Con lo Spazzacorrotti le donazioni sono pubbliche. Anche quelle dei parlamentari. Ma tra polemiche, scissioni e cambi casacca non tutti sono puntuali con i pagamenti. E spesso si tratta di big: da Renzi a Bossi.
Il Movimento 5 stelle ha chiuso l’anno con la polemica sulle restituzioni. Tra chi si è messo in regola all’ultimo istante e chi invece sarà sottoposto al giudizio dei probiviri, il tema tiene banco. «L’85% dei parlamentari è in regola con le restituzioni ai cittadini», hanno fatto sapere i capigruppo cinque stelle di Camera e Senato Davide Crippa e Gianluca Perilli, annunciando l’avvio dei procedimenti per chi non è in regola. Ma la questione non riguarda solo i pentastellati: anche gli altri partiti fanno spesso i conti con le somme che i parlamentari dovrebbero versare alle rispettive tesorerie. E talvolta in primo piano ci sono nomi di peso, come insegna la vicenda dell’ex presidente del Senato, Pietro Grasso, che si è scontrato con il Pd, suo ex partito: a fine 2017 l’allora tesoriere Francesco Bonifazi gli aveva fatto notificare un decreto ingiuntivo per recuperare oltre 80 mila euro. Ma ci sono esempi più recenti, da Matteo Renzi a Umberto Bossi.
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Lettera43.it ha infatti esaminato i documenti sui sostenitori delle forze politiche: con il cosiddetto Spazzacorrotti ogni partito deve pubblicare i nomi, parlamentari compresi, di chi fa una donazione maggiore di 500 euro. E qualsiasi partito chiede almeno quella cifra.
IL PD CHIEDE 1.500 EURO AL MESE
Le situazioni più critiche sono legate a strappi politici. Da quanto si legge sul sito del Pd, alla sezione “trasparenza“, Renzi ha fatto un solo versamento nel 2019: è di 6.500 euro e risale al 25 febbraio. Il Pd chiede ai suoi parlamentari di destinare alle casse del partito 1.500 euro al mese: l’ex presidente del Consiglio, almeno fino a novembre (e da quanto risulta sul file pubblico), ha quindi saldato poco più di quattro quote, nonostante fosse un esponente dem fino ad agosto. Nel documento, poi, il nome di Maria Elena Boschi ricorre una sola volta per un contributo, dell’11 settembre scorso, pari a 6 mila euro, un quadrimestre esatto. L’ex ministra ha però sempre ribadito di essere «in regola con i pagamenti».
ITALIA VIVA…GIÀ AD AGOSTO
Nell’agosto del 2019, quando Italia viva non era stata lanciata ufficialmente, Renzi ha versato 10 mila euro sul conto della nascente creatura politica. Anche Boschi, con due diverse donazioni (una da mille euro e un’altra da 500) ha dato un contributo di partenza a Iv per un totale di 1.500. Una quota che ha coperto un intero trimestre: il minimo di versamento richiesto dal partito renziano è infatti di 500 euro. Singolare è invece il caso accaduto con l’attuale viceministra dell’Istruzione, Anna Ascani: continua a destinare con precisione la sua quota al Pd, ma ad agosto ha optato per una doppia contribuzione. Una ai dem e un’altra, sempre da 1.500, proprio a Iv. Ascani è tra le renziane che hanno preferito non lasciare il Pd: così dall’estate scorsa non risultano altri versamenti a Italia viva.
I CONTI DELLE DUE LEGHE
I parlamentari della Lega danno un sostegno importante: 3 mila euro. Cifra decisamente alta che, secondo quanto si è lasciato sfuggire il senatore Ugo Grassi (ex M5s), servirebbe «per contribuire alla progressiva restituzione dei 49 milioni di euro». Per risalire alle donazioni occorre consultare due diversi documenti: quello della Lega Nord e l’altro della Lega per Salvini Premier. Il vecchio Carroccio conta pochi aficionados tra i deputati e senatori: nei vari mesi ricorrono nomi di peso come l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, il senatore di lungo corso, Roberto Calderoli, e l’ex sottosegretario all’Economia, Massimo Garavaglia. Sono loro, insieme a un altro sparuto gruppo di sostenitori, a rimpinguare le casse della vecchia Lega. Un’ampia maggioranza di leghisti, invece, contribuisce al rafforzamento economico del nuovo partito, quello tutto a trazione salviniana. In entrambi i casi, stando a quanto pubblicato ufficialmente sui siti, il leader storico, Umberto Bossi, non figura tra i contributori. C’è solo il suo omonimo, il senatore Simone Bossi.
LE DIFFICOLTÀ DI FORZA ITALIA
Da tempo Forza Italia è alle prese con ristrettezze economiche, tanto che il tesoriere, Alfredo Messina, ha dovuto far sentire la propria voce lo scorso anno. «Pagare è un obbligo morale, chi non paga deve capire che è un inadempiente, non si deve sentire un furbo», ha tuonato, spiegando di dover stare dietro a tutti per ottenere la quota mensile che nel caso degli azzurri ammonta a 900 euro al mese. Il documento sui contributi, che si ferma a novembre, riporta che l’ex ministro Renato Brunetta ha fatto un solo bonifico, ad aprile, di 3.600 euro, a copertura del primo quadrimestre. Plausibile che arrivi un altro maxi pagamento a saldo del resto, visto che predilige soluzioni “uniche”. Anche l’ex leader dell’Ugl ed ex presidente della Regione Lazio Renata Polverini è ferma al primo ottobre con un contributo che però ha coperto il mese di settembre, in cui non figurano versamenti. Il deputato Osvaldo Napoli ha invece dato il suo ultimo contributo il 30 luglio (per coprire agosto), mentre la collega a Montecitorio Daniela Ruffino è ferma al 27 giugno. Un altro deputato, Sestino Giacomoni, ha versato in totale per il 2019 solo due quote, entrambe a ottobre. Un quadro complicato per gli azzurri, che però fa in parte tirare un sospiro di sollievo: secondo Messina solo una parte residuale è indietro con i versamenti.
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