Le autorità potranno bollare reporter indipendenti e blogger con una definizione molto simile a quella di "spia".
Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato ieri sera una controversa legge che permette alle autorità russe di bollare come «agenti stranieri» anche gli individui, compresi i blogger e i giornalisti. La legge prevede che un individuo o un ente giuridico russo che diffondano notizie prodotte da testate inserite nella lista nera degli agenti stranieri o partecipino alla loro creazione possano essere riconosciuti a loro volta come «agenti stranieri». La legge entra in vigore immediatamente.
LA RISPOSTA AGLI USA
Il provvedimento era stato approvato in via definitiva dalla Duma il 21 novembre e dal Senato il 25. Per Amnesty International e Reporter senza frontiere si tratta di «un ulteriore passo verso la limitazione dei media liberi e indipendenti» in Russia. Il marchio di «agente straniero», che tanto ricorda quello di «spia», è usato dal Cremlino per contrassegnare le organizzazioni che ricevono fondi dall’estero e sono impegnate in non meglio precisate «attività politiche». Dal novembre del 2017, dopo che la tv finanziata dal CremlinoRussia Todayera stata a sua volta definita «agente straniero» negli Usa, questa definizione in Russia è applicabile anche ai media. Le organizzazioni identificate come «agente straniero» devono presentarsi come tali nei materiali che producono.
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Le autorità potranno bollare reporter indipendenti e blogger con una definizione molto simile a quella di "spia".
Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato ieri sera una controversa legge che permette alle autorità russe di bollare come «agenti stranieri» anche gli individui, compresi i blogger e i giornalisti. La legge prevede che un individuo o un ente giuridico russo che diffondano notizie prodotte da testate inserite nella lista nera degli agenti stranieri o partecipino alla loro creazione possano essere riconosciuti a loro volta come «agenti stranieri». La legge entra in vigore immediatamente.
LA RISPOSTA AGLI USA
Il provvedimento era stato approvato in via definitiva dalla Duma il 21 novembre e dal Senato il 25. Per Amnesty International e Reporter senza frontiere si tratta di «un ulteriore passo verso la limitazione dei media liberi e indipendenti» in Russia. Il marchio di «agente straniero», che tanto ricorda quello di «spia», è usato dal Cremlino per contrassegnare le organizzazioni che ricevono fondi dall’estero e sono impegnate in non meglio precisate «attività politiche». Dal novembre del 2017, dopo che la tv finanziata dal CremlinoRussia Todayera stata a sua volta definita «agente straniero» negli Usa, questa definizione in Russia è applicabile anche ai media. Le organizzazioni identificate come «agente straniero» devono presentarsi come tali nei materiali che producono.
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I due leader tengono a battesimo la pipeline. Costruita da Gazprom, fornirà alla Cina 38 miliardi di metri cubi di gas all'anno. Il progetto.
Il presidente russo Vladimir Putin e l’omologo cinese Xi Jinping, in video collegamento rispettivamente da Sochi e da Pechino, hanno tenuto a battesimo il lancio del gasdotto ‘Forza della Siberia’, costruito da Gazprom, che fornirà alla Cina, a regime, 38 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Il contratto fu firmato nel 2014 sull’onda della crisi ucraina e del grande gelo fra Russia e Occidente. «Il rapporto energetico fra Russia e Cina raggiunge un altro livello», ha detto Putin dando il via alle forniture.
BOCCHE CUCITE SUL PREZZO DI FORNITURA DEL GAS
Il gasdotto, lungo 3 mila chilometri, trasporterà il gas dai centri di produzione di Irkutsk e Yakutia ai consumatori dell’Estremo Oriente russo e quindi in Cina, attraverso la rotta orientale. Il prezzo di fornitura del gas è uno dei segreti di Stato più inaccessibili della Russia di Putin ma, stando a indiscrezioni pubblicate da alcuni media, varrà circa 400 miliardi di dollari nell’arco dei prossimi 30 anni. Alla cerimonia di lancio del gasdotto ha partecipato anche l’amministratore delegato di Gazprom Alexei Miller, che si trovava presso la città di confine fra Russia e Cina Blagoveshchensk, dove è dislocata una stazione di pompaggio del gasdotto.
XI JINPING: «UNA NUOVA FASE DELLA NOSTRA COOPERAZIONE»
«Quest’anno celebriamo i 70 anni da quando sono stati stabiliti i legami diplomatici tra Russia e Cina e iniziamo le forniture alla Cina», ha affermato Putin. «Questo passaggio porta il partenariato strategico russo-cinese nel settore energetico a un livello completamente nuovo e ci avvicina all’obiettivo di un interscambio commerciale di 200 miliardi di dollari entro il 2024», ha rimarcato Putin. «Lo sviluppo delle relazioni russo-cinesi è e rimarrà una traiettoria prioritaria nella politica estera di ciascuno dei nostri Paesi», ha detto Xi Jinping, sottolineando come l’entrata in servizio del gasdotto sia «un importante risultato intermedio e l’inizio di una nuova fase della nostra cooperazione».
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Si è spenta a 93 anni la leggendaria eroina dell'intelligence russa. Insieme al maritò sventò un attentato contro Roosevelt, Stalin e Churchill nel 1943 a Teheran.
Goar Vartanyan, la “zarina” di tutte le spie russe, figura a dir poco mitica dell’intelligence sovietica, è morta all’età di 93 anni e sarà sepolta nel cimitero di Troekurovsky, accanto al marito Gevorg, scomparso nel 2012 a 87 anni. Vartanyan, originaria dell’Armenia, si trasferì con la famiglia in Iran nei primi anni ’30 ed entrò a far parte del gruppo antifascista – capeggiato dal suo futuro marito – a 16 anni. Insieme contribuirono a sventare il piano nazista (operazione Long Jump) concepito per assassinare Winston Churchill, Franklin D. Roosevelt e Joseph Stalin nel corso del loro primo incontro, nel 1943, a Teheran. Vladimir Putin ha espresso le sue condoglianze ai parenti e agli amici di Vartanyan, che conosceva bene e di persona. “Senza di loro – ha detto il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov – la storia del mondo sarebbe stata molto diversa”. La coppia, dopo Teheran, ha svolto per conto dei servizi segreti sovietici un lavoro trentennale all’estero, così cruciale che, dicono gli esperti, non verrà mai declassificato.
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Russia e Germania hanno vinto la partita sul gasdotto, a discapito degli Stati centrali dell'Europa, in particolare dell'Ucraina. Mentre Putin può tornare a occuparsi dei progetti già avviati con la Cina assetata di energia e per accaparrarsi le risorse dell'Artico.
Già in dirittura d’arrivo, si era incagliato nelle acque territoriali danesi e senza la luce verde di Copenaghen avrebbe dovuto allungare il percorso. Niente chilometri in più e altri ritardi, quindi, e così il progetto trainato dal colosso Gazprom dovrebbe chiudersi nei prossimi mesi e partire a pieno regime nel 2020.
Si tratta del raddoppio di Nordstream 1, già in funzione da quasi 10 anni, che porterà altri 55 miliardi di metri cubi di gas russo all’anno direttamente in Germania. Aggirando da Nord l’Europa centrale e soprattutto l’Ucraina. Voluto con forza da Mosca e Berlino, Nordstream 2 è stato ostacolato fortemente da alcuni Stati dell’Ue, guidati dalla Polonia, e soprattutto dagli Stati Uniti, interessati a indebolire il legame energetico tra Russia ed Europa e sostituirsi almeno in parte a Mosca attraverso forniture di gas liquido proveniente da Oltreoceano.
UNA BATTAGLIA VINTA DA PUTIN E MERKEL
Se dunque è stata detta davvero l’ultima parola sui tubi della discordia, ad averla vinta sono stati in primo luogo Vladimir Putin e Angela Merkel, in questi ultimi mesi sotto pressione da Washington per lasciare incompiuto il lavoro fatto dal suo predecessore Gerhard Schröder, che all’inizio degli anni Duemila aveva detto il primo sì a Nordstream 1. A nulla sembra essere in definitiva servito il pesante lavoro di lobby americano, sia su Bruxelles che su singoli Stati europei: il Cremlino continua a essere in posizione di forza nella guerra del gas che va avanti, tra cambiamenti di scenari anche repentini, già da un paio di lustri, ma che vede come attori principali sul Vecchio continente sempre Russia e Germania. Se sul versante meridionale Mosca ha dovuto cambiare le carte, con l’abbandono di Southstream poi in parte sostituito con Blustream a fianco della Turchia, su quello settentrionale l’asse Mosca-Berlino non ha dato segni di cedimento, nonostante lacrisi ucraina e le sanzioni occidentali, europee e statunitensi, che comunque non sono andate a toccare i progetti energetici.
KIEV E LA QUESTIONE DELLA DIPENDENZA UCRAINA DAL GAS RUSSO
Anche le minacce di ritorsioni economiche verso le aziende europee, non solo tedesche, ma anche olandesi, austriache, francesi e italiane, sono andate a vuoto. Putin e Merkel possono dirsi soddisfatti, Donald Trump un po’ meno, così come polacchi e baltici, insieme con gli ucraini, i perdenti. Sarà infatti Kiev a essere la più penalizzata dal doppio Nordstream, che in sostanza la taglierà fuori dal sistema di transito, o comunque da gran parte di esso. Addio quindi a 3 miliardi di dollari all’anno e la necessità a questo punto di dover affrontare la questione della dipendenza dal gas russo, in realtà non così complicata. Negli anni passati, già prima del regime change a Kiev e la guerra nel Donbass, il braccio di ferro tra Russia e Ucraina sulle questioni energetiche è stato ampiamente strumentalizzato da entrambe le parti per ragioni geopolitiche ed economiche, quando in realtà l’Ucraina, senza troppi sforzi come dimostrato proprio negli ultimi anni, potrebbe sensibilmente diminuire l’import di gas russo per il proprio fabbisogno interno.
Gli interessi di Gapzrom e Naftogaz e degli oligarchi di riferimento, da una parte e dall’altra, hanno segnato i rapporti tra Mosca e Kiev nel settore più opaco e corrotto dell’economia di entrambi i Paesi. Yulia Tymoshenko, l’eroina della rivoluzione arancione del 2004, era stata sbattuta in galera dal presidente Victor Yanukovich nel 2011 con l’accusa di abuso di ufficio per aver firmato i contratti con Putin nel 2009, gli stessi che sono ancora in vigore fino alla fine di quest’anno e devono essere rinegoziati con la mediazione dell’Unione europea.
ORA MOSCA PUÒ APRIRE NUOVI MERCATI DEL GAS CON LA CINA
Tra battaglie legali e successi alterni davanti ai tribunali, Gazprom e Naftogaz sono di fronte a una nuova sfida sulla quale l’avvio di Nordstream pesa non poco. Il Cremlino ha anche stavolta il coltello dalla parte del manico, anche perché l’Ucraina, pur avendo ricevuto assicurazioni di massima da parte di Berlino e Bruxelles, è rimasta isolata e gli aiuti trasversali americani, non certo disinteressati, sono finiti in un disastro. Basti pensare al 2014 e all’entrata in scena di Hunter Biden, figlio dell’allora vicepresidente americano John, in Burisma, una delle maggiori società ucraine private energetiche.
Dal Cremlino intanto Putin può tornare a occuparsi dei progetti già avviati su quello orientale
In un contesto che ha visto l’Ucraina post Euromaidan commissariata con addirittura tre ministri stranieri, tra cui l’americaca Natalia Yaresko alle Finanze, il terreno di conquista si era allargato: controllata inizialmente da un oligarca vicino a Yanukovich, il suo consiglio di amministrazione è diventato dopo il cambio di governo filoccidentale a Kiev una cabina di regia proamericana dove sono finiti tra gli altri l’ex presidente polacco Aleksander Kwasniewski e l’ex capo dell’antiterrorismo della Cia e vice ad di Blackwater (ora Academi) Joseph Cofer Black.
Paradossalmente, più che diventare un attore antitetico alla Russia, Burisma si è rivelata così solo il peccato originale sulla quale è scoppiato poi l’Ucrainagate che ha coinvolto Donald Trump. Ma questa è un’altra storia. Dal Cremlino intanto Putin, che con Nordstream ha infine stabilizzato il fronte occidentale, può tornare a occuparsi dei progetti già avviati su quello orientale, con la Cina assetata di gas, e la sfida alle risorse dell’Artico, dove per sicurezza è stata già piantata una bandiera russa.
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Russia e Germania hanno vinto la partita sul gasdotto, a discapito degli Stati centrali dell'Europa, in particolare dell'Ucraina. Mentre Putin può tornare a occuparsi dei progetti già avviati con la Cina assetata di energia e per accaparrarsi le risorse dell'Artico.
Già in dirittura d’arrivo, si era incagliato nelle acque territoriali danesi e senza la luce verde di Copenaghen avrebbe dovuto allungare il percorso. Niente chilometri in più e altri ritardi, quindi, e così il progetto trainato dal colosso Gazprom dovrebbe chiudersi nei prossimi mesi e partire a pieno regime nel 2020.
Si tratta del raddoppio di Nordstream 1, già in funzione da quasi 10 anni, che porterà altri 55 miliardi di metri cubi di gas russo all’anno direttamente in Germania. Aggirando da Nord l’Europa centrale e soprattutto l’Ucraina. Voluto con forza da Mosca e Berlino, Nordstream 2 è stato ostacolato fortemente da alcuni Stati dell’Ue, guidati dalla Polonia, e soprattutto dagli Stati Uniti, interessati a indebolire il legame energetico tra Russia ed Europa e sostituirsi almeno in parte a Mosca attraverso forniture di gas liquido proveniente da Oltreoceano.
UNA BATTAGLIA VINTA DA PUTIN E MERKEL
Se dunque è stata detta davvero l’ultima parola sui tubi della discordia, ad averla vinta sono stati in primo luogo Vladimir Putin e Angela Merkel, in questi ultimi mesi sotto pressione da Washington per lasciare incompiuto il lavoro fatto dal suo predecessore Gerhard Schröder, che all’inizio degli anni Duemila aveva detto il primo sì a Nordstream 1. A nulla sembra essere in definitiva servito il pesante lavoro di lobby americano, sia su Bruxelles che su singoli Stati europei: il Cremlino continua a essere in posizione di forza nella guerra del gas che va avanti, tra cambiamenti di scenari anche repentini, già da un paio di lustri, ma che vede come attori principali sul Vecchio continente sempre Russia e Germania. Se sul versante meridionale Mosca ha dovuto cambiare le carte, con l’abbandono di Southstream poi in parte sostituito con Blustream a fianco della Turchia, su quello settentrionale l’asse Mosca-Berlino non ha dato segni di cedimento, nonostante lacrisi ucraina e le sanzioni occidentali, europee e statunitensi, che comunque non sono andate a toccare i progetti energetici.
KIEV E LA QUESTIONE DELLA DIPENDENZA UCRAINA DAL GAS RUSSO
Anche le minacce di ritorsioni economiche verso le aziende europee, non solo tedesche, ma anche olandesi, austriache, francesi e italiane, sono andate a vuoto. Putin e Merkel possono dirsi soddisfatti, Donald Trump un po’ meno, così come polacchi e baltici, insieme con gli ucraini, i perdenti. Sarà infatti Kiev a essere la più penalizzata dal doppio Nordstream, che in sostanza la taglierà fuori dal sistema di transito, o comunque da gran parte di esso. Addio quindi a 3 miliardi di dollari all’anno e la necessità a questo punto di dover affrontare la questione della dipendenza dal gas russo, in realtà non così complicata. Negli anni passati, già prima del regime change a Kiev e la guerra nel Donbass, il braccio di ferro tra Russia e Ucraina sulle questioni energetiche è stato ampiamente strumentalizzato da entrambe le parti per ragioni geopolitiche ed economiche, quando in realtà l’Ucraina, senza troppi sforzi come dimostrato proprio negli ultimi anni, potrebbe sensibilmente diminuire l’import di gas russo per il proprio fabbisogno interno.
Gli interessi di Gapzrom e Naftogaz e degli oligarchi di riferimento, da una parte e dall’altra, hanno segnato i rapporti tra Mosca e Kiev nel settore più opaco e corrotto dell’economia di entrambi i Paesi. Yulia Tymoshenko, l’eroina della rivoluzione arancione del 2004, era stata sbattuta in galera dal presidente Victor Yanukovich nel 2011 con l’accusa di abuso di ufficio per aver firmato i contratti con Putin nel 2009, gli stessi che sono ancora in vigore fino alla fine di quest’anno e devono essere rinegoziati con la mediazione dell’Unione europea.
ORA MOSCA PUÒ APRIRE NUOVI MERCATI DEL GAS CON LA CINA
Tra battaglie legali e successi alterni davanti ai tribunali, Gazprom e Naftogaz sono di fronte a una nuova sfida sulla quale l’avvio di Nordstream pesa non poco. Il Cremlino ha anche stavolta il coltello dalla parte del manico, anche perché l’Ucraina, pur avendo ricevuto assicurazioni di massima da parte di Berlino e Bruxelles, è rimasta isolata e gli aiuti trasversali americani, non certo disinteressati, sono finiti in un disastro. Basti pensare al 2014 e all’entrata in scena di Hunter Biden, figlio dell’allora vicepresidente americano John, in Burisma, una delle maggiori società ucraine private energetiche.
Dal Cremlino intanto Putin può tornare a occuparsi dei progetti già avviati su quello orientale
In un contesto che ha visto l’Ucraina post Euromaidan commissariata con addirittura tre ministri stranieri, tra cui l’americaca Natalia Yaresko alle Finanze, il terreno di conquista si era allargato: controllata inizialmente da un oligarca vicino a Yanukovich, il suo consiglio di amministrazione è diventato dopo il cambio di governo filoccidentale a Kiev una cabina di regia proamericana dove sono finiti tra gli altri l’ex presidente polacco Aleksander Kwasniewski e l’ex capo dell’antiterrorismo della Cia e vice ad di Blackwater (ora Academi) Joseph Cofer Black.
Paradossalmente, più che diventare un attore antitetico alla Russia, Burisma si è rivelata così solo il peccato originale sulla quale è scoppiato poi l’Ucrainagate che ha coinvolto Donald Trump. Ma questa è un’altra storia. Dal Cremlino intanto Putin, che con Nordstream ha infine stabilizzato il fronte occidentale, può tornare a occuparsi dei progetti già avviati su quello orientale, con la Cina assetata di gas, e la sfida alle risorse dell’Artico, dove per sicurezza è stata già piantata una bandiera russa.
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