Il presidente tentato dalla possibilità di uno show. Ma i suoi avvocati temono possa tirarsi la zappa sui piedi.
Donald Trump apre all’ipotesi di testimoniare nell’indagine di impeachment, mentre il suo castello difensivo continua a crollare sotto il colpo delle testimonianze e sfoga la sua ira anche con il segretario di Stato Mike Pompeo, uno dei suoi più stretti alleati, colpevole ai suoi occhi di non aver fatto abbastanza per bloccare le deposizioni dei diplomatici. «La nostra pazza speaker della Camera, la nervosa Nancy Pelosi, che è pietrificata dalla sua sinistra radicale…ha suggerito domenica che io testimoni nella caccia alle streghe del falso impeachment. Ha detto che potrei farlo anche per iscritto», ha twittato il presidente.
«Benché non abbia fatto nulla di male e non mi piaccia dare credibilità a questa bufala di processo ingiusto, mi piace l’idea e la esaminerò fortemente», ha aggiunto. Difficile valutare le vere intenzioni del tycoon. Un suo interrogatorio sarebbe un vero show ma comporterebbe molti rischi. Innanzitutto darebbe legittimità ad una indagine che ha sempre definito illegale, vietando ai dirigenti della sua amministrazione di cooperare. In secondo luogo Trump, abituato ad uscire dal copione, potrebbe cadere involontariamente in ammissioni o contraddizioni che aggraverebbero la sua posizione. Per questo i suoi avvocati gli avevano sconsigliato di farsi interrogare dal procuratore speciale Robert Mueller nell’indagine sul Russiagate, indirizzandolo invece su risposte scritte.
LE ACCUSE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
Potrebbe essere un’opzione anche in questo caso, ma non esente da pericoli. Come dimostra la causa intentata dalla Camera per acquisire il materiale del gran giurì sul Russiagate coperto da omissis, sostenendo che Trump potrebbe aver mentito «quando nelle sue risposte scritte alle domande del procuratore speciale ha negato di essere a conoscenza di qualsiasi comunicazione tra la sua campagna e Wikileaks». Per sostenere la loro tesi, i legali della House citano un passaggio del rapporto Mueller in cui l’ex capo della campagna di Trump, Paul Manafort, ricorda che il presidente gli chiese di essere tenuto «aggiornato» sulle rivelazioni da parte di Wikileaks delle email del partito democratico. Rivelazioni di cui pare fosse a conoscenza Roger Stone, consigliere informale della campagna del tycon, dichiarato colpevole proprio nei giorni scorsi.
LA DIFESA DI TRUMP FA ACQUA
Il presidente inoltre continua a sostenere che nella sua telefonata del 25 luglio, al centro dell’indagine di impeachment, non esercitò alcuna pressione sul presidente ucraino Volodymyr Zelenski per far indagare il suo rivale politico Joe Biden e suo figlio Hunter. Ma ora l’Ap ha svelato che l’ambasciata Usa Kiev fu informata già il 7 maggio di un incontro in cui un preoccupato Zelensky chiese consiglio su come gestire le pressioni di Trump e dei suoi collaboratori. Rivelazione che conferma le versioni dei testi sentiti finora, cui questa settimana se ne aggiungeranno altri otto: quello più atteso, mercoledì, è l’ambasciatore Usa alla Ue Gordon Sondland, cinghia di trasmissioni delle pressioni di Trump. Intanto il tycoon è ai ferri corti con Pompeo, cui ha rimproverato di aver assunto al dipartimento di Stato ‘Never Trumpers‘ e di non aver impedito le loro deposizioni. Pompeo si tiene aperta una via di fuga pensando di candidarsi al Senato nel suo Kansas.
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