistico. Il lavoro del giornalista non è pubblicare cose, ma verificarle. Andare a rompere le scatole alla fonte, prendere informazioni, incrociarle, ricostruire i fatti.
Il giornalismo ha l’ansia di arrivare prima di uno strumento che non si può battere in velocità, quello dei social network
Una
cosa che si fa sempre meno. Perché
il giornalismo ha avuto paura di Twitter e dei social e, all’inizio
comprensibilmente, ha cominciato a scimmiottare la comunicazione
social per l’ansia di arrivare prima di uno strumento che non si può
battere in velocità. Si è prodotta un’informazione di scarsa
qualità, frettolosa. Ma se è lo stesso tipo di informazione che si
trova gratis online, perché il lettore dovrebbe pagarla?
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L'intervista non ancora trasmessa fatta dall'ex giornalista del Tg1 ora a capo di Rai Com al presidente siriano e il successivo ultimatum di Damasco sulla messa in onda imbarazza Viale Mazzini. Per l'ad non c'era alcuna data concordata. Ma la sua posizione traballa dopo la figuraccia. L'Usigrai: «In gioco la credibilità dell'azienda». Irritato il presidente Foa.
Il caso Bashar al Assad è scoppiato in casa Rai, suscitando imbarazzi, tensioni e irritazione ai vertici. La vicenda ha aperto una tale crisi all’interno dell’azienda che in Viale Mazzini si aspettano persino che voli qualche testa, anche molto in alto. Ma cosa è accaduto?
Monica Maggioni, amministratrice delegata di Rai Com, ha realizzato un’intervista al presidente siriano. Ma il colloquio non è ancora stato trasmesso dalla Rai. Nella tarda serata di sabato 7 dicembre è arrivato via Facebook l’ultimatum del governo di Damasco: se Viale Mazzini non dovesse mandare in onda entro lunedì 9 dicembre l’intervista, che avrebbe dovuto essere «trasmessa il 2 dicembre su Rainews 24», allora i siriani sarebbero pronti a programmarla sui media del Paese, senza la contemporaneità prevista dagli accordi.
Secondo la versione di Damasco RaiNews 24 ha chiesto di posticipare la messa in onda «senza ulteriori spiegazioni». Poi sono seguiti, sempre stando all’ufficio stampa della presidenza Assad, altri due rinvii. Per i siriani insomma «questo è un ulteriore esempio dei tentativi occidentali di nascondere la verità sulla situazione in Siria e sulle sue conseguenze sull’Europa e nell’arena internazionale».
L’amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini, si è ritrovato al centro della delicata questione senza sapere come comportarsi: prendere provvedimenti o concordare con la Maggioni una linea che tutelasse la Rai dalla figuraccia? La sua è una delle posizioni che traballano, e alla fine in una nota ha provato a rimediare così: «L’intervista non è stata effettuata su commissione di alcuna testata Rai. Pertanto non poteva venire concordata a priori una data di messa in onda».
A quanto è trapelato, Salini sarebbe stato informato che la Maggioni, già inviata di punta del Tg1, ex direttore di Rainew24 ed ex presidente Rai, aveva la possibilità di effettuare l’intervista ad Assad e che sarebbe andata a realizzarla in qualità di ad di Rai Com. Il colloquio sarebbe stato poi proposto ad alcune testate della Rai, che tuttavia non lo avrebbero trasmesso rivendicando la professionalità dei propri giornalisti. E quindi l’impasse ha provocato la reazione del governo siriano. Che ora pare aver fissato la messa in onda per la serata di lunedì.
L’esecutivo Usigrai, il sindacato dei giornalisti di Viale Mazzini, ha commentato così: «Chiarito che né Rainews24 né alcuna altra testata della Rai ha commissionato l’intervista al presidente della Siria Assad, né quindi ha preso impegni a trasmetterla, chi ha assunto accordi con la presidenza della Siria per conto della Rai? E perché? Fermo restando che non si può cedere ad alcun ultimatum da parte di nessuno, men che meno da parte del capo dello Stato di un Paese straniero, siamo di fronte a una vicenda imbarazzante».
Per l’Usigrai «la Rai deve fare chiarezza con urgenza e individuare le responsabilità. Senza alcun tentennamento. Questa volta è in gioco l’autorevolezza della Rai, la credibilità internazionale sua e dell’Italia».
Anche il presidente della Rai, Marcello Foa, non ha preso bene l’accaduto, manifestando forte irritazione per non essere stato informato dell’intenzione di intervistare Assad e tanto meno dei successivi sviluppi e delle decisioni via via assunte in azienda riguardo alla gestione dell’intervista. Secondo quanto è trapelato, è ferma la volontà del presidente di ottenere spiegazioni e fare quindi chiarezza sull’intera vicenda.
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Viale Mazzini ne avrebbe rinviato più volte la trasmissione senza spiegazione. L'ufficio stampa della presidenza siriana dà fino al 9 dicembre. Poi la diffonderà sui media locali.
Meno di 48 ore. Se la Rai non manderà in onda entro lunedì 9 dicembre l’intervista realizzata da Monica Maggioni al presidente siriano Bashar al Assad, che doveva essere trasmessa il 2 dicembre scorso, Damasco programmerà sui media del Paese il colloquio senza la contemporaneità prevista dagli accordi. Lo rende noto l’Agi.
L’ACCORDO CON DAMASCO
«Il 26 novembre 2019, il presidente al-Assad ha rilasciato un’intervista alla Ceo di RaiCom, Monica Maggioni», ha scritto l’ufficio stampa della presidenza siriana in una nota pubblicata su Facebook in cui spiega i termini dell’accordo. «Si è convenuto che l’intervista sarebbe andata in onda il 2 dicembre su Rai News 24 e sui media nazionali siriani». Così però non è andata. Il 2 dicembre RaiNews24 ha chiesto di posticipare la messa in onda senza, stando alla versione di Damasco, ulteriori spiegazioni. A questo sono seguiti, sempre secondo l’ufficio stampa della presidenza siriana, altri due rinvii. «Questo», conclude la nota, «è un ulteriore esempio dei tentativi occidentali di nascondere la verità sulla situazione in Siria e sulle sue conseguenze sull’Europa e nell’arena internazionale». Così è scattato l’ultimatum: o l’intervista va in onda oppure la presidenza siriana la trasmetterà alle 21 di lunedì.
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Davanti alle nuove sfide dovute alla digitalizzazione occorre mettere in piedi sinergie solide tra pubbliche relazioni, giornalisti e leader. Solo così sarà possibile consolidare la corporate reputation.
Le aspettative della società nei confronti del business, delle aziende e dei leader sono in costante aumento.
In un contesto sfidante dove emergono tematiche quali quelle ambientali, della crisi economica e della digitalizzazione è sempre più facile comunicare la propria opinione e parlare alle persone attraverso l’uso delle tecnologie.
In particolare, l’utilizzo di queste ha permesso lo sviluppo della comunicazione disintermediata, quel tipo di comunicazione tramite la quale vengono eliminati i filtri e i corpi intermedi. Questo modo di comunicare aiuta a mantenere vivo il rapporto con la propria platea e a garantire contatti con nuovi soggetti.
ESPORSI SU TEMATICHE CRUCIALI AIUTA A MANTENERE CREDIBILITÀ
In un mondo così complesso, dunque, esporsi in tempo reale su tematiche cruciali per il proprio business è necessario per ottenere e mantenere una certa credibilità. Attraverso genuini scambi di opinione su social, siti web e piattaforme dedicate, è possibile trasmettere i valori della propria azienda alla luce degli obiettivi che questa si è prefissa di perseguire. Mission, vision e valori sono elementi imprescindibili per garantire un buon andamento dell’attività e rappresentano un faro per le attività di comunicazione. La comunicazione è, dunque, uno degli strumenti chiave per la gestione della reputazione ed è una leva di successo per le performance di business, in grado di creare una profonda cultura di impresa. Per questi motivi, anche per i leader di grandi aziende, la comunicazione e il ruolo dei comunicatori sta diventando sempre più centrale.
LA SFIDUCIA NEI PROFESSIONISTI NELL’ERA DELLA DISINTERMEDIAZIONE
Nonostante il ruolo cruciale che la comunicazione riveste per il business e per il funzionamento di grandi e medie aziende, il ruolo dei comunicatori professionisti sembra sperimentare una profonda crisi. Secondo quanto riportato nel rapporto Euprera (European Public Relations Education and Research Association) realizzato in Germania, Italia e Regno Unito dalla Leipzig University, la Leeds Beckett University e lo Iulm sul livello di fiducia nei confronti dei professionisti della comunicazione, la popolazione generale ha una forte diffidenza. Questo è dovuto, in particolare, alle percezioni confuse sugli obiettivi e le attività di pubbliche relazioni da parte della popolazione. Non è un caso, dunque, che il 50% degli intervistati sia indifferente alle attività di pubbliche relazioni e il 38% degli intervistati non abbia fiducia nei confronti di chi fa attività di pubbliche relazioni. Questi dati risultano essere in forte contrasto con la percezione che i professionisti della comunicazione hanno di se stessi: ritengono di ottenere il 55% della fiducia, mentre in realtà arrivano a sfiorare solo il 12%. L’unico modo per affrontare questa situazione critica risiede, dunque, nello sviluppo di sinergie solide tra pubbliche relazioni, giornalisti, leader e comunicatori.
QUALE FUTURO PER I LEADER E I COMUNICATORI?
Come ho scritto nel mio ultimo libro Comunicazione integrata e reputation Management, edito dalla Luiss University Press, populismi, cambiamenti climatici, demografici e digitalizzazione stanno influenzando e impatteranno sempre più sul nostro modo di vivere, lavorare e comunicare. I nuovi sistemi di comunicazione sfidano i divari geografici e temporali accorciando le distanze, disintermediando e, allo stesso tempo, accrescendo problemi relativi a reputazione e credibilità. La comunicazione integrata, come ho scritto e ripetuto più volte nel libro, può rispondere a questi problemi, definendo un filo logico in cui gli strumenti comunicativi e le tecniche impiegate in ciascuna delle aree di comunicazione siano allineati con la strategia complessiva dell’impresa. Solo in questo modo sarà garantita la possibilità di far leva sulle tecniche di comunicazione per consolidare la corporate reputation e conseguire una posizione distintiva rispetto ai concorrenti in un orizzonte di lungo termine. Infine, se questa strategia viene accompagnata da una elevata dose di empatia, risulterà certamente vincente, come dimostrato dai risultati della ricerca pubblicata questo mese sul McKinsey Quarterly, basati su sondaggi e interviste con un gruppo di borsisti di Ashoka, una delle comunità di imprenditori sociali più importanti al mondo.
*Professore di Strategie di Comunicazione, Luiss, Roma
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La società svedese diventa content partner della compagnia cinese. «Il nostro obiettivo è di fare appassionare le giovani generazioni alla lettura di notizie di qualità e allo stesso tempo aiutare le testate giornalistiche ad acquisire più traffico e più ricavi», ha commentato il Ceo Johan Otelius.
Squid, società media-tech di Stoccolma, sarà content partner per il newsfeed in Huawei Browser e Huawei Assistant. Agli utenti verrà fornito un feed consigliato con notizie provenienti da diverse categorie e da una varietà di editori. «Siamo entusiasti che Huawei ci abbia scelto come partner per offrire ai suoi utenti le notizie di attualità più interessanti», ha commentato Johan Othelius, Ceo e fondatore di Squid App. «Il nostro obiettivo è di fare appassionare le giovani generazioni alla lettura di notizie di qualità e allo stesso tempo aiutare le testate giornalistiche ad acquisire più traffico e più ricavi». Squid App offre agli utenti Huawei notizie in 35 lingue e permette ai lettori di personalizzare il proprio newsfeed. L’obiettivo è di aprire le porte dei millennial, soprattutto in Europa e America Latina, a un mondo di notizie dalle fonti più autorevoli.
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