Il nostro mercato del lavoro non è per donne

Nel 2018 le donne attive nel mercato del lavoro (occupate e disoccupate) tra i 15 e i 64 anni erano solo il 56,2% del totale a fronte del 68,3% medio nell'Unione.

Cresce la percentuale delle donne italiane al lavoro ma il gap con l’Europa è ancora amplissimo: nel 2018 – come risulta da Eurostat – le donne attive nel mercato del lavoro (occupate e disoccupate) tra i 15 e i 64 anni erano solo il 56,2% del totale a fronte del 68,3% medio in Ue, il dato peggiore in assoluto. Il gap tra uomini e donne sull’attività in Italia è a 18,9 punti, il peggiore dopo Malta. Se si guarda invece alle donne occupate in Italia sono il 49,5% di quelle in età da lavoro, il peggiore dopo la Grecia e circa 13,9 punti inferiore alla media Ue.

LAVORA MENO DELLA METÀ DELLA POPOLAZIONE FEMMINILE

Tra il 2009 e il 2018 c’è stata una crescita consistente per l’attività delle donne sul mercato italiano passata, sempre nella fascia tra i 15 e i 64 anni dal 51,1% al 56,2% (da 64% al 68,3% nell’Unione europea) ma resta comunque inferiore al 50% la quota delle donne occupate. Lavora infatti solo il 49,5% delle donne dal 46,4% del 2009 con appena 3,1 punti di crescita a fronte degli oltre cinque della media Ue. Se poi si guarda alla fascia tra i 25 e i 54 anni, quella centrale per il mercato del lavoro, le donne occupate in Italia sono appena il 59,4%, il dato peggiore dopo la Grecia (74,7% la media Ue), con un avanzamento di appena tre decimi di punto sul 2009 (3,3 punti la media Ue). In Italia oltre una persona su cinque tra i 25 e i 54 anni (il 22,1%) è fuori dal mercato del lavoro, quindi non è occupata e non cerca impiego, il dato più alto nell’Ue, ma la percentuale per le donne sale al 32,6%, al top in Europa.

UNA DONNA SU TRE A CASA SENZA CERCARE UN IMPIEGO

In pratica quasi una donna su tre è a casa e non interessata a entrare nel mercato mentre la media europea è inferiore al 20%. In Europa circa la metà delle donne che è fuori dal mercato del lavoro dichiara che è in questa situazione per le responsabilità familiari. È aumentato in modo consistente soprattutto il tasso di attività per la fascia più anziana, quella tra i 55 e i 64 anni: in Ue tra il 2002 e il 2018 ha guadagnato in media 21 punti, dal 41% al 62% mentre in Italia è avanzato di 22,5 punti (dal 34,5% al 57%), soprattutto grazie alla stretta sull’accesso al pensionamento. L’aumento dei requisiti per le donne ha portato ad un aumento del tasso di attività delle donne tra i 55 e i 64 anni dal 18,1% al 46,1% mentre per le donne occupate il passaggio è stato dal 17,3% del 2002 al 43,9% del 2008. Se si guarda ai dati del secondo trimestre del 2019 il tasso di attività delle donne italiane è aumentato ulteriormente raggiungendo il 56,8%, ma resta il più basso in Ue con oltre il 43% delle donne in età da lavoro fuori dal mercato. Tra i 25 e i 54 anni sono nel mercato il 68,3% delle donne italiane (l’80,5% è attiva in Ue) mentre quasi un terzo resta inattivo.

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Gli odiosi pregiudizi degli italiani sulla violenza sessuale contro le donne

Il 23,9% pensa che possano essere loro a provocare lo stupro con il modo di vestire. E il 10,3% ritiene che spesso le accuse siano false. Gli stereotipi da abbattere fotografati dall'Istat.

Pregiudizi odiosi e stereotipi pericolosi, da smontare pezzo dopo pezzo. Secondo l’Istat, per il 6,2% degli italiani le “donne serie” non vengono violentate.

Il 39,3% ritiene che una donna sia in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. E il 23,9% – cioè quasi una persona su quattro – pensa che possano essere loro a provocare lo stupro con il modo di vestire, mentre il 15,1% è convinto che una donna che subisce violenza quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe sia almeno in parte responsabile.

I dati – sconcertanti – sono contenuti nel report “Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale”, diffuso dall’istituto di statistica in occasione della Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne.

LEGGI ANCHE: Violenza sulle donne, quei segnali d’allarme tra gli adolescenti

Come se non bastasse, per il 10,3% della popolazione italiana spesso le accuse di violenza sessuale sono false, dato che sale al 12,7% tra gli uomini e scende al 7,9% tra le stesse donne. Il 7,2% è convinto che di fronte a una proposta sessuale le donne spesso dicono di no, ma in realtà intendono sì. Infine, l’1,9% ritiene che non si tratti di violenza se un uomo obbliga la moglie o la compagna ad avere un rapporto sessuale contro la sua volontà.

Se poi si parla di conciliazione tra lavoro e famiglia, secondo il 32% degli intervistati «per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro»; per il 31,5% «gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche»; per il 27,9% «è l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia». Mentre per l’8,8% «spetta all’uomo prendere le decisioni più importanti riguardanti la famiglia».

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Ipotesi sgravio fiscale per le imprese che mantengono le neo mamme al lavoro

L'idea annunciata dalla ministra Catalfo. Ma il Pd è critico: «Era una proposta della Lega. Perché premiare chi rispetta la legge?».

Uno sgravio fiscale per quelle imprese dove le donne restano al lavoro anche dopo la maternità. Sarebbe questa l’idea del governo per aumentare il tasso delle donne al lavoro in Italia, tra i più bassi d’Europa. «Stiamo studiando una norma da inserire in manovra che mantiene la donna dopo la maternità a lavoro dando un esonero contributivo al datore di lavoro», ha dichiarato la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, parlando all’anteprima del Festival organizzato dai consulenti del Lavoro.

IL PD: «PERCHÉ PREMIARE CHI RISPETTA LA LEGGE?»

La ministra quindi ha sottolineato la volontà di intervenire sul fenomeno che vede «le donne spesso lasciare il lavoro dopo il primo anno di maternità». La proposta, tuttavia, è controversa. Dal Partito democratico, Chiara Gribaudo ha commentato: «È una proposta già avanzata dalla Lega, che infatti criticammo», ha ricordato la vice capogruppo alla Camera. «Perché dovremmo premiare un’impresa che semplicemente rispetta le regole? Sarebbe una legittimazione per quelle che costringono alle dimissioni le madri lavoratrici o le licenziano appena la legge lo consente».

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Il lavoro di cura affonda il tasso di occupazione femminile in Italia

Solo il 57% delle madri con figli piccoli o parenti non autosufficienti riesce ad avere un impiego al di fuori della famiglia, mentre per i padri la quota sfiora il 90%. Tra le lavoratrici il 38,3% "sceglie" di modificare i propri orari, più spesso riducendoli.

Il lavoro di cura affonda il tasso di occupazione femminile in Italia e il confronto con quello maschile non lascia spazio a dubbi: le donne sono pesantemente penalizzate per quanto riguarda la possibilità di conciliare i tempi da dedicare alla famiglia con quelli richiesti da un impiego nella società.

Secondo gli ultimi dati Istat riferiti al 2018 e contenuti nel rapporto “Conciliazione tra lavoro e famiglia”, infatti, il tasso di occupazione delle madri tra i 25 e i 54 anni con figli piccoli o parenti non autosufficienti è fermo al 57%, mentre quello dei padri sfiora il 90% (89,3%).

L’11,1% delle madri con almeno un figlio non ha mai lavorato, un dato che supera di tre volte la media europea (3,7%). E sono sempre le madri, molto più dei padri, a “scegliere” di modificare il proprio orario di lavoro per prendersi cura della famiglia: il 38,3% contro l’11,9%.

ORARIO RIDOTTO PER SEI DONNE SU DIECI

Tra le madri che hanno modificato aspetti del proprio lavoro, più di sei su dieci hanno ridotto l’orario e circa due su dieci lo hanno cambiato senza ridurlo. Tra i padri, invece, la modifica dell’orario (38,3%) è prevalente sulla sua riduzione (27,2%).

SCARSO RICORSO AI SERVIZI PUBBLICI E PRIVATI

Le diverse dinamiche occupazionali tra madri e donne senza figli sono più evidenti al Sud, con uno scarto del 16% del tasso di occupazione a favore delle seconde. Risultano più contenute al Centro e al Nord, con una differenza dell’11% e del 10% rispettivamente. In generale, poco meno di un terzo delle famiglie italiane con figli fino a 14 anni usa servizi pubblici o privati come asili nido, scuole materne, ludoteche, baby sitter o altro. Al Sud il 24,9%, al Centro il 33,3% e al Nord il 34,5%.

AFFIDAMENTO SU NONNI E AMICI

Il 38% dei nuclei familiari preferisce fare affidamento sull’aiuto dei parenti, soprattutto dei nonni, oppure degli amici. I servizi sono considerati troppo costosi nel 9,4% dei casi, assenti o privi di posti disponibili nel 4,4%. Tra le madri con figli piccoli che dicono di non utilizzarli, tuttavia, il 15% ne avrebbe bisogno. E la quota sale al 23,2% per quante hanno figli fino a 5 anni.

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Il lavoro di cura affonda il tasso di occupazione femminile in Italia

Solo il 57% delle madri con figli piccoli o parenti non autosufficienti riesce ad avere un impiego al di fuori della famiglia, mentre per i padri la quota sfiora il 90%. Tra le lavoratrici il 38,3% "sceglie" di modificare i propri orari, più spesso riducendoli.

Il lavoro di cura affonda il tasso di occupazione femminile in Italia e il confronto con quello maschile non lascia spazio a dubbi: le donne sono pesantemente penalizzate per quanto riguarda la possibilità di conciliare i tempi da dedicare alla famiglia con quelli richiesti da un impiego nella società.

Secondo gli ultimi dati Istat riferiti al 2018 e contenuti nel rapporto “Conciliazione tra lavoro e famiglia”, infatti, il tasso di occupazione delle madri tra i 25 e i 54 anni con figli piccoli o parenti non autosufficienti è fermo al 57%, mentre quello dei padri sfiora il 90% (89,3%).

L’11,1% delle madri con almeno un figlio non ha mai lavorato, un dato che supera di tre volte la media europea (3,7%). E sono sempre le madri, molto più dei padri, a “scegliere” di modificare il proprio orario di lavoro per prendersi cura della famiglia: il 38,3% contro l’11,9%.

ORARIO RIDOTTO PER SEI DONNE SU DIECI

Tra le madri che hanno modificato aspetti del proprio lavoro, più di sei su dieci hanno ridotto l’orario e circa due su dieci lo hanno cambiato senza ridurlo. Tra i padri, invece, la modifica dell’orario (38,3%) è prevalente sulla sua riduzione (27,2%).

SCARSO RICORSO AI SERVIZI PUBBLICI E PRIVATI

Le diverse dinamiche occupazionali tra madri e donne senza figli sono più evidenti al Sud, con uno scarto del 16% del tasso di occupazione a favore delle seconde. Risultano più contenute al Centro e al Nord, con una differenza dell’11% e del 10% rispettivamente. In generale, poco meno di un terzo delle famiglie italiane con figli fino a 14 anni usa servizi pubblici o privati come asili nido, scuole materne, ludoteche, baby sitter o altro. Al Sud il 24,9%, al Centro il 33,3% e al Nord il 34,5%.

AFFIDAMENTO SU NONNI E AMICI

Il 38% dei nuclei familiari preferisce fare affidamento sull’aiuto dei parenti, soprattutto dei nonni, oppure degli amici. I servizi sono considerati troppo costosi nel 9,4% dei casi, assenti o privi di posti disponibili nel 4,4%. Tra le madri con figli piccoli che dicono di non utilizzarli, tuttavia, il 15% ne avrebbe bisogno. E la quota sale al 23,2% per quante hanno figli fino a 5 anni.

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Giù l’Iva sugli assorbenti: nel dl Fisco il Pd rilancia la proposta

Nell'emendamento dem prevista un'aliquota del 10%. La misura era già stata bocciata dalla Camera dei deputati a maggio. Sarà questo il mese buono per le italiane?

Se questa volta la proposta fosse approvata, finalmente le donne non saranno più costrette a pagare a un’Iva al 22% sugli assorbenti. Con un emendamento al decreto legge sul fisco presentato in commissione Finanze alla Camera il Partito Democratico rilancia il taglio alla tassa sulle mestruazioni che la Camera dei deputati aveva già rigettato a maggio.

MILLE EMENDAMENTI, CONDONO PD E CRITICHE DA CONFINDUSTRIA

In realtà sono circa mille gli emendamenti al decreto fiscale presentati
alla Camera. Il Pd chiede anche di estendere anche agli avvisi bonari la pace fiscale. Quanto alla manovra, si va verso la modifica della sugar tax e anche della plastic tax, che resta nel mirino di Confindustria. Secondo
l’associazione degli imprenditori, la tassa sugli imballaggi costa 109 euro l’anno a famiglia, mentre l’aumento della tassa sulle auto aziendali sarebbe ‘una stangata per 2 milioni di lavoratori’.

LA NUOVA VERSIONE PREVEDE L’IVA AL 10%

La nuova formulazione dell’emendamento contro la cosiddetta “tampon tax” prevede che «ai prodotti sanitari e igienici femminili, quali tamponi interni, assorbenti igienici esterni, coppe e spugne mestruali, si applica l’aliquota del 10 per cento dell’imposta sul valore aggiunto (Iva)» contro l’attuale 22.

LA BOCCIATURA DI MAGGIO PER UN COSTO DI 212 MILIONI

A maggio dello scorso anno la stessa misura era stata respinta con 253 deputati contrari e appena 189 voti favorevoli. All’epoca il costo del taglio era stato calcolato dalla Ragioneria dello Stato in 212 milioni di euro. La bocciatura della misura era stata contestata ampiamente e sul web era stata lanciata la petizione “il ciclo non è un lusso” per far riconoscere che il ciclo mestruale riguarda più di metà della popolazione, anche se quella con in mano le maggiori leve del potere, anche legislativo. Che questo sia il mese buono per cambiare le cose?

BOLDRINI: «PROPOSTA BIPARTISAN»

«Insieme ad altre 32 deputate di vari gruppi politici, sia di maggioranza che di opposizione, ho sottoscritto un emendamento al decreto fiscale che riduce dal 22 al 10% l’Iva sui prodotti sanitari e igienici femminili. Perché non sono beni di lusso ma una necessità!», ha scritto in una nota Laura Boldrini aggiungendo l’hashtag “#NoTamponTax“.

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Giù l’Iva sugli assorbenti: nel dl Fisco il Pd rilancia la proposta

Nell'emendamento dem prevista un'aliquota del 10%. La misura era già stata bocciata dalla Camera dei deputati a maggio. Sarà questo il mese buono per le italiane?

Se questa volta la proposta fosse approvata, finalmente le donne non saranno più costrette a pagare a un’Iva al 22% sugli assorbenti. Con un emendamento al decreto legge sul fisco presentato in commissione Finanze alla Camera il Partito Democratico rilancia il taglio alla tassa sulle mestruazioni che la Camera dei deputati aveva già rigettato a maggio.

MILLE EMENDAMENTI, CONDONO PD E CRITICHE DA CONFINDUSTRIA

In realtà sono circa mille gli emendamenti al decreto fiscale presentati
alla Camera. Il Pd chiede anche di estendere anche agli avvisi bonari la pace fiscale. Quanto alla manovra, si va verso la modifica della sugar tax e anche della plastic tax, che resta nel mirino di Confindustria. Secondo
l’associazione degli imprenditori, la tassa sugli imballaggi costa 109 euro l’anno a famiglia, mentre l’aumento della tassa sulle auto aziendali sarebbe ‘una stangata per 2 milioni di lavoratori’.

LA NUOVA VERSIONE PREVEDE L’IVA AL 10%

La nuova formulazione dell’emendamento contro la cosiddetta “tampon tax” prevede che «ai prodotti sanitari e igienici femminili, quali tamponi interni, assorbenti igienici esterni, coppe e spugne mestruali, si applica l’aliquota del 10 per cento dell’imposta sul valore aggiunto (Iva)» contro l’attuale 22.

LA BOCCIATURA DI MAGGIO PER UN COSTO DI 212 MILIONI

A maggio dello scorso anno la stessa misura era stata respinta con 253 deputati contrari e appena 189 voti favorevoli. All’epoca il costo del taglio era stato calcolato dalla Ragioneria dello Stato in 212 milioni di euro. La bocciatura della misura era stata contestata ampiamente e sul web era stata lanciata la petizione “il ciclo non è un lusso” per far riconoscere che il ciclo mestruale riguarda più di metà della popolazione, anche se quella con in mano le maggiori leve del potere, anche legislativo. Che questo sia il mese buono per cambiare le cose?

BOLDRINI: «PROPOSTA BIPARTISAN»

«Insieme ad altre 32 deputate di vari gruppi politici, sia di maggioranza che di opposizione, ho sottoscritto un emendamento al decreto fiscale che riduce dal 22 al 10% l’Iva sui prodotti sanitari e igienici femminili. Perché non sono beni di lusso ma una necessità!», ha scritto in una nota Laura Boldrini aggiungendo l’hashtag “#NoTamponTax“.

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