Tre senatori pronti a passare alla Lega. Il Movimento è sempre più in balìa di correnti trasversali che si coagulano in gruppi e gruppetti a seconda del tema. Dal Mes fino all'Ilva. Chi sta con chi (fino alla prossima giravolta).
Quando in estate iniziò a concretizzarsi l’ipotesi di un governo giallorosso, in molti teorizzarono che sarebbe durato almeno fino all’implosione del Partito democratico. Il Pd, sebbene svuotato della sua componente renziana e calendiana, sta invece dando prova di una inattesa solidità. Non si può dire lo stesso del Movimento 5 stelle che, sballottato dai tanti inciampi elettorali (la perdita di 6 milioni di voti dalle politiche del 2018 alle europee del 2019 e la sconfitta a ogni tornata regionale cui si è presentato), sembra sempre più diviso in correnti.
Le scissioni sono tante e tali che si potrebbe persino dire che «l’uno vale uno» delle origini sia diventato «ciascun per sé»
Difficile presentare una mappa di ciò che sta avvenendo all’interno dei 5 stelle, galassia giorno dopo giorno più nebulosa. Le scissioni sono tante e tali che si potrebbe persino dire che «l’uno vale uno» delle origini sia diventato «ciascun per sé». Del resto, anche le correnti sono, per usare due termini cari ai grillini, “post ideologiche e trasversali” e si coagulano in gruppi e gruppetti a seconda del tema e, soprattutto, del mal di pancia. E se Luigi Di Maio derubrica tutto alle solite «sparate contro il Movimento» dei «giornaloni», è innegabile che sia proprio la sua leadership uno dei motivi principali delle innumerevoli divisioni. Ma, come vedremo, ricondurre tutto a un confronto serrato tra chi spinge perché l’alleanza con il Pd arrivi fino a fine legislatura e chi invece spera che Di Maio strappi sarebbe riduttivo.
DA FRACCARO A SILVESTRI: I FEDELI A DI MAIO
Anche nel M5s è possibile rinvenire, come nei grandi partiti, un cerchio magico. File che, però, si assottigliano giorno dopo: per un Riccardo Fraccaro (già scivolato nel gruppo dei governisti) che ripete che «la leadership non è in discussione» c’è chi, come Michele Gianrusso, attacca: «Non è vero che solo 10 parlamentari sono contro Di Maio. Semmai in 10 sono rimasti con lui. E se ricomincia a fare coppia con Di Battista, ne resteranno cinque». Si posizionano tra gli ultimi fedelissimi Pietro Dettori (braccio destro di Davide Casaleggio e ciò fa pensare che lo stesso Casaleggio appoggi Di Maio, contrariamente a Beppe Grillo che supporta invece i governisti), la viceministra Laura Castelli, il sottosegretario Manlio Di Stefano e Francesco Silvestri (in bilico tra dimaiani e nuova guardia) che Di Maio voleva capogruppo alla Camera come successore di Francesco D’Uva, così da porre fine al rebus che sta rendendo plateali i disaccordi interni. Ma i deputati si sono rifiutati. Ora Silvestri potrebbe diventare tesoriere.
GIARRUSSO E TIZZINO: GLI OPPOSTI TRA I CRITICI DI DI MAIO
Ben più variegata la fronda di chi si posiziona contro Di Maio. Solo tra i rappresentanti siciliani si va dal già citato Giarrusso, da sempre considerato vicino alla Lega, a Giorgio Trizzino, che negli ultimi giorni oltre ad avere chiesto che il Movimento sia guidato da un organo collegiale, ha più volte fatto sentire la propria voce chiedendo compattezza nell’alleanza con i dem («Il vero nemico nostro e del Paese», ha detto il deputato, «è la destra sovranista»). Insomma, il leader pentastellato prende schiaffi sia da chi contesta la sua linea filo-governativa sia da chi lo accusa di mettere a rischio la tenuta dell’esecutivo.
DI PIAZZA, RICCARDI E QUELLI CHE VOGLIONO UN’ASSEMBLEA AL POSTO DEL LEADER
Trizzino non è il solo a chiedere che al vertice di M5s venga istituito un organo corale. Tra questi anche Steni Di Piazza e Riccardo Ricciardi (fichiano) che va oltre e chiede l’«assemblea deliberante». Di Maio dovrebbe insomma sottostare alle decisioni prese dalla maggioranza di deputati e senatori. Ricciardi sarà candidato a vice dell’ex sottosegretario al Mise Davide Crippa nella corsa al posto dei questori alla Camera.
PARAGONE GUIDA LA PATTUGLIA DEGLI ANTI-MES
Sul fronte del Meccanismo europeo di stabilità combattono Elio Lannutti, Gian Luigi Paragone e Raphael Raduzzi. Dalla battaglia sembra invece essersi ritirato Stefano Patuanelli, che lo scorso 19 giugno in Aula oltre a chiedere la riforma del Mes tuonava: «È giusto andare con la schiena dritta a rappresentare le esigenze del nostro Paese, con la forza di un governo che ha una grande maggioranza e ha capito che, soltanto attraverso il cambiamento, si salva non solo l’Italia, ma anche l’Europa». Il tema ha spaccato il M5s, tanto che alcuni senatori – Francesco Urraro, Ugo Grassi e Stefano Lucidi – hanno minacciato di fare le valigie per passare alla Lega.
GRILLO E I GOVERNISTI CONTRO L’ASSE DI MAIO – DI BATTISTA
Tutto ciò accadeva ben prima che Patuanelli ereditasse da Di Maio la poltrona del Mise. Particolare che ha determinato un sostanziale riposizionamento. Oggi, infatti, è tra i governisti assieme a big quali il collega Alfonso Bonafede (Guardasigilli) e all’ultimo arrivato in questo club, il sottosegretario alla Presidenza Fraccaro. Si tratta della compagine sostenuta da Beppe Grillo, il fautore la scorsa estate – assieme a Matteo Renzi – di questo esecutivo. La corrente appoggia il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e critica aspramente la ritrovata alleanza tra il ministro degli Esteri e Alessandro Di Battista.
DIBBA, BATTITORE LIBERO FILO-LEGHISTA
Già. E dove si colloca Di Battista? Rimasto fuori dal parlamento, non ha mai fatto mistero di avere simpatie filo-leghiste e di non avere affatto apprezzato la costruzione di un esecutivo con il Pd (del resto, in estate aveva annunciato di essere al lavoro su un libro sulla vicenda di Bibbiano, che l’inattesa alleanza con i dem ha poi fatto saltare). Nelle ultime settimane, il terrore di vedere crollare ulteriormente il proprio consenso tra gli elettori ha spinto Di Maio a riavvicinarsi a Di Battista, battitore libero. Scelta che ha ulteriormente ridotto le schiere dei “dimaiani” nelle Camere: gli onorevoli al secondo – e ultimo – mandato non possono certo guardare con favore i tentativi di accorciare la legislatura.
DA TONINELLI A LEZZI: I “TROMBATI” DEL CONTE 2
Accanto a chi sta concludendo il secondo giro trova posto un’altra categoria di delusi: i ministri del Conte 1 che non sono stati riconfermati nel Conte 2. A iniziare dall’ex titolare del dicastero delle Infrastrutture, Danilo Toninelli. La sua insoddisfazione sarebbe tale che, secondo alcuni, lo avrebbe trasformato in una scheggia impazzita da corteggiare in caso di votazioni ad alto rischio. Seguono Giulia Grillo, Barbara Lezzi e il già citato Crippa (che ha preso il posto di D’Uva come capogruppo raccogliendo consensi proprio tra chi contesta Di Maio).
L’EX MINISTRA A CAPO DEI DURI E PURI CONTRO L’ILVA
Ma Lezzi anima un’altra fronda, quella degli esponenti pugliesi che vogliono a tutti i costi mantenere le promesse fatte nelle piazze della regione in campagna elettorale, ovvero la chiusura dell’Ilva senza se e senza ma. Tra i duri e puri, contrari all’ipotesi di qualsiasi scudo a tutela della dirigenza franco-indiana, alla Camera spiccano Giovanni Vianello e Gianpaolo Cassese, mentre al Senato, dove i numeri si fanno insidiosi, i dissidenti sarebbero tra i 13 e i 15.
MANTERO, LA MURA E L’ALA DEI “FICHIANI”
Attorno a Roberto Fico si è raccolta ormai da tempo l’ala “sinistra” del Movimento. Si tratta di una delle correnti più anziane, risalenti a quando si doveva determinare a chi spettasse la leadership. Nell’ultimo periodo i “fichiani” hanno fatto un passo verso la coalizione governativa allontanandosi ulteriormente dalla visione di Di Maio e Di Battista. «Il Parlamento deve continuare a lavorare, ha altri tre anni di vita davanti a sé», ripete come un mantra il presidente della Camera, Fico. Nella sua fronda militano i senatori Matteo Mantero e Virginia La Mura e i deputati Doriana Sarli e Gilda Sportiello.
L’IDENTITÀ A 5 STELLE DI MORRA E COMPAGNIA
Tra i più critici nei confronti della leadership di Di Maio si posiziona senz’altro il senatore Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia e tra i primi ad avere deciso di “metterci la faccia”, sfidando apertamente il capo politico. È stato Morra ad avere detto che il Movimento si è «imborghesito». Per questo ha iniziato a indire una serie di riunioni ristrette con altri onorevoli dissidenti volte a riscoprire l’identità delle origini. Da qui il soprannome della sua corrente: Identità a 5 Stelle. Gravitano in quell’area Carla Ruocco, Piera Aiello e Ugo Grassi.
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