Come è andato il 2019 per la narrativa italiana

Da Veronesi alla Starnone, passando per Tuena, Zaccuri fino a Tokarczuk e Franzobel: quali sono gli autori salvati dai critici letterari. Che denunciano: sono venute meno le gerarchie basate sulla qualità. Oramai è il mercato che stabilisce, con i suoi numeri di vendita, i valori di un'opera.

Che anno è stato il 2019 per la narrativa italiana? Di continuità, di rottura? Certamente, un solo anno non può determinare una «tendenza», caso mai confermare o contraddire degli orientamenti emersi nel tempo. Ma qualche novità c’è sempre, e forse conviene partire dalle discontinuità. Guardando ai numeri, sulla base dell’ultimo rapporto Nielsen realizzato per conto dell’Aie (Associazione Italiana Editori), il mercato editoriale ha registrato nei primi 11 mesi del 2019 quota 1,131 miliardi di euro (+3,7% sullo stesso periodo dell’anno precedente), con una crescita – erano molti anni che non accadeva – anche del numero di copie, +2,3%, con 77,4 milioni di nuovi libri (cartacei) venduti. A pesare di più, dopo la manualistica, sono la fiction straniera (18,4%), la saggistica (17,3%) e al quarto posto bambini e ragazzi (16,3%).

Per quanto riguarda temi e contenuti – gli orientamenti di cui si diceva all’inizio – novità interessanti ci sono state. Alessandro Zaccuri, scrittore e giornalista culturale, fa una riflessione sul mondo dei bestseller. «Penso che sia un anno di avvicendamento», dice a Lettera43, «con la morte di Andrea Camilleri si conclude una stagione irripetibile, che aveva portato alla luce un lettore disponibile a confrontarsi con un linguaggio meno accessibile e più laborioso rispetto alla media dei romanzi italiani». A raccogliere il testimone di Camilleri è stata un’altra autrice siciliana, Stefania Auci: «con I leoni di Sicilia», prosegue Zaccuri, «è tornata a suscitare interesse per il romanzo di impianto più tradizionale, quasi ottocentesco nella sua struttura».

Romanzi con una forte vocazione narrativa, tradizionali, di pura fiction, come quelli che hanno visto la luce nello scorcio finale dell’anno: Il colibrì di Sandro Veronesi, La vita bugiarda degli adulti di Elena Ferrante e Confidenza di Domenico Starnone. «Passiamo dal nuovo libro della Ferrante, semplice, ma non banale» osserva Gianluigi Simonetti, professore di Letteratura italiana contemporanea all’Università dell’Aquila, «all’ultimo di Veronesi, più complicato nella struttura e nel montaggio, con un passaggio a vuoto, a parer mio, nel finale, troppo obbediente al dover essere dell’impegno civile». E poi c’è il libro di Starnone», spiega Simonetti, «che conclude brillantemente una trilogia di romanzi brevi di grande artigianato narrativo e di notevole cattiveria psicologica». 

RESISTE UN FILONE DI LETTERATURA CHE MESCOLA GENERI E FORME NARRATIVE

Sull’altro fronte, persiste una letteratura debole, che esplora terreni meno praticati e cerca vie nuove, mescolando generi e forme narrative. Una letteratura «ibrida» che si colloca al crocevia fra romanzo, autobiografia e biografia, saggio personalediario intimo, taccuino di viaggio. «In questo,» prosegue Simonetti «Emanuele Trevi, con Sogni e favole, si conferma il più bravo – con Franchini, che però tace da un po’. È una letteratura a volte anche elegante e profonda, ma sempre volutamente ‘minore’, disposta a rinunciare alle grandi strutture del romanzo per muoversi con maggior libertà e leggerezza all’incrocio fra diverse scritture».

Non sono mancati libri singolari: penso a Necropolis di Giordano Tedoldi, a Lo stradone di Francesco Pecoraro, alla raccolta dei romanzi di Carlo Bordini

Gianluigi Simonetti, professore di Letteratura italiana contemporanea all’Università dell’Aquila

Una tendenza che non sempre porta risultati eccellenti e che talvolta può diventare una scorciatoia, a seconda della qualità intellettuali degli interpreti. E poi, nel 2019, vi sono stati libri nei quali la ricerca di nuove forme espressive è risultata ancora più marcata. «È vero, non sono mancati libri singolari», conclude Simonetti, «che fanno storia a sé, fuori da qualsiasi tendenza e preoccupazione seduttiva: penso a Necropolis di Giordano Tedoldi, a Lo stradone di Francesco Pecoraro, alla raccolta dei romanzi di Carlo Bordini».

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Che il 2019 abbia confermato la salute di un filone narrativo attratto dalle ibridazioni lo pensa anche un protagonista e osservatore attento del nostro panorama letterario come lo scrittore Andrea Tarabbia, che nel 2019 ha pubblicato Madrigale senza suono con il quale ha vinto il premio Campiello. «Mi sono piaciute molte cose ibride: in Italia Le galanti di Filippo Tuena – un autore che considero tra i miei maestri – e Nel nome di Alessandro Zaccuri». Tarabbia segnala anche I vagabondi di Olga Tokarczuk «un libro che lascia insoddisfatti, ma in cui si vede un’idea forte e originale di letteratura. E poi vorrei segnalare un romanzo puro, La zattera della Medusa di Franzobel, un’opera per me straordinaria, e un saggio anch’esso puro: Dialettica del mostro di Sylvain Piron».

LA CRITICA MILITANTE NON CONTA PIÙ

E per quanto riguarda il pubblico? Come si pone questa narrativa d’autore rispetto a lettori che consumano prodotti editoriali da media diversi, con la crescita di servizi come Audible, che consentono l’ascolto di libri appena pubblicati in libreria, e che si informano non solo sulle pagine culturali dei quotidiani, ma nel mondo variegato dei blog, dei gruppi di Facebook, dei siti di recensioni online? «La parola chiave mi sembra “confusione”: tutto equivale a tutto e l’indistinzione è la caratteristica del nostro tempo», osserva Paolo Di Stefano, scrittore e giornalista culturale. «La critica militante è tramontata e quando c’è rimane una voce nel deserto, senza ascolto. Ciò che fa testo sono le classifiche visibilmente dilatate sui giornali».

Sembrano venute meno le gerarchie basate sulla qualità: è il mercato che stabilisce, con i suoi numeri di vendita, i valori

Paolo Di Stefano

È esemplare al riguardo quella basata sulle preferenze dei lettori pubblicata sul supplemento culturale La lettura del Corriere della sera che accosta nelle prime 10 posizioni autori complessi, esponenti di una letteratura cosiddetta «forte», con nomi di successo più commerciali. «Sembrano venute meno le gerarchie basate sulla qualità: è il mercato che stabilisce, con i suoi numeri di vendita, i valori. Un libro di Fabio Volo, con tutto il rispetto, naturalmente, è messo sullo stesso piano dell’ultimo romanzo di Ian Russell McEwan». Per Di Stefano i giornali hanno abolito la delega di una responsabilità critica, «distribuendo le recensioni in modo indiscriminato, venendo meno al compito di scegliere e indirizzare, che oggi sarebbe più urgente che in passato proprio per ridare una “personalità” alla stampa rispetto alla rete».      

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