Paragone fa l’elenco degli M5s che non versano i rimborsi

Il senatore punta il dito contro Ruocco, Catalfo, Dadone, D'Uva. E molti altri. «Il capo politico ha fatto finta di non sapere».

Non ci sta, Gianluigi Paragone, a farsi giudicare per una eventuale espulsione dal Movimento Cinque stelle. E in un video pubblicato su Facebook se la prende con tutti, con la ministra Fabiana Dadone chiamata a valutare il suo comportamento nei confronti del partito in qualità di probiviro e con tutti quelli che stanno nel Movimento senza versare i rimborsi. E li nomina uno per uno.

«DADONE IN CONFLITTO DI INTERESSE»

«A proposito di probiviri, la onorevole e ministro Fabiana Dadone che è ‘probiviro’ dovrà giudicarmi, ma è in conflitto di interesse, oltre ad essere incompatibile, perché non si può essere proboviro e ministro.. Ma soprattutto: la sue restituzioni sono ferme a 5 mensilità.. gliene mancano un bel pò!», ha attaccato Paragone, annunciando: «Allora, figlia mia, dovrai giudicare anche su te stessa perché io, se non ti metti in regola, sarò costretto a farti un esposto per chiedere l’espulsione dal gruppo perché io, invece, ho pagato e rendicontato tutto».

« IL CAPO POLITICO HA FATTO FINTA DI NON SAPERE»

Il senatore poi ha allargato il campo delle accuse: «Io rischio di essere espulso dal gruppo perché ho detto No e visto che ai probiviri piace il rispetto delle regole è giusto che anche io chieda il loro intervento: tra quelli che non sono in regola con i pagamenti ci sono ministri, presidenti di commissione… Mi sono rotto le scatole della gente che predica bene e razzola male!». E giù a fare l’appello nome per nome: Tutti lo sapevano. C’è gente che dall’inizio dell’anno non ha rendicontato nulla: Acunzo, Aprile, Cappellani, Del Grosso, Dieni, Fioramonti, che lo hanno anche fatto ministro, e poi Frate, Galizia, Grande, Lapia, Romano, Vacca, Vallascas, Giarrusso: lo sapevano tutti perché su Rendiconto c’è tutto e loro non hanno rendicontato nulla e allora il capo politico dov’è? Ha fatto finta di non sapere…».

«SEGNALERÒ TUTTI QUELLI SOTTO I SEI MESI»

Poi, continua il senatore, «tra chi ha pagato poco ho il piacere di segnalare la Nesci, che si voleva candidare in Calabria e soprattutto Carla Ruocco, presidente della Commissione Finanze e che vuole andare a fare la presidente della Commissione di inchiesta sulle banche: è ferma solo a tre mensilità. Poi c’è il ministro del lavoro Nunzia Catalfo, che è ferma a due mesi; è importante che proprio loro si mettano in regola”. Paragone cita poi anche quelli che hanno rendicontato “proprio tutto” e, tra i vari, cita anche Lucia Azzolina e Francesco D’Uva.. E conclude: «sarà mia premura segnalare ai probiviri tutti quelli che sono sotto i sei mesi».

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Fioramonti e la risposta polemica alle critiche M5s

L'ex ministro al contrattacco dopo le dimissioni: «Stupiscono critiche dai vertici, sistema dei rimborsi poco trasparente».

«Mi stupisce che tante voci della leadership del M5s mi stiano attaccando. E per che cosa? Per aver fatto solo ciò che ho sempre detto». È quanto afferma in un lungo post su Facebook l’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, rispondendo alle critiche arrivate dai cinque stelle dopo la sua decisione di lasciare il governo.

«CRITICATO PER AVER FATTO CIÒ CHE AVEVO ANNUNCIATO»

«Credo che sia la prima volta nella storia del nostro Paese che un ministro venga criticato perché ha fatto ciò che aveva annunciato. Non da giorni, ma da mesi. Io sono così: se una cosa la dico poi la faccio e per questo ho lottato senza sosta, anche da ministro, per porre la questione nel governo», ha detto Fioramonti, ricordando che le prime interviste in cui annunciò che si sarebbe dimesso se non avesse trovato almeno un miliardo per la ricerca risalgono a giugno prima sul Fatto Quotidiano e poi su La Verità, quando era ancora viceministro del governo Conte uno.

«SISTEMA DEI RIMBORSI FARRAGINOSO E POCO TRASPARENTE»

«Non possono mancare le solite polemiche sui rimborsi», ha aggiunto poi replicando a chi nel Movimento lo ha accusato di non aver restituito circa 70 mila euro.. «In tanti, nel Movimento, abbiamo contestato un sistema farraginoso e poco trasparente di rendicontazione». E ancora: «Dopo aver restituito puntualmente per un anno, come altri colleghi, ho continuato a versare nel conto del Bilancio dello Stato e le mie ultime restituzioni saranno donate sul conto del Tecnopolo Mediterraneo per lo Sviluppo Sostenibile, un centro di ricerca pubblico che, da viceministro prima e da ministro poi, ho promosso a Taranto, una città deturpata da un modello di sviluppo sbagliato. Ed invito anche altri parlamentari M5s a fare lo stesso, non appena il conto sarà attivo».

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Il M5s ruba al Pd l’imbarazzante idea della sitcom politica

I senatori Taverna e Castaldi protagonisti di una grottesca messinscena in cui elogiano la manovra fingendosi a Camera Café. Un format mutuato dal Partito democratico. Con gli stessi risultati tragicomici.

Il M5s ha preso in prestito dal suo nuovo alleato di governo, il Pd, un formato di dubbio gusto estetico: la sitcom politico-elettorale. Trattasi di una vera e propria messinscena in cui i politici di turno si improvvisano attori in un siparietto che vorrebbe dare l’illusione dell’autenticità (generando nello spettatore il risultato opposto, oltre che un certo imbarazzo). La clip regalata dal Movimento 5 Stelle agli italiani per Natale vede la vice presidente del Senato Paola Taverna e il sottosegretario per i Rapporti con il parlamento Gianluca Castaldi discutere animatamente delle novità per le famiglie passate con la manovra.

Nel botta e risposta, cui fa da sottofondo un’allegra canzone natalizia, il sottosegretario assume il ruolo dell’ingenuo che si chiede candidamente come mai una legge di Bilancio così perfetta non sia stata votata dall’opposizione. E in particolare dalla «madre del popolo», un chiaro riferimento a Giorgia Meloni. «Quella i soldi ce l’ha, ma che vuoi che ne sappia delle famiglie che non arrivano a fine mese. Altrimenti questa manovra, vedevi come la votava», la risposta della pasionaria pentastellata (che sottintende, tra l’altro, l’idea per cui chi «c’ha i soldi» se ne dovrebbe fregare della famiglie). Il tutto si chiude con risate di dubbia spontaneità e un bicchierino di caffè con la scritta “Parlamento Cafè” e il simbolo del M5s.

L’IDEA MUTUATA DAL PD

L’idea della sitcom come mezzo politico per attaccare un avversario non è però marchio originale Movimento 5 Stelle. I primi ad adottarla nel formato della messinscena erano stati i rappresentanti del Partito democratico nel settembre 2018, quando ancora erano all’opposizione del governo Conte I.

I tre deputati Alessia Rotta, Alessia Morani e Franco Vazio, seduti su un divanetto, si mostrano indignati per una festa del Carroccio a base di porchetta nella sede del Ministero dell’Interno. Anche qui il meccanismo è quello di uno degli attori che finge di chiedere agli altri spiegazioni per un fatto increscioso. Anche qui il risultato era grottesco, ma evidentemente è piaciuto al M5s tanto da replicarlo.

LA CRITICA DI LUCA BIZZARRI

Il tentativo pentastellato di rifarsi a Camera Café è stato subito criticato proprio da uno dei protagonisti della fortunata sitcom, Luca Bizzarri. L’attore ha stroncato su Twitter il video mettendone in luce i difetti. D’altronde ben visibili anche ai non addetti ai lavori.

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La finanza indaga sui soldi di Onorato a Grillo e Casaleggio

Pubblicità sul blog per 240 mila euro in due anni. E un accordo per una strategia di comunicazione da 600 mila euro. Ma dietro c'è l'ombra della ricerca di un appoggio politico.

Non solo i soldi a Open, ora anche quelli versati al Movimento 5 Stelle e al blog di Beppe Grillo riportano l’armatore Vincenzo Onorato sotto la lente d’ingrandimento della Guardia di finanza. Una segnalazione dell’Unità antiriciclaggio di Bankitalia ha infatti indicato come oltre ai 150 mila euro elargiti alla fondazione che ha contribuito a portare Matteo Renzi fino a Palazzo Chigi (50 mila a titolo personale, 100 mila versati dalla sua società), il patron di Moby e Tirrenia ne abbia pagati circa 800 mila alla società che gestisce il blog di Beppe Grillo e alla Casaleggio associati.

10 MILA EURO AL MESE PER UNO SPOT

Secondo Corriere della Sera, la Stampa e il Messaggero, che hanno ricostruito la vicenda, si tratterebbe di due accordi diversi. Il primo è una partnership di due anni (2018 e 2019) con la Beppe Grillo srl, l’azienda che gestisce il blog del fondatore del Movimento 5 stelle da 120 mila euro l’anno in cambio di uno spot al mese da pubblicare anche su Facebook, Twitter e Instagram. Gli investigatori stanno conducendo verifiche sui prezzi offerti ad altri inserzionisti per capire se si tratti di una tariffa esagerata che dunque potrebbe nascondere un finanziamento politico volto a ottenere vantaggi normativi. Il secondo accordo è quello siglato con la Casaleggio Associati il 7 giugno 2018 e prevede la «stesura di un piano strategico e la gestione di iniziative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica e gli stakeholder del settore marittimo sulla limitazione dei benefici fiscali del Registro Internazionale alle sole navi che imbarcano equipaggi italiani o comunitari». Prezzo: 600 mila euro con alcune clausole legate al raggiungimento di determinati risultati.

LA BATTAGLIA PER I MARITTIMI ITALIANI

Ed è proprio sul fronte dei benefici fiscali del Registro internazionale alle navi che imbarcano equipaggi italiani o comunitari che gira la questione. È una vecchia battaglia di Onorato, che in più occasioni della scelta di ingaggiare solo marittimi italiani ha fatto un vanto per la sua azienda. E che per questo richiede vantaggi fiscali. È per questo motivo che secondo la procura di Firenze avrebbe finanziato Open: per ottenere benefici dai governi di centrosinistra. E i fondi elargiti a Grillo e Casaleggio potrebbero suggerire una ripetizione dello schema per cercare di garantirsi una sponda da diverse forze politiche. Un appoggio che sicuramente ottenne, anche in forma pubblica, da parte di Grillo, che nel settembre 2018 pubblicò un tweet rilanciando un articolo sul suo blog a sostegno della battaglia di Onorato per i marittimi italiani.

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SOTTO LA LENTE DELL’UE

Le somme elargite da Onorato al M5s sono ritenute sospette «sia per gli importi, sia per la descrizione generica della prestazione ricevuta, che per la circostanza di essere disposti a beneficio di persone politicamente esposte», scrive l’Uif nel documento inviato alla guardia di finanza. La compagnia di Onorato ha il monopolio su alcune rotte marittime ed è titolare di una convenzione con lo Stato da 72 milioni di euro l’anno finita in un’istruttoria dell’Unione europea nel sospetto che possa trattarsi di «aiuti di Stato».

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Cresce la fronda contro Paragone nel M5s

Dopo il no solitario alla manovra del giornalista, sempre più senatori pentastellati chiedono le sue dimissioni.

«I fuoriusciti dal M5s? Io non riesco a convincere nessuno, se una persona cambia idea lo può fare»: allarga le braccia Beppe Grillo prima di incontrare i gruppi parlamentari del Movimento. Dove tuttavia risulta assente Gianluigi Paragone, unico senatore pentastellato ad aver votato “no” alla manovra a Palazzo Madama. Contro il giornalista sembra montare una nuova fronda tra i grillini, e chiedono le sue dimissioni il vicepresidente del Gruppo alla Camera, Riccardo Ricciardi e il deputato Michele Gubitosa.

«Paragone dovrebbe dimettersi da parlamentare. Oltre a non aver votato la fiducia alla manovra (…) continua ad attaccare Luigi Di Maio. Ci chiediamo perché, invece di continuare a provocare, non si dimetta da parlamentare visto che, ormai, non è più in linea con le battaglie del Movimento?», è stato l’attacco diretto di Gubitosa.

«Sin dal post voto delle elezioni europee, si è allontanato dalle posizioni del MoVimento, e si è avvicinato sempre di più a quelle dell’opposizione. Dai nostri iscritti abbiamo ricevuto il mandato chiaro di sostenere questo esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Paragone non rispetta né loro, né tutti gli altri portavoce in parlamento che lavorano per l’esclusivo interesse dei cittadini. (…) Sia coerente, almeno per una volta e, come aveva annunciato di fare quest’estate, lasci il parlamento», ha fatto sapere in una nota il vicecapogruppo alla Camera Ricciardi.

«#ParagoneShow è in stato confusionale. Dategli un programma Tv da condurre o un giornale da guidare, sarà in crisi d’astinenza da palcoscenico. Ha buone esperienze come guida del quotidiano La Padania e come vice-direttore di Libero», ha scritto in un post il presidente della commissione Cultura M5s Luigi Gallo.

«Paragone può andare via se non si trova più bene nel M5S, ma sia chiaro: chi si dimette va a casa», ha detto il senatore M5 Gianluca Ferrara, lasciando la riunione con Beppe Grillo.

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Tutti i guai di Lannutti, il candidato grillino alla commissione banche

I post antisemiti e complottisti, il figlio assunto alla Popolare di Bari: perché il senatore M5s è diventato un impresentabile per presiedere le indagini sul settore del credito.

Come la volpe e l’uva, adesso che il suo nome è di fatto impresentabile, dice che lui alla Commissione banche nemmeno ci voleva andare. E però è stato solo il 17 dicembre quando è emerso che il figlio era stato assunto dalla popolare di Bari, che Elio Lannutti, il senatore M5s paladino dei consumatori divenuto noto per post antisemiti e complottisti, ha spiegato che non ambiva all’incarico. Ma, contemporaneamente, che non ha nessuna intenzione di farsi da parte.

LEGGI ANCHE: Chi è Lannutti, il senatore dei post sui savi di Sion

«FACEVO IL TIFO PER PARAGONE»

«Alla commissione banche io non mi volevo neppure candidare: me lo hanno chiesto, io facevo il tifo per Paragone! Ma poi, con le procedure del M5S, mi hanno scelto. Dunque io sono il candidato del M5S e confermo che non farò nessun passo indietro», ha dichiarato spiegando che «chi spacca non sono io ma chi non voterà la mia persona».

Il senatore Elio Lannutti durante un dibattito parlmentare a Palazzo Madama. ANSA/ANGELO CARCONI

DI PIETRO A FARGLI DA AVVOCATO

«Non mi ritiro dalla corsa alla presidenza della commissione banche. Fin quando non mi chiederanno di lasciare io sono il candidato», ha ribadito Lannutti, dopo la notizia che suo figlio Alessio lavora alla Banca Popolare di Bari. «Io non ho mai voluto denunciare nessun collega, ma ora ho affidato la tutela del mio onore ad Antonio Di Pietro e ad Antonio Tanza, presidente dell’Adusbef», ha spiegato. «Cosa significa che mio figlio lavora in banca? Dov’è il conflitto di interesse? Andate a vedere il conflitto di interesse di coloro che hanno fatto i crack e non di uno che lavora onestamente. Vi dovete vergognare! Di Pietro mi difenda anche da questo!», ha detto dopo aver incontrato a Roma sia il fondatore del Movimento Cinque stelle Beppe Grillo che l’ex leader di Italia dei valori Antonio Di Pietro.

Antonio Di Pietro e Elio Lannutti escono dall’hotel Forum, dopo aver incontrato Beppe Grillo, Roma 17 dicembre 2019. ANSA / ALESSANDRO DI MEO

«QUESTA È MACCHINA DEL FANGO»

Questa si chiama macchina del fango, Alessio è il più giovane giornalista professionista, è stato giornalista parlamentare, si è laureato con 110 e lode, è stato licenziato, gli ho sconsigliato di continuare a fare il giornalista e ha trovato lavoro come impiegato”. Lei si deve occupare di banche quando suo figlio lavora alla Popolare di Bari: non c’è conflitto di interessi? “Ma lui lavora come impiegato”. Lei potrebbe avere un occhio di favore nei confronti della popolare di Bari anche per il fatto che suo figlio lavora come impiegato. “E dov’è il conflitto di interessi? Non esiste, è l’ennesima macchina del fango. Con grande rammarico ma ora ci saranno denunce penali e civili nei confronti di colleghi per questa campagna diffamatoria»”, conclude

MORANI: «SI RITIRI E CI TOLGA DALL’IMBARAZZO»

Contro la sua candidatura si erano espressi sia esponenti di ItaliaViva come Luigi Marattin che del Partito democratico Alessia Morani. «Dovrebbe essere Lannutti a ritirarsi dalla candidatura per la presidenza della commissione banche. Mi auguro che abbia la sensibilità di togliere la maggioranza da questo grande, gigantesco imbarazzo», ha dichiarato pubblicamente l’esponente dem.

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Tutti i guai di Lannutti, il candidato grillino alla commissione banche

I post antisemiti e complottisti, il figlio assunto alla Popolare di Bari: perché il senatore M5s è diventato un impresentabile per presiedere le indagini sul settore del credito.

Come la volpe e l’uva, adesso che il suo nome è di fatto impresentabile, dice che lui alla Commissione banche nemmeno ci voleva andare. E però è stato solo il 17 dicembre quando è emerso che il figlio era stato assunto dalla popolare di Bari, che Elio Lannutti, il senatore M5s paladino dei consumatori divenuto noto per post antisemiti e complottisti, ha spiegato che non ambiva all’incarico. Ma, contemporaneamente, che non ha nessuna intenzione di farsi da parte.

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«FACEVO IL TIFO PER PARAGONE»

«Alla commissione banche io non mi volevo neppure candidare: me lo hanno chiesto, io facevo il tifo per Paragone! Ma poi, con le procedure del M5S, mi hanno scelto. Dunque io sono il candidato del M5S e confermo che non farò nessun passo indietro», ha dichiarato spiegando che «chi spacca non sono io ma chi non voterà la mia persona».

Il senatore Elio Lannutti durante un dibattito parlmentare a Palazzo Madama. ANSA/ANGELO CARCONI

DI PIETRO A FARGLI DA AVVOCATO

«Non mi ritiro dalla corsa alla presidenza della commissione banche. Fin quando non mi chiederanno di lasciare io sono il candidato», ha ribadito Lannutti, dopo la notizia che suo figlio Alessio lavora alla Banca Popolare di Bari. «Io non ho mai voluto denunciare nessun collega, ma ora ho affidato la tutela del mio onore ad Antonio Di Pietro e ad Antonio Tanza, presidente dell’Adusbef», ha spiegato. «Cosa significa che mio figlio lavora in banca? Dov’è il conflitto di interesse? Andate a vedere il conflitto di interesse di coloro che hanno fatto i crack e non di uno che lavora onestamente. Vi dovete vergognare! Di Pietro mi difenda anche da questo!», ha detto dopo aver incontrato a Roma sia il fondatore del Movimento Cinque stelle Beppe Grillo che l’ex leader di Italia dei valori Antonio Di Pietro.

Antonio Di Pietro e Elio Lannutti escono dall’hotel Forum, dopo aver incontrato Beppe Grillo, Roma 17 dicembre 2019. ANSA / ALESSANDRO DI MEO

«QUESTA È MACCHINA DEL FANGO»

Questa si chiama macchina del fango, Alessio è il più giovane giornalista professionista, è stato giornalista parlamentare, si è laureato con 110 e lode, è stato licenziato, gli ho sconsigliato di continuare a fare il giornalista e ha trovato lavoro come impiegato”. Lei si deve occupare di banche quando suo figlio lavora alla Popolare di Bari: non c’è conflitto di interessi? “Ma lui lavora come impiegato”. Lei potrebbe avere un occhio di favore nei confronti della popolare di Bari anche per il fatto che suo figlio lavora come impiegato. “E dov’è il conflitto di interessi? Non esiste, è l’ennesima macchina del fango. Con grande rammarico ma ora ci saranno denunce penali e civili nei confronti di colleghi per questa campagna diffamatoria»”, conclude

MORANI: «SI RITIRI E CI TOLGA DALL’IMBARAZZO»

Contro la sua candidatura si erano espressi sia esponenti di ItaliaViva come Luigi Marattin che del Partito democratico Alessia Morani. «Dovrebbe essere Lannutti a ritirarsi dalla candidatura per la presidenza della commissione banche. Mi auguro che abbia la sensibilità di togliere la maggioranza da questo grande, gigantesco imbarazzo», ha dichiarato pubblicamente l’esponente dem.

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Di Maio prova a ricompattare il M5s: arrivano i “facilitatori”

Il leader del Movimento presenta il team che lo affiancherà nelle decisioni: «In questi anni mi sono sentito solo».

L’uomo «solo» al comando dei 5 Stelle prova a far ripartire il Movimento contando sulla condivisione delle responsabilità: oneri e onori. «In questi anni mi sono sentito molto solo, credo pure Grillo lo sia stato. Quando sei solo e prendi decisioni da solo e non ci sono persone legittimate con le quali condividerle tutto è molto difficile», ammette il capo politico del M5s annunciando dal palco del tempio di Adriano la partenza della fase 2 del M5s, quel rilancio nel segno della riorganizzazione della forza politica e della suddivisione delle responsabilità che dovrebbe anche metterlo al riparo dai continue critiche che gli arrivano dall’interno del Movimento. Ha costituito un “team” di 24 persone con dietro, ciascuna di esse, una squadra, per affiancarlo nelle decisioni: a breve seguirà anche la costituzione di un gruppo di facilitatori regionali che serviranno a fare da collante con i territori, il punto debole nella ramificazione del Movimento. «Stasera con questo evento possiamo chiudere un primo step di un processo di riorganizzazione partito quasi un anno fa: non è stato semplice. L’anno che sta per concludersi è quello in cui il Movimento ha raggiunto i dieci anni», ricorda il capo politico deciso a tirare le somme e ripartire con una nuova fase: «Siamo l’unica forza politica che fa decidere direttamente agli iscritti, anche per formare il governo. Gli unici a concepire un programma partecipato, per farlo diventare un programma di governo», ha detto Di Maio presentando il nuovo team. Poi ha aggiunto: «A volte una cosa buona deve finire affinché ne nasca un migliore. Oggi con la nascita del Team del Futuro permettiamo al Movimento di pensare ai prossimi dieci anni». Un punto dal quale ripartire, insomma, sapendo tuttavia che se «oggi nasce il Team del Futuro, non è la panacea di tutti i mali, non risolve tutti i problemi. È fatto di facilitatori, non di decisori. Ma qualcosa, per forza, dovrà cambiare. Lo promette il deputato Emilio Carelli che, ad esempio, va a supervisionare il settore della Comunicazione: «Dobbiamo scrivere un nuovo piano per la comunicazione che metta in luce gli aspetti positivi ma anche le criticità emerse», annuncia il giornalista che non nasconde le pecche a suo giudizio mostrate dalla comunicazione pentastellata. «Dobbiamo cambiare il tono e le strategie per rispondere agli attacchi che ci vengono rivolti e alle critiche, facendo ogni giorno un’analisi puntuale ed una verifica della nostra comunicazione», annuncia Carelli intenzionato ad affiancare l’opera di formazione della squadra di eletti anche attraverso corsi di “public speaking”. Poi c’è il ritorno all’ascolto della base, dei territori e non solo con la creazione dei nuovi facilitatori regionali ma anche con il rilancio del cosiddetto “Activism” che porterà avanti Paola Taverna. «Il Movimento è una piramide rovesciata, la base è il nostro vertice e noi dobbiamo rimanere degli umili portavoce. Chiedo scusa perché spesso si è creata una distanza, che dovrà essere colmata», confessa la vicepresidente del Senato che, dopo aver ammirato il successo di piazza delle Sardine, promette un cambio di regia: «Chiederò di ricominciare dall’ascolto, colmando quella distanza che si e’ venuta a creare con quella parte fondamentale del M5s, che è quella che sta nelle piazze e ai banchetti».

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Chi è Simone Benini, il candidato M5s in Emilia-Romagna

Il consigliere comunale di Forlì è risultato il più votato sulla piattaforma Rousseau con 335 voti. «Saremo le sentinelle dei cittadini», le sue prime parole.

Sarà il forlivese Simone Benini il candidato presidente del Movimento 5 stelle alle prossime Regionali in Emilia-Romagna. È risultato il più votato su Rousseau con 335 preferenze.

RINNOVABILI E SOSTENIBILITÀ TRA I PUNTI DEL SUO PROGRAMMA

Benini, 49 anni, è nato e vive a Forlì. Secondo la biografia diffusa dal M5s, è un piccolo imprenditore attivo nel campo It, sistemista programmatore senior, esperto di sistemi informatici. Politicamente, è legato alle energie rinnovabili, politiche rifiuti zero, sostenibilità ambientale applicata in ogni campo. È appassionato di apicultura ed è lui stesso apicoltore. Dal 2014 è consigliere comunale del M5s di Forlì, dove è stato riconfermato nel mandato a maggio di quest’anno. Durante il primo mandato è stato vice presidente della seconda Commissione consiliare programmazione, investimenti, urbanistica, ambiente, attività economiche.

«SAREMO LE SENTINELLE DEI CITTADINI»

«Saremo le sentinelle utili dei cittadini. Solo la nostra presenza permette di affrontare le sfide del futuro», sono state le prime parole, affidate a Facebook del neocandidato presidente. «Sarà una bellissima sfida che affronteremo tutti insieme, piazza per piazza, mercato per mercato. Come abbiamo sempre fatto», ha scritto Benini, certo «che solo una forte presenza del M5s in Assemblea legislativa metterà al centro i temi che interessano i cittadini e le sfide del futuro e non le solite lotte di potere tra partiti»

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Nel M5s anche Castaldo contro Di Maio sul listino bloccato

Il vicepresidente del parlamento Ue Castaldo, capo delegazione del M5s in Europa, contro il leader i suoi "facilitatori". E cioè la segreteria del M5s, di cui sei membri scelti direttamente dal ministro degli Esteri.

Dopo le fuoriuscite di Lucidi e Grassi, i due senatori che sono passati alla Lega, il M5s prova a cambiare pagina con il voto su Rousseau di quella che in altri partiti si sarebbe chiamata segreteria. Ma quel voto è un prendere o lasciare comprese le sei persone scelte direttamente dal capo politico Luigi Di Maio. Un metodo che non è piaciuto affatto a un nome che nel movimento sta acquisendo sempre più peso cioè quel Fabio Massimo Castaldo eletto vice presidente del parlamento europeo e che guida il gruppo grillino che a Bruxelles ha segnato il divorzio dalla Lega votando a favore della commissione di Ursula Von der Leyen.

Fabio Massimo Castaldo durante il convegno ”Open Democracy ? Democrazia in rete e nuove forme di partecipazione cittadina”, organizzato dal Movimento 5 Stelle alla Camera dei Deputati presso la Sala Mappamondo, 18 aprile 2016 a Roma. ANSA/FABIO CAMPANA

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«Una scelta d’ampia incoerenza: #iodicono alle liste bloccate!». Così in un post il vicepresidente M5s del Parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo commenta il voto in blocco su Rousseau del listino dei cosiddetti facilitatori nazionali scelti dal capo politico del Movimento Luigi Di Maio. «La trovo una scelta ampiamente incoerente: abbiamo portato avanti per anni la battaglia a favore delle preferenze nella legge elettorale, abbiamo combattuto sempre contro i listini bloccati e imposti dall’alto, e ora poniamo i nostri attivisti davanti a un voto del genere?», ha chiesto. «Credo che non sia affatto corretto presentare un listino bloccato e dare la possibilità di votare solamente Si o No all’intera lista: si sarebbe dovuto dare a tutti noi la possibilità di votare individualmente ogni componente di quella squadra. Mi sembra non solo incoerente, ma anche limitante», ha scritto su Fb, Castaldo protestando sulla scelta di far semplicemente ratificare dalla rete i sei facilitatori M5S scelti dal capo politico.

Il capo politico del M5s Luigi Di Maio.

Il ragionamento del vicepresidente del parlamento europeo prosegue: «Si sceglie, infatti, una squadra di 18 persone che affiancherà il capo politico del Movimento nei processi decisionali e nelle scelte programmatiche. In questo percorso «sei facilitatori sono indicati direttamente dal capo politico, con funzioni estremamente rilevanti, e oggi si vota anche per confermare o declinare tale scelta». Nel listino, sottolinea l’eurodeputato, ci sono nomi «diversi di assoluto valore per competenze, capacità e impegno dimostrato in questi anni. Ma in tutta franchezza non posso tacere sul fatto che ci sia un problema non tanto di merito, sul quale non voglio esprimermi per non influenzare in alcun modo il vostro giudizio». «Si sarebbe dovuto dare a tutti noi la possibilità di votare individualmente ogni componente di quella squadra. Svolgeranno funzioni molto diverse gli uni dagli altri, pertanto il voto avrebbe dovuto essere sulla competenza dei singoli» sostiene. Il problema, invece, è «di metodo. E per questo vorrei porre una riflessione a tutti noi attivisti».

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