Secondo le ultime previsioni per il periodo 2023-2027 in Italia si registra un fabbisogno occupazionale complessivo di circa 3 milioni e 800mila nuovi lavoratori. Qual è la situazione reale in Italia? La strategia rimane quella della formazione dei giovani e delle competenze: vediamo quali saranno le competenze più richieste. Continua a leggere
Una speranza per l’Ilva di Taranto potrebbe arrivare dall’Europa. Più precisamente dal Green Deal. Il nuovo Fondo europeo per la..
Una speranza per l’Ilva di Tarantopotrebbe arrivare dall’Europa. Più precisamente dal Green Deal.
Il nuovo Fondo europeo per la transizione verso un’economia verde partirà con un stanziamento di base di 7,5 miliardi e dal 2021 permetterà di finanziare con risorse pubbliche «la modernizzazione» di grandi impianti industriali e «la bonifica di siti contaminati» – e quindi potenzialmente anche Taranto – senza violare le regole Ue sugli aiuti di Stato.
È quanto emerge dalla bozza delle proposte che la Commissione europea presenterà martedì prossimo di cui l’Ansa ha preso visione.
PER L’UE IN 7 ANNI SI POTRANNO MOBILITARE FINO A 50 MLD
La Commissione Ue propone che il nuovo fondo (Fte) sia accessibile «a tutti gli Stati membri» e rientri all’interno delle politiche di coesione. Il fondo potrà contare su 7,5 miliardi di euro di risorse fresche per il 2021-2027. A questo stanziamento si aggiungeranno i cofinanziamenti nazionali e le risorse che gli Stati dovranno trasferire dai fondi per lo sviluppo regionale (Fesr) e sociale (Fse+). Il meccanismo alla base della proposta prevede che per ogni euro ricevuto dal Fte, i Paesi trasferiscano «da un minimo di 1,5 a un massimo di 3 euro» provenienti dagli altri fondi Ue. Secondo Bruxelles, grazie a questo meccanismo in sette anni potranno essere mobilitati fondi pubblici «fra i 30 e i 50 miliardi». Lo strumento rientrerà in un più ampio Meccanismo per la transizione verde che ambisce ad attirare investimenti pubblici e privati per 100 miliardi. La Commissione chiede che siano i Paesi a «identificare i territori» bisognosi del sostegno del Fte, che in Italia coincideranno con le Province (categorizzate tecnicamente come NUTS 3), e a redigere piani di transizione territoriale ad hoc. Il Fte potrà finanziare anche «investimenti produttivi in aziende diverse dalle Pmi», quando «sono necessari per l’attuazione dei piani di transizione territoriali».
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Intervistato da La Stampa il vice presidente Dombrovskis ha messo in guardia il governo sui conti pubblici: «Riportare i parametri in linea con quanto previsto dal Patto di Stabilità e Crescita».
«L’Italia è a rischio di non conformità con le regole Ue, sia per quest’anno che per il prossimo. Per questo chiediamo di riportare il deficit in linea con quanto previsto dal Patto di Stabilità e Crescita», la mazzata è arrivata da Valdis Dombrovskis, vice-presidente esecutivo della Commissione europea con responsabilità su tutti i portafogli economici, in un’intervista a La Stampa.
LA COMMISSIONE VUOLE NUOVI STRUMENTI D’AZIONE
«In passato abbiamo proposto sanzioni per Paesi con alto deficit, ma poi parlamento e Consiglio le hanno respinte». Per questo, ha spiegato Dombrovskis, la possibilità che la Commissione abbia nuovi strumenti per intervenire con maggiore efficacia «sarà certamente uno dei temi da discutere nel contesto della revisione del Two Pack e del Six Pack», cioè i regolamenti introdotti nel Patto di Stabilità e Crescita. «Al momento prevediamo una revisione non legislativa, ma lanceremo una discussione», ha aggiunto.
VERSO LA REVISIONE DEI PARAMETRI UE
«Ci sono diverse questioni sul tavolo: gli aspetti legati al Green Deal, la semplificazione delle regole, ma anche un meccanismo rafforzato per la loro applicazione». Ci sono alcuni Stati che vogliono più flessibilità, altri che chiedono maggiore disciplina di bilancio. Se ne esce soltanto trovando un accordo. Per questo dico che non si può andare ad aprire il tema delle regole di bilancio, se non c’è la ragionevole possibilità di concludere il lavoro con un risultato migliore rispetto al punto di partenza». Tuttavia, ha aggiunto, «ci sono alcuni elementi su cui molti Stati sembrano essere d’accordo. Per esempio sulla necessità di abbandonare alcuni indicatori come il deficit strutturale».
DOMBROVSKIS: «SERVE CAUTELA SULLA FLESSIBILITÀ»
Sulla possibilità di scorporare gli investimenti green dal deficit, «già oggi abbiamo una clausola di flessibilità per gli investimenti cofinanziati dall’Ue, l’abbiamo introdotta nel 2015. Si può discutere se estenderla a quelli green, ma in ogni caso bisogna essere molto cauti sui limiti da non superare: va garantita la sostenibilità di bilancio», ha aggiunto il vice presidente, che sul Mes ha eslcuso l’ipotesi di un rinvio a giugno: «I negoziati sono già in una fase avanzata. Sono emerse alcune preoccupazioni ‘last minute’ dall’Italia e bisogna vedere come affrontarle nel modo migliore. Ma in ogni caso credo che nel giro di un paio di mesi si troverà un accordo».
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Intervistato da La Stampa il vice presidente Dombrovskis ha messo in guardia il governo sui conti pubblici: «Riportare i parametri in linea con quanto previsto dal Patto di Stabilità e Crescita».
«L’Italia è a rischio di non conformità con le regole Ue, sia per quest’anno che per il prossimo. Per questo chiediamo di riportare il deficit in linea con quanto previsto dal Patto di Stabilità e Crescita», la mazzata è arrivata da Valdis Dombrovskis, vice-presidente esecutivo della Commissione europea con responsabilità su tutti i portafogli economici, in un’intervista a La Stampa.
LA COMMISSIONE VUOLE NUOVI STRUMENTI D’AZIONE
«In passato abbiamo proposto sanzioni per Paesi con alto deficit, ma poi parlamento e Consiglio le hanno respinte». Per questo, ha spiegato Dombrovskis, la possibilità che la Commissione abbia nuovi strumenti per intervenire con maggiore efficacia «sarà certamente uno dei temi da discutere nel contesto della revisione del Two Pack e del Six Pack», cioè i regolamenti introdotti nel Patto di Stabilità e Crescita. «Al momento prevediamo una revisione non legislativa, ma lanceremo una discussione», ha aggiunto.
VERSO LA REVISIONE DEI PARAMETRI UE
«Ci sono diverse questioni sul tavolo: gli aspetti legati al Green Deal, la semplificazione delle regole, ma anche un meccanismo rafforzato per la loro applicazione». Ci sono alcuni Stati che vogliono più flessibilità, altri che chiedono maggiore disciplina di bilancio. Se ne esce soltanto trovando un accordo. Per questo dico che non si può andare ad aprire il tema delle regole di bilancio, se non c’è la ragionevole possibilità di concludere il lavoro con un risultato migliore rispetto al punto di partenza». Tuttavia, ha aggiunto, «ci sono alcuni elementi su cui molti Stati sembrano essere d’accordo. Per esempio sulla necessità di abbandonare alcuni indicatori come il deficit strutturale».
DOMBROVSKIS: «SERVE CAUTELA SULLA FLESSIBILITÀ»
Sulla possibilità di scorporare gli investimenti green dal deficit, «già oggi abbiamo una clausola di flessibilità per gli investimenti cofinanziati dall’Ue, l’abbiamo introdotta nel 2015. Si può discutere se estenderla a quelli green, ma in ogni caso bisogna essere molto cauti sui limiti da non superare: va garantita la sostenibilità di bilancio», ha aggiunto il vice presidente, che sul Mes ha eslcuso l’ipotesi di un rinvio a giugno: «I negoziati sono già in una fase avanzata. Sono emerse alcune preoccupazioni ‘last minute’ dall’Italia e bisogna vedere come affrontarle nel modo migliore. Ma in ogni caso credo che nel giro di un paio di mesi si troverà un accordo».
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Tra loro anche Gentiloni, subito attaccato da Meloni e Salvini: «Teatrino scandaloso. La prossima volta intoneranno Bandiera Rossa».
I commissari del gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici (S&D) cantano Bella Ciao al Parlamento europeo dopo aver ottenuto il via libera dell’assemblea. È il video circolato sui social network, che immortala il commissario Ue per gli Affari economici Paolo Gentiloni mentre intona insieme ad altri colleghi del gruppo S&D le parole del famoso canto partigiano.
Oltre a Gentiloni, anche i vicepresidenti della Commissione Ue Frans Timmermans e Maros Sefcovic
Oltre a Gentiloni, anche i vicepresidenti della Commissione Ue Frans Timmermans e Maros Sefcovic, il commissario al Lavoro Nicolas Schmit, la commissaria per i Partenariati internazionali Jutta Urpilainen, la commissaria alla coesione Elisa Ferreira, e la presidente del gruppo S&D Iratxe García Pérez.
DA MELONI A SALVINI PASSANDO PER FORZA ITALIA: CENTRODESTRA IN RIVOLTA
Il commento delle forze di centrodestra italiane non s’è fatto attendere. Per primo è arrivato quello della presidente di Fratelli d’Italia (FdI) Giorgia Meloni. In un tweet Meloni ha scritto: «Solo io reputo scandaloso questo ridicolo teatrino da parte delle più alte istituzioni europee? Non hanno nulla di più importante di cui occuparsi?».
A ruota è arrivato il commento del leader leghista Matteo Salvini: «Ah beh, allora siamo a posto…! Complimenti a Pd e 5 Stelle per la scelta di Gentiloni come rappresentante dell’Italia in Europa, al prossimo giro canteranno anche Bandiera Rossa, poi Sanremo e tournée internazionale!».
Anche l’europarlamentare Fulvio Martusciello (Forza Italia), dal canto suo, ha scritto in una nota: «Ma pensassero a lavorare che sono pagati per questo. Bonino, Frattini o Tajani che pure sono stati commissari europei non lo avrebbero mai fatto. Non è un caso che i commissari che cantano sono tutti socialisti. Noi popolari siamo seri e una cretinaggine del genere non l’avremmo mai fatta».
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Più i sovranisti attaccano in modo sconclusionato il Salva Stati e più ottengono l'effetto di un Trattato scritto in modo improvvido: confermano ai mercati che i nostri conti pubblici sono davvero qualcosa da cui stare alla larga.
Mes sta per Meccanismo europeo di stabilità (o Esm,European stability mechanism), meglio noto agli italiani come Meccanismo salva Stati. «E rovina famiglie», aggiungono ora molti nel nostro Paese. Quando tutto è stato detto sul Mes, quando attorno a esso sono state combattute tutte le battaglie possibili, commessi (da parte del governo Conte I e Conte II) vari errori di mancata informazione e coinvolgimento del parlamento e da parte di Matteo Salvini, di Giorgia Meloni e di altri sono state fatte squillare tutte le trombe più stonate del nazionalismo anti Ue, restano due domande ineludibili.
COSA RESTA DEL POLVERONE SUL MES
La prima e più importante è questa: ma quanto pensiamo di potere andare avanti con un debito pubblicoin costante crescita e non lontanissimo ormai dal ferale traguardo psicologico del 140% del Prodotto interno lordi (Pil) e dei 2.500 miliardi di euro, superato il quale tutto si complicherà ancor più? Siamo infatti oggi a 2.439 miliardi e al 137,7% del Pil. Secondo la Commissione Ue, a politiche costanti il debito aumenterebbe di 10 punti di Pil in meno di un decennio; secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi) salirebbe – e anche questa come quella dell’Ue è una previsione del luglio 2019 – al 160% del Pil in circa 15 anni. La classe politica italiana – e con lei molti milioni di cittadini – rifiuta di porsi questa domanda; quando altri la mettono nero su bianco si adontano, rifiutano di ammettere che il primo problema è il debito in sé, non il fatto che gli altri ce lo ricordino.
I DUBBI SENSATI DI GALLI
La seconda domanda recita: ma questo meccanismo del Mes a noi conviene? Chi ha additato molto di recente tutti i problemi e indicato la necessità di alcuni cambiamenti nella riforma del trattato Mes, come l’economista Giampaolo Galliin una recente audizione alla Camera, ha comunque una risposta chiara, che quanti fra le file della Lega e altrove hanno utilizzato la parte critica del suo intervento si sono regolarmente dimenticati di menzionare.
Le proposte di riforma formulate dall’Eurogruppo presentano aspetti positivi, ma anche alcune delle criticità per un Paese come l’Italia
Giampaolo Galli, economista
«Il Mes», dice Galli concludendo, «è un’istituzione molto utile che deve continuare ad avere il pieno sostegno dell’Italia. Le proposte di riforma che sono state formulate dall’Eurogruppo (i ministri economici della zona euro, ndr) dello scorso giugno presentano aspetti positivi, ma anche alcune delle criticità per un Paese come l’Italia…». Ugualmente parziale è stato l’uso delle parole del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, che comunque ha chiaramente espresso preoccupazione per alcuni passaggi della proposta di riforma. Va aggiunto il recente e chiarissimo avvertimento del presidente Abi Antonio Patuelli: se il testo definitivo Mes avrà clausole che di fatto indeboliscono da subito la credibilità del debito pubblico italiano le banche, che hanno oggi circa 400 miliardi di titoli sovrani italiani in portafoglio, ridurranno gli acquisti.
IL SALVA STATI, PICCOLO FONDO MONETARIO DEI PAESI EURO
Il Mes è nato nel 2011 per volontà degli allora 17 e oggi 19 Paesi dell’area euro, della Commissione e della Bce, ed è attivo dal 2012; inglobava forme già esistenti ma meno strutturate di aiuto dell’Unione monetaria a chi fra i Paesi membri fosse in difficoltà, in particolare di fronte a una sfiducia dei mercati e a un rischio di default. I primi crediti sono andati a Portogallo, Irlanda e Grecia e completano la lista di quanto concesso a Spagna e Cipro. È una specie di “piccolo” Fondo monetario dei Paesi euro. Come il Fondo fa dal 1946 per un numero crescente di Paesi – 26 all’inizio e oggi 189 – il Mes indica le condizioni del suo aiuto, che possono arrivare a una ristrutturazione del debito, come noto con conseguenze, tra l’altro, per i creditori.
In definitiva, il Mes fa quello che la Bce, data la sua natura sovranazionale, ha difficoltà a fare, e cioè il prestatore di ultima istanza. È autonomo dalla Commissione, che come la Bce partecipa ai suoi lavori ma senza diritto di voto, e ha una struttura con sede a Lussemburgo, quasi 190 dipendenti, un segretario generale di fresca nomina, uomo chiave della struttura, che è italiano, Nicola Giammarioli (quindi non è vero che non c’è nessun italiano, come detto da Claudio Borghi). Ha un capitale di 500 miliardi di euro assicurato, e di cui solo una quota minore è disponibile, dagli Stati dell’euro e proporzionale alla loro quota di partecipazione alla Bce; il Mes inoltre si finanzia all’occorrenza sul mercato obbligazionario con titoli garantiti dal sistema Ue.
ABBIAMO UN DEBITO FUORI CONTROLLO MA TEMIAMO IL MES
Sarebbe lungo elencare nei dettagli le “criticità” per l’Italia e altri, dettagli tutti importanti in questioni di questo tipo e tutti analizzati ad esempio da Galli, il cui chiarissimo intervento alla Camera, una decina di cartelle, è reperibile sul sito personale Giampaologalli.it. Basti dire che ciò che viene lamentato dai critici – in primisMatteo Salvini, in modo però troppo enfatico, catastrofico e irresponsabile, tipico della permanente campagna elettorale italiana – è la inevitabile creazione di due categorie di Paesi, i “buoni” e i “cattivi”. I “cattivi” sarebbero quindi subito svantaggiati sui mercati. Questo vuol dire Salvini quando afferma in vari modi che il nuovo Mes danneggia gli italiani.
Arrivato a un certo punto ogni debito pubblico è un rischio nazionale e danneggia anche i partner di un’unione economica e monetaria
Questo ovviamente va evitato a ogni costo, anche perché ci sono due verità solo apparentemente contraddittorie che convivono: la prima è che arrivato a un certo punto ogni debito pubblico è un rischio nazionale e danneggia anche i partner di un’unione economica e monetaria; la seconda è che per valutare non questo debito, fatto oggettivo, ma la sua sostenibilità va considerato il quadro complessivo di un Paese, dai conti con l’estero al risparmio ad altro, tutti fattori che l’Italia cita molto spesso a sostegno della chiara sostenibilità della sua situazione. È anche per questo che, giustamente, insieme ad alcuni altri Paesi l’Italia è tiepida verso una riforma che accentua l’autonomia iniziale del Mes rispetto alla Commissione Ue, sede più adatta per valutazioni politiche, mentre con il Mes sono i governi e il Consiglio che preferiscono tenere il pallino in mano.
Quello che ci dimentichiamo volentieri è la realtà dei conti pubblici e il fatto che prima o poi qualcuno, i mercati in ultima istanza e prima ancora eventualmente il Mes, ci diranno di usarla quella massa di risparmio per avviare la discesa del debito, ad esempio con un prestito forzoso e quindi assai doloroso. Se va avanti così, se nessuna finanziaria riesce a invertire la rotta dei conti pubblici, non potrà che accadere, a qualche punto nel prossimo decennio. E allora, sarà colpa del Mes, di Bruxelles, o di Berlino, o sarà prima di tutto colpa nostra, e dei politici che non solo non ci hanno messo sull’avviso, non solo non ci hanno provato, ma dicevano che era tutta «colpa dell’Europa»? Il senatore Salvini dovrebbe guardare per primo con grande timore a questo redde rationem.
QUELLE PAROLE DI BORGHI PERICOLOSE PER I MERCATI
Certo, Berlino vuole ora, con altri, la riforma Mes perché ha il problema di alcune sue banche a partire da Deutsche Bank ma non solo, e presto sarà assai costoso salvarle, e vuole dare più sostanza alla triade Mes -Unione bancaria- avvio (prudente) di un bilancio comune dell’area euro. Ma è proprio su questo do ut des che si doveva e si deve trattare, mercanteggiare in perfetto stile Ue, creandosi alleati, e difendendo le buone ragioni italiane. Indebolite da tempo, tuttavia, dall’intrattabilità del debito. Oggi Salvini minaccia querele, fa circolare sindromi da complotto anti italiano, parla di tradimento, termine cruciale per ogni nazionalista quando passa dalla contesa politica alla criminalizzazione dell’avversario. Ma Salvini e con lui Luigi Di Maio non si sono macchiati di nessuna forma di tradimento quando per propri vantaggi elettorali hanno aggiunto ai conti nazionali voci di spesa ingenti e discutibili come il Reddito di cittadinanza e Quota 100?
La polemica sul Mes ha fatto uscire in fretta e alla grande Borghi dal sottoscala dove la apparente semi-conversione salviniana sui temi europei
E come fa l’ineffabile Claudio Borghi a tuonare contro il «pericolo devastante» del nuovo Mes, lui che ha dato – l’anno scorso soprattutto – un contributo notevole con le sue parole avventate a indebolire il valore dei Btp e di altri titoli sovrani italiani, per arrivare poi al capolavoro monetario da Repubblica delle banane dei minibot? La polemica sul Mes ha fatto uscire in fretta e alla grande Borghi dal sottoscala dove la apparente semi-conversione salviniana sui temi europei, vana illusione, sembrava averlo confinato. Ora è di nuovo un combattente per la libertà dall’Europa e dall’euro, emblema di una nazione alla deriva. Più attaccano in modo sconclusionato il Mes e più fanno ciò che ugualmente fa e farebbe un Trattato scritto in modo improvvido sui temi del debito: confermano ai mercati nel dubbio che i nostri conti pubblici sono davvero qualcosa da cui stare alla larga. L’ultima asta dei titoli di Stato italiani è risultata infatti la settimana scorsa un mezzo flop.
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La tedesca non apre alla flessibilità di bilancio sugli investimenti verdi perché vi sarebbe «da parte degli Stati la tentazione di fare del green washing», un ambientalismo di facciata.
In un’intervista al Sole 24 Ore e altri quotidiani stranieri Ursula Von der Leyen ha messo fine alle speranze di chi voleva la riconversione verde non calcolata dalle spese in deficit. «No allo scorporo degli investimenti green dal calcolo del deficit», ha affermato la neo presidente della Commissione. La tedesca non apre alla flessibilità di bilancio sugli investimenti verdi perché vi sarebbe «da parte degli Stati la tentazione di fare del green washing», un ambientalismo di facciata. E aggiunge che già «c’è sufficiente margine di manovra nel Patto a favore degli investimenti».
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Via libera alla Commissione. La presidente cita l'emergenza dell'acqua alta a Venezia come simbolo della lotta al riscaldamento globale. E sui profughi chiede «solidarietà» da parte degli Stati membri, parlando di un approccio «umano». Le sfide.
Nel discorso prima del voto di fiducia alla sua squadra, l’ex ministra della Difesa tedesca ha citato il caso di Venezia sott’acqua, lanciando poi un monito a «non perdere neanche un secondo». Propositi pronti a prendere forma nel pacchetto sul Green New Deal che il neo esecutivo comunitario intende mettere sul tavolo nei primi 100 giorni.
«ITALIA, SERVE EQUILIBRIO TRA CONTI E INVESTIMENTI»
Sull’Italia, in particolare, ha detto poi a SkyTg24 che è «molto importante trovare un giusto equilibrio tra conti pubblici solidi, di cui c’è ovviamente bisogno, e gli investimenti per cui c’è abbastanza spazio».
MIGRANTI DA TRATTARE IN MODO «UMANO, EFFICACE ED ESAUSTIVO»
Spazio in Aula anche al tema dei migranti, che va trattato in modo «umano, efficace ed esaustivo», ha avvertito Von der Leyen, con ogni Stato membro chiamato a «mostrare solidarietà». Alla neo presidente non resta che mettersi al lavoro, conscia del fatto di avere alle spalle «un’ampia e stabile maggioranza», ma di poter contare allo stesso tempo anche su maggioranze trasversali a seconda dei temi affrontati di volta in volta.
POPOLARI, S&D E LIBERALI COMPATTI A FAVORE
In effetti il via libera è arrivato con numeri larghi: le tre grandi famiglie politiche dell’Eurocamera – Popolari, Socialisti & democratici e liberali di Renew Europe – hanno votato in modo compatto a favore, con qualche piccola sbavatura solo tra le file socialiste. Si è invece spaccata la delegazione dei cinque stelle (a luglio era stata determinante per eleggere la tedesca): 10 hanno votato a favore, due si sono astenuti e altri due hanno detto no.
CONSENSO MAGGIORE RISPETTO AL PREDECESSORE JUNCKER
Divisi anche i conservatori, con la bocciatura di Fratelli d’Italia e i sì del Pis polacco. Ma pure i Verdi si sono sfilacciati, e la maggioranza del gruppo si è astenuta. Dai sovranisti di Identità e democrazia (di cui fa parte la Lega) è invece arrivata una unanime porta in faccia. Complessivamente comunque la nuova Commissione – promossa con 461 sì, 157 contrari e 89 astenuti – ha portato a casa un ottimo risultato, facendo meglio di quella precedente targata Juncker: nel 2014 l’esecutivo del lussemburghese ebbe 423 voti a favore, 209 contrari e 67 astenuti (su 751 eurodeputati). I numeri ci sono, alla squadra composta da 27 commissari – manca quello britannico – ora non resta che affrontare le sfide enunciate.
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Con la preferenza palese, la maggioranza Ppe, socalisti e liberali dovrebbe reggere. Il M5s ha comunque deciso di votare a favore, mentre i Verdi hanno parlato di un'astensione ragionata e qualche voto potrebbe arrivare dalle fila dei conservatori, in particolare del Pis, All'opposizione l'estrema destra, con Fdi e Lega, e la sinistra europea.
Il giorno è infine arrivato: dopo tre aspiranti commissari bocciati – della Francia, dell’Ungheria e della Romania – dopo sostituzioni in corsa, polemiche e franchi tiratori – la nuova squadra della Commissione europea – senza il commissario britannico per via della Brexit – è pronta per cercare la conferma del parlamento europeo.
M5s e PIS CON LA MAGGIORANZA PPE, SOCIALISTI E LIBERALI
La sua presidente Ursula von der Leyen ha ottenuto il mandato con appena nove voti sopra la maggioranza: fondamentali dunque erano stati i voti del Movimento Cinquestelle che hanno definitivamente diviso le strade di grillini e leghisti, a Bruxelles ma anche a Roma. Per il voto sulla commissione, palese, la maggioranza Ppe, socalisti e liberali dovrebbe reggere. Il M5s ha comunque deciso di votare a favore, mentre i Verdi hanno parlato di un’astensione ragionata e qualche voto potrebbe arrivare dalle fila dei conservatori, in particolare del Pis, il partito di governo polacco. All’opposizione l’estrema destra, con Fdi e Lega, e la sinistra europea.
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La polemica sovranista rischia di far dimenticare che si tratta di un’istituzione necessaria, soprattutto per un Paese con un debito monstre come l'Italia. E che a gridare «al lupo al lupo» sono gli stessi lupi: coloro che più di tutti hanno contribuito a rendere fragile il nostro Paese con parole a vanvera e azioni dissennate gridate dal balcone.
Il confuso dibattito sul Mes, dominato dalle grida dei sovranisti, rischia di far dimenticare che il Mes è un’istituzione molto utile, soprattutto per un Paese come l’Italia con il suo debito pubblico monstre.
L’esigenza di dotare il sistema comunitario di un fondo in grado di sostenere le economie più deboli si manifestò prima con la crisi greca e poi con quelle di Cipro, Portogallo, Irlanda e Spagna. Proprio l’esperienza greca convinse l’Eurogruppo a costituire uno stabile sistema di salvaguardia, il Mes, dotato di un capitale molto consistente (704 miliardi sottoscritti, di cui 80 versati) e della possibilità di emettere una grande quantità di obbligazioni per finanziare a tassi di favore e con scadenze fino a 40 anni Paesi in difficoltà.
I prestiti del Mes sono inoltre la porta di accesso alle Omt (Outright Monetary Transaction), operazioni teoricamente illimitate a sostegno di un Paese che furono introdotte assieme alla famosa affermazione di Mario Draghi nel 2012 che l’euro sarebbe stato salvato con qualunque mezzo (whatever it takes).
IL MES È UNA RETE DI SICUREZZA PER I PAESI IN DIFFICOLTÀ
In sostanza il Mes è una rete di sicurezza a favore di Paesi in difficoltà; è proprio quel prestatore di ultima istanza di cui molti avevano denunciato l’assenza. È anche utile ricordare ai nostri sovranisti che il Mes è una manifestazione di solidarietà dei Paesi più solidi nei confronti degli altri: la Germania, con una quota del 27%, è infatti di gran lunga il principale contributore, anche se è del tutto improbabile che possa aver bisogno della sua assistenza. Anche se andassero in crisi le maggiori banche tedesche, la Germania, avendo un debito inferiore al 60% del Pil, sarebbe in grado di cavarsela sa sé. L’Italia invece contribuisce con il 17% (che corrisponde a 14 miliardi).
LA RIFORMA NON STRITOLA IL NOSTRO PAESE
È anche sbagliato vedere la riforma come un modo per “stritolare l’Italia”, come è stato detto in questi giorni. Nessun leader europeo ha voglia di trovarsi a dover gestire il guaio immenso che sarebbe per l’intera Europa un default dell’Italia. La finalità della riforma è quella di rendere più solida l’Eurozona, attraverso il potenziamento dei prestiti precauzionali e l’introduzione del backstop bancario, ossia della rete di sicurezza per il Fondo di Risoluzione Unico delle banche; questi sono passi avanti, anche se abbastanza limitati.
IL NODO DELLA RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO
Il punto critico riguarda la possibile ristrutturazione dei debiti pubblici. Qui va subito chiarito che, come ha spiegato nei giorni scorsi l’ex-ministro Giovanni Tria, non è passata la linea oltranzista, sostenuta in particolare dall’Olanda, secondo cui un Paese che si rivolge al Mes per assistenza deve preventivamente ristrutturare il proprio debito. La proposta di revisione del Trattato, che dovrebbe essere approvata dai governi a dicembre e sottoposta successivamente alla ratifica dei parlamenti nazionali, prevede infatti una cosa diversa e cioè una preventiva analisi di sostenibilità del debito. Solo se l’esito di tale analisi è negativo si apre la strada della ristrutturazione. L’aver definito questa sequenza di adempimenti in modo assai prescrittivo è il motivo per il quale molti analisti economici, a cominciare dal governatore Visco, hanno espresso delle perplessità.
GLI UNICI A PREOCCUPARSI SONO GLI ITALIANI
Il timore è che si replichi il guaio di Deauville, la cittadina francese in cui, a margine di vertice europeo, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, nell’ottobre del 2010, parlarono per la prima volta di «coinvolgimento del settore privato» che è una perifrasi per ristrutturazione del debito pubblico; il riferimento era alla Grecia, ma gli effetti di contagio furono notevoli sull’Italia e sugli altri Paesi della cosiddetta periferia dell’Eurozona. Ma anche qui è bene chiarire che queste preoccupazioni derivano dal fatto che l’Italia è un Paese che sta perennemente sull’orlo del baratro a causa dell’alto debito pubblico e della mancanza di politiche che possano rilanciare la crescita, migliorare l’avanzo primario e, in definitiva, porre su una traiettoria chiaramente discendente il rapporto debito/Pil. Non è un caso che gli unici che si preoccupano di questa riforma sono gli italiani; gli altri Paesi hanno fatto le riforme che erano necessarie e sono oggi tutti più solidi dell’Italia, come mostra il fatto che il nostro spread con la Germania è il più alto dell’intera Eurozona.
I MOTIVI ALLA BASE DELLA RIFORMA
Se l’Italia fosse riuscita a fare le riforme che ha fatto per esempio la Spagna non si preoccuperebbe oggi del nuovo Trattato Mes le cui finalità, per quello che riguarda la gestione dei debiti pubblici, sono, di per sé, ragionevoli. La prima ragione della riforma riguarda l’azzardo morale. Si sostiene che occorre mantenere aperta la possibilità di una ristrutturazione, altrimenti viene meno qualunque incentivo a mettere ordine nei conti pubblici. Sapendo che tanto, in caso di crisi, interverrà il Fondo Salva Stati, i mercati non prezzano il rischio di un Paese e il governo può accumulare debiti quasi senza limiti. La seconda ragione della riforma nasce dall’esperienza della Grecia: nel periodo fra il 2010, quando scoppiò la crisi, e il 2012, quando fu attuata la ristrutturazione del debito, i prestiti dell’Efsf (l’istituzione temporanea che fu poi sostituita dal Mes) andarono in parte a rimborsare i creditori della Grecia e, fra questi, le banche tedesche e francesi che erano molto esposte con la Grecia. Per evitare questo esito e far sì che i prestiti vadano effettivamente ad aiutare la nazione in difficoltà, occorre aver attuato preventivamente una ristrutturazione del debito. È curioso che proprio coloro che sostengono che il Mes serve per salvare i creditori, allora le banche francesi e tedesche, ora strepitino contro l’unica soluzione che può effettivamente evitare che ciò avvenga.
I TIMORI SONO LEGATI ALLE NOSTRE MANCANZE
In conclusione, i timori di un giudizio negativo sulla sostenibilità del nostro debito da parte di Mes e Commissione attengono più alla nostra incapacità di dotarci di una disciplina di bilancio che guardi alla crescita e alle riforme e meno agli sforamenti del deficit. A gridare «al lupo al lupo» sono gli stessi lupi, ossia coloro che più di tutti hanno contribuito a rendere fragile l’Italia, con parole a vanvera e azioni dissennate gridate dal balcone.
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