Come si arrivò all’abolizione della leva obbligatoria 15 anni fa

Nel 2005 venne congelata la naja, con le ultime cartoline inviate verso la fine del 2004. L'ex ministro Martino: «Decisione inevitabile, serviva un esercito di professionisti».

Le ultime cartoline di “chiamata alle armi” sono partite nel 2004, per i ragazzi nati nel 1985, convocati per i tre giorni di visita medica e attitudinale. Gli idonei si sono presentanti a dicembre nelle caserme di Chieti, Firenze e Sulmona. Poi, dal primo gennaio del 2005, la naja è stata accantonata e da 15 anni le forze armate italiane, come quelle di molti altri Paesi europei, arruolano esclusivamente militari professionisti, persone che hanno scelto quella carriera su base volontaria.

UN PROVVEDIMENTO CONGELATO MA NON ABOLITO

La “legge Martino” ha sospeso la leva obbligatoria, che per quasi 144 anni ha costretto a un periodo di formazione militare tante generazioni, da un lato agevolando l’integrazione linguistica e consentendo di conoscere il Paese, dall’altro comportando, per molti, un’imposizione contro la libertà e i principi personali. Negli anni sono stati oltre 1.400 i condannati in via definitiva per aver saltato l’obbligo del servizio militare. La legge approvata nel luglio 2004 tecnicamente non ha previsto l’abolizione della naja, per la quale servirebbe una modifica costituzionale, ma l’ha congelata. Sospesa. E di conseguenza ha anche fatto decadere l’anno di servizio civile obbligatorio per gli obiettori di coscienza, istituito a partire dal 1972.

MARTINO: «SUPERARE L’ESERCITO DI LEVA»

«La sospensione della leva», ha detto l’ex ministro della Difesa Antonio Martino, che fu fautore della legge, «era importante per due ragioni: faceva perdere un anno di tempo ai giovani nel momento più importante della loro vita, quando terminati gli studi dovevano trovare un lavoro, e non rafforzava le forze armate, la cui attività prevalente è nelle missioni all’esterno, per le quali sono necessari dei professionisti bene addestrati». L’impiego dei militati di leva negli anni di piombo contro il terrorismo «fu una risposta estrema a un problema estremo». Così come oggi, quando si invoca l’utilizzo dell’esercito per l’ordine pubblico, «sono sempre dell’idea», ha osservato Martino, «che il lavoro di polizia lo debbano fare le forze di polizia».

COM’È CAMBIATO L’ESERCITO DOPO IL 2005

La legge che porta il suo nome fu approvata con i voti della Casa delle libertà e del centrosinistra e ha anticipato di due anni la professionalizzazione delle forze armate, che inizialmente era prevista a partire dal 2007. «Il percorso parlamentare fu agevole», ha continuato l’ex ministro, perché i tempi erano ormai maturi: «Gli unici ad opporsi erano rimasti gli alpini. Mi limitati ad anticipare un percorso iniziato dal ministro della Difesa Sergio Mattarella, che aveva già previsto la fine della leva. Non ci furono obiezioni da parte delle forze politiche, tranne che da qualche nostalgico del servizio militare». Nel giro di cinque anni le forze armate cambiarono volto: prima l’ingresso delle donne, poi la fine della leva obbligatoria. «Devo dire che ero molto preoccupato per l’ingresso delle donne nelle caserme. In realtà mi sono ricreduto, tranne qualche episodio nella norma, non è successo niente che abbia confermato le preoccupazioni. L’unico caso di mobbing di cui mi sono trovato ad occupare non è stato di un uomo nei confronti di una donna, ma di una donna nei confronti di un uomo. Il sesso ‘forte’, per così dire, ha dimostrato di essere quello femminile».

GLI ULTIMI TENTATIVI DI RIPRISTINO

La tentazione di ripristinare una forma di servizio militare periodicamente si riaffaccia nel dibattito politico. Nel marzo scorso la Camera ha dato il primo ok alla mini-naja: un reclutamento volontario e non retribuito di cui si parla da tanti anni, che impegnerebbe i giovani diplomati tra i 18 e i 22 anni per sei mesi. «Secondo me è un progetto sbagliato», ha concluso Martino, «perché in sei mesi i ragazzi non possono fare nulla di utile né per se stessi né per le forze armate».

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Germania, la chiamata alle armi della delfina di Merkel

Le celebrazioni per il compleanno della Bundeswehr. Il riarmo. Il pressing sul parlamento per più missioni all’estero. Un Consiglio nazionale di sicurezza. Così Kramp-Karrenbauer strizza l'occhio al militarismo.

Giusto qualche anno fa, nel 2015, l’esercito della Germania faceva notizia per imbracciare manici di scopa tinti di nero al posto dei fucili nelle esercitazioni della Nato, tanto era sguarnito. Per i training, al posto dei blindati si usavano alla bisogna dei furgoni Mercedes. Lo sgomento era così forte che qualcuno, tra i graduati, cominciò a inviare rapporti riservati a riguardo alla tivù pubblica tedesca (Ard). Un vento radicalmente cambiato dall’arrivo Annegret Kramp-Karrenbauer in capo alla Difesa, o quantomeno la delfina di Angela Merkel vorrebbe che cambiasse al più presto: per i 64 anni dalla nascita, il 12 novembre del 1955, della Bundeswehr ha dato ordine a tutti i governatori di festeggiare il «compleanno dell’esercito con parate di giuramento in tutti i Land». «All’aperto», senza vergogna, guai a ripararsi dentro le caserme.

LA PARATA A BERLINO

A Berlino il giuramento di 400 reclute è andato in scena ieratico nel grande campo davanti al Reichstag. Una cerimonia del genere, davanti alla scritta Dem deutschen Volke («al popolo tedesco») all’ingresso del parlamento, non avveniva dal 2013. E comunque mai si era cercata tanta enfasi: Ursula von der Leyen, prima alla Difesa, aveva tolto i giuramenti pubblici, avviando l’indispensabile dietro le quinte del riarmo delle truppe con una scia di inevitabili polemiche. Il passato dei Reich restava pesante: anche durante la Guerra fredda, quando la militarizzazione divenne d’obbligo per la Germania Ovest, le cerimonie militari avvenivano a testa bassa, in sordina. E dagli Anni 90, mezzi e uomini della Bundeswehr si erano assottigliati: si preferì approfittare della pax europea, anche con un esercito rinforzato delle truppe dell’Est.

INTERVENTISTA IN SIRIA

Per Kramp-Karrenbauer, Akk come la chiamano i tedeschi, è tempo di essere orgogliosi dei propri soldati, «parte e presidio della società democratica». Ed è tempo anche, ha spronato espressa sempre Akk il parlamento, che i soldati tedeschi siano più presenti nel mondo; che la Germania, con o senza la Nato, prenda l’iniziativa. Le uscite così ravvicinate sul riarmo e il piglio – molto diverso da quello di Von der Leyen – hanno valso rapidamente alla nuova titolare della Difesa la reputazione di militarista: soprattutto la proposta unilaterale di qualche settimana fa, senza consultare o informare neppure il collega degli Esteri, di una forza di peacekeeping europea in Siria, al posto degli americani, ha scatenato un’ondata di reazioni critiche. Nel governo, in parlamento e tra la popolazione tedesca. Anche le parate del 12 novembre sono state contestate da gruppi di pacifisti.

AKK È MILITARISTA?

Come la nuova presidente della Commissione Ue, Kramp-Karrenbauer è cresciuta sotto l’ala di Merkel. Entrambe devono l’ascesa alla cancelliera. Ma Akk è più a destra di Merkel e di Von der Leyen: integralista nell’etica, e sovranista in politica. Come primo provvedimento alla Difesa ha bloccato la privatizzazione, nella riorganizzazione disposta da Von der Leyen, del gruppo statale che mantiene e ripara i mezzi dell’esercito. Kramp-Karrenbauer si è anche posta da subito più vicino alle truppe: non potendo chiedere un ritorno alla leva obbligatoria, si è rammaricata che «della disaffezione alle forze armate dal suo abbandono». Ma se sulla Siria Akk ha fatto infuriare il titolare degli Esteri, il socialdemocratico (Spd) Heiko Maas, e diversi altri, dalle cerimonie per l’anniversario della Bundeswehr si è dissociata solo la sinistra radicale della Linke.

Germania riarmo Difesa Bundeswehr
AKK tra le truppe della Bundeswehr, Germania. GETTY.

IL CAMBIO DI MENTALITÀ

Si commenta che da tanto tempo i militari non erano così presenti in Germania. E non è per forza un male. Sul giuramento anche i Verdi, come i socialdemocratici, danno ragione ad Akk. La percezione della Bundeswehr, nata a Bonn con un centinaio di volontari nel 1955, è sempre meno distorta dallo spettro della Wehrmacht, soprattutto tra i giovani. Nel 1980, quando per la prima volta si tenne un giuramento delle forze armate in uno stadio, a Brema, esplosero proteste con centinaia di feriti. Ancora nel 2010 un capo dello Stato dovette dimettersi per aver affermato, come fece l’imprudente Horst Köhler (Cdu) probabilmente più da ex capo del Fondo monetario internazionale (Fmi), che un «Paese grande come la Germania avrebbe dovuto difendere i propri interessi anche commerciali, nell’emergenza, anche attraverso interventi militari».

IL CONSIGLIO DI SICUREZZA

Per Köhler si parlò di «politica da cannoniere». Come quella italiana, la Costituzione tedesca vieta azioni offensive, tanto più guerre commerciali, alle forze armate. E ogni intervento militare a scopo difensivo deve essere richiesto dal parlamento. Con Kramp-Karrenbauer si inizia a chiamare la «Germania poliziotto del mondo» e si torna a invocare il dettato costituzionale. Ma non scatta più tanta veemenza, e non se ne chiedono le dimissioni. La proposta di Akk di istituire un Consiglio nazionale di sicurezza di coordinamento tra gli apparati militari e dei ministeri dell’Economia, dell’Interno e dello Sviluppo è stata anzi apprezzata dai vertici diplomatici e dello stato maggiore. Chiusa la parata, la ministra ha annunciato il potenziamento delle forze armate con «nuovi equipaggiamenti e nuovi militari» entro il 2031. Lo chiede la Nato, ma non solo.

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