Perché Trump alla fine resterà al suo posto

Dalle ultime deposizioni, repubblicani e democratici difficilmente troveranno una quadra per risolvere il nodo dell'impeachment. E così il rischio non è solo che il tycoon non lasci la Casa Bianca, ma che vinca anche le prossime elezioni.

Dopo avere ascoltato le ultime deposizioni al Congresso, ho avuto la netta sensazione che i democratici e i repubblicani non riusciranno mai a trovare dei punti in comune per risolvere questa grave crisi di governo. Giovedì Nancy Pelosi ha annunciato la messa in stato d’accusa del presidente da parte della Camera. «Se avete intenzione di mettermi in stato d’accusa, fatelo ora e velocemente, in modo che possiamo avere un processo giusto in Senato», ha risposto via Twitter Trump.

LE ACCUSE DI OSTRUZIONE ALLA GIUSTIZIA

Il giorno prima erano stati interpellati dalla commissione Giustizia alcuni dei più importanti giuristi esperti della Costituzione e la maggior parte di loro non ha avuto dubbi: le azioni di Donald Trump richiedono senza ombra di dubbio la più grave delle conseguenze: l’impeachment. «Se non si procede questa volta, allora non accadrà più per nessuno», ha sottolineato Michael Gerhardt, professore di diritto costituzionale all’Università della Carolina del Nord. Gerhardt ha ricordato il precedente di Richard Nixon. «Mentre Nixon non si presentò per quattro volte davanti al Congresso malgrado i mandati di comparizione, con Trump siamo a più di 10. Questo è un crimine punibile con l’impeachment: ostruzione alla giustizia».

IL PESO DEL KIEVGATE

Per non parlare del fatto, forse più grave, di aver messo i suoi interessi personali davanti a quelli della nazione, quando ha chiesto un ‘favore’ al neo presidente ucraino in cambio di 400 milioni di dollari in aiuti finanziari. Noah Feldman, emerito professore della Harvard University ha ricordato che la Costituzione fu creata per fare in modo che nessuno, nemmeno il presidente, potesse mai essere al di sopra della legge, e che il periodo dei monarchi non sarebbe mai più tornato. Gli esperti hanno dichiarato che se questi crimini resteranno impuniti, i presidenti futuri potranno continuare a richiedere aiuti esterni per i propri interessi. 

LE EVIDENZE CONTRO IL TYCOON

Jonathan Turley, l’avvocato scelto dai repubblicani, ha invece negato che ci siano prove schiaccianti che il presidente abbia trattenuto gli aiuti finanziari in cambio di favori, che ci sia stato un vero e proprio quid pro quo, e dunque, siccome l’impeachment è una soluzione estremamente rara e grave, bisogna essere sicuri che i fatti sussistano. «Ma cosa volete di più?», hanno risposto i democratici. «Non ci sono dubbi sui reati commessi. Basta ascoltare le testimonianze degli esperti. Basta rileggere la trascrizione, seppur parziale, rilasciata dalla Casa Bianca della telefonata tra i due presidenti. Basti riguardarsi le interviste fatte a Rudy Giuliani su tutti i canali televisivi possibili e immaginabili in cui ammette più volte di aver personalmente partecipato a tutta la messa in scena!». 

IL MURO DEI REPUBBLICANI INTORNO AL PRESIDENTE

Non bisogna neanche dimenticarsi del dossier di Mueller, la cui seconda parte elenca uno a uno tutti i presunti reati del presidente. Mueller non ha mai detto che Trump fosse innocente. Ha semplicemente detto che lui non aveva il potere di incriminarlo, e che stava alla Camera e al Senato farlo. Ma i repubblicani non cedono e fanno un muro attorno a Trump: «È da quando ha vinto le elezioni che voi democratici state cercando di screditarlo solo perché avete paura che vinca anche le prossime elezioni, ma è stato votato dagli americani, e lì resta!». Si accettano scommesse su quello che succederà. Dico la mia: scommetto un marron glacé di quelli buoni che il presidente non perderà il posto di lavoro. Farà la vittima dei democratici brutti e cattivi e anche gli indipendenti voteranno per lui. Il rischio è che ce lo terremo ancora per quattro anni.

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Le cose da sapere sull’inchiesta Ombre Nere e le indagini sui neonazisti

Emergono nuovi particolari sul partito di estrema destra. Nelle intercettazioni messaggi in favore di Borghezio e Bannon e il disegno per la creazione di cellule invisibili.

Nuovi inquietanti tasselli si uniscono alla complessa inchiesta Ombre Nere sulla creazione di un partito nazionalsocialista italiano su stampo di quello nazista. Secondo quanto scrive Repubblica dalle intercettazioni della Digos emergono altri particolari. Il quotidiano in particolare riporta lo stralcio di una conversazione tra le persone coinvolte: «Serve gente come Borghezio e Bannon», diceva una dei militanti, riferendosi all’ex europarlamentare della Lega e all’ex consigliere di Donald Trump.

LA VICENDA: 19 INDAGATI PER ASSOCIAZIONE EVERSIVA

A fine novembre la Procura di Caltanissetta aveva iscritto 19 persone nel registro degli indagati con l’accusa di aver costituito un nuovo fronte nazista che progettava attentati. Uno degli indagati, in un’intercettazione, spiegava: «Possiamo avere a disposizione armi e esplosivi, sforneremo soldati pronti a tutto». Le indagini, partite da Enna, hanno coinvolto diversi estremisti di destra del Nord.

L’ARSENALE IN FRANCIA E L’EX LEGIONARIO A CAPO DEL GRUPPO

Nel corso delle indagini gli inquirenti hanno individuato in Francia un vero e proprio arsenale. Gli uomini della Procura di Caltanissetta, in collaborazione con la polizia d’Oltralpe, hanno trovato otto fucili, quattro revolver, una carabina, una pistola semiautomatica e due valigette con munizioni di vario calibro in un immobile della località di Saint-Dalmas-de-Tende. Le armi sequestrate erano nella disponibilità dell’ex collaboratore di giustizia Pasquale Nucera, 64enne ex legionario ed ex vice coordinatore di Forza Nuova nella provincia di Imperia, fermato sempre a fine novembre. Per chi indaga Nucera è considerato il capo dell’organizzazione svolgendo anche il ruolo di reclutatore del gruppo e si proponeva come addestratore vantando la sua passata esperienza militare. L’uomo assieme alla sua compagna aveva la disponibilità di una serie di appartamenti e appezzamenti di terreno in Francia. Nel corso dei sopralluoghi, i poliziotti hanno anche trovato una foto di Nucera vestito da Templare.

LA RETE E LE ATTIVISTE DI HITLER

Nelle carte dell’inchiesta sono spuntati anche due profili di primo piano della rete. La prima, Antonella Pavin, si faceva chiamare ‘Sergente maggiore di Hitler’ e aveva il compito di diffondere ideologie xenofobe. Quarantotto anni e residente nel Padovano, aveva affermato che «non esistevano le camere a gas» e che «ad Auschwitz e negli altri campi di concentramento c’erano le piscine». Su VKontakte, social network russo, lanciava invettive contro rom e gay. L’altra donna finita sotto i riflettori è la 36enne Milanese “Miss HitlerFrancesca Rizzi. Entrambe tenevano le fila della rete. Rizzi, ha scritto Repubblica, era in contatto con un uomo residente nel Cuneese che raccontava di essere stato un mercenario in Africa dove si occupava di «sparare alla gente e tagliare teste».

LA COSTRUZIONE DELLA CELLULA

Tra i contatti di Rizzi c’era anche il presidente di uno strano movimento operativo a Roma, “La rinascita dell’Italia“, che chiedeva a Miss Hitler due persone per un raid notturno contro la Prefettura o la sede di Equitalia: «Le facciamo saltare in aria, e non facciamo danni a nessuno». Pavin nelle varie telefonate ribadiva la necessità di creare un'”armata” perché «purtroppo esercito e forze armate sono per tre quarti fedeli allo Stato». Proprio per quello, i vertici del partito cercavano di creare in tutta Italia dei fedelissimi per creare “gruppi invisibili” di azione. In un’altra intercettazione un membro del gruppo proponeva di ingaggiare uno straniero di nazionalità marocchina per il lancio di una molotov contro una sede dell’Anpi in Liguria, affinché risultasse come unico colpevole.

LE CHAT RUSSE E L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLA RETE

La maggior parte delle conversazioni si svolgevano su chat russe e su un gruppo whatsapp. Il network cercava anche di intessere una serie di legami all’estero: accreditandosi in diversi circuiti internazionali, aveva contattato organizzazioni di rilievo come “Aryan Withe Machine – C18” (espressione del circuito neonazista Blood & Honour inglese) ed il partito d’estrema destra lusitano “Nova Ordem Social“.

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La Consulta deciderà sull’esclusione di Autostrade dalla ricostruzione del Ponte Morandi

Il Tar ha deciso di trasmettere alla Corte Costituzionale il quesito di Aspi, sospendendo il giudizio sul ricorso presentato per chiedere l'annullamento del decreto Genova.

Il Tar della Liguria ha deciso di trasmettere alla Corte Costituzionale il quesito di Autostrade contro il decreto Genova che l’ha estromessa dalla demolizione e ricostruzione del Ponte Morandi. Nell’attesa ha sospeso il giudizio sul ricorso di Aspi sull’annullamento del decreto stesso. Lo hanno deciso i giudici del Tar regionale secondo quanto emerge dalle ordinanze depositate in mattinata. I giudici amministrativi hanno rilevato profili di incostituzionalità. Aspi aveva rinunciato a bloccare i lavori.

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Dite a Giorgia Meloni che in Cina non c’è più Mao

La leader di FdI dopo la querelle sulla videoconferenza di Joshua Wong attacca Pechino e diventa paladina dei diritti civili dei manifestanti di Hong Kong. Viene il dubbio che sia ancora convinta di avere a che fare con uno Stato comunista.

Giorgia Meloni è un fenomeno virale, come dimostra il successo del video tormentone-rap Io sono Giorgia.

Da qualche tempo però Giorgia-madre-donna-cristiana sta spopolando online, e non solo, anche in una nuova e davvero inedita veste: si è lanciata a testa bassa – sembrerebbe – in una strenua lotta per la difesa della democrazia e della libertà in …. Cina.  

Già, proprio così. E in un certo senso non ci sarebbe nemmeno tanto da meravigliarsi, di fronte all’evidente inadeguatezza della sinistra italiana che riesce ormai a farsi “sorpassare” (almeno a parole…) dalla destra persino su un terreno di lotta storico, come quello della difesa dei diritti civili e umani. Ma andiamo per ordine, e cerchiamo di capire da dove ha origine questo nuovo exploit di Giorgia-madre-donna-cristiana.  

IL VISTO NEGATO A JOSHUA WONG

Tutto nasce dalla lontana Hong Kong e dalle dichiarazioni del giovane leader alla guida della rivolta che infiamma l’ex colonia britannica ormai da giugno, Joshua Wong. Wong era stato invitato in Italia dalla Fondazione Feltrinelli per partecipare a un convegno sui temi della democrazia a fine mese, ma il governo di Hong Kong gli aveva prontamente negato il permesso di espatrio con la scusa che il ragazzo è in libertà vigilata, in attesa di giudizio con l’accusa di “manifestazione non autorizzata”. A quel punto, alcuni parlamentari italiani, con Meloni in testa, hanno organizzato un incontro con lui in Senato. Ovviamente in videoconferenza. La Cina, com’era prevedibile, non ha gradito, e l’ambasciatore cinese in Italia si è fatto prendere molto poco diplomaticamente dal nervoso e l’ha fatta, decisamente, fuori dal vaso, attaccando i parlamentari colpevoli, a sentire Pechino, di avere tenuto un «comportamento irresponsabile» dando voce a un «pericoloso agitatore» (!) come il giovane e occhialuto – e davvero inoffensivo – Wong.

IL TWEET DI MELONI CONTRO LA CINA

A quel punto Meloni ha tirato fuori le unghie e per tutta risposta, in un tweet di fuoco, ha rispedito al mittente le «dichiarazioni arroganti e intollerabili» della Cina. «Noi siamo un Paese sovrano e democratico» ha tuonato più o meno la leader di Fratelli d’Italia, «e non permettiamo  a nessuno di interferire negli affari interni del nostro parlamento e di dettare l’agenda ai nostri parlamentari»!  E fin qui… come darle torto? 

Ma il trionfo della nuova Super-Giorgia, neo-paladina della democrazia e dei diritti (dei cinesi e dei parlamentari italiani) non si è esaurito lì, perché lo stesso Joshua Wong ha addirittura ritwittato il tutto. Insomma, pare che ormai dietro alla porta Meloni ci sia la fila di attivisti provenienti da ogni parte del globo dove la democrazia è a rischio, per pregarla di indossare il suo super-mantello e intervenire subito.

A QUANDO LE CRITICHE A PUTIN E ORBAN?

Questo idilliaco, quanto inedito, quadretto, però, non ha convinto tutti – compreso chi scrive – e ha spinto più d’uno a domandarsi cosa hanno in comune la difesa della libertà di pensiero e di espressione con una forza politica di destra che spesso e volentieri ha chiuso un occhio sui raduni di neofascisti, l’esibizione di striscioni inneggianti a Mussolini, i saluti romani, le violenze razziste, l’antisemitismo, la xenofobia, e così via. Adesso siamo tutti in trepidante attesa di nuove dichiarazioni al calor bianco della neo-paladina pro-democrazia contro i metodi decisamente poco democratici di Vladimir Putin – per esempio – nei confronti degli oppositori politici e dei giornalisti  scomodi o dell’amico Viktor Orban che ha appena vietato la diffusione nel suo Paese dei report di Amnesty International. E invece silenzio assoluto, invece, ieri come oggi e sicuramente domani.

IL PARTITO COMUNISTA DI CINESE È TALE SOLO DI NOME

Sorge spontaneo a questo punto domandarsi: ma non sarà che Meloni si sia tanto infervorata contro Pechino per via del fatto che, in Cina, il Partito al potere si chiama ancora comunista mentre, come è evidente a tutti, di comunista gli è rimasto ormai poco o niente, anzi proprio niente? Insomma: gliel’avranno detto che è da un pezzo che in Cina non governano più i comunisti di Mao Zedong?


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Contro o pro, Salvini continua a cavalcare il brand Nutella

«Ho scoperto che usa nocciole turche e io preferisco aiutare le aziende che usano prodotti italiani», ha detto il segretario leghista. E Renzi: «Parla di questo nei giorni di Ilva, Alitalia, legge di bilancio».

Signora mia, la Nutella non la mangio più. Dal palco del comizio di Ravenna, il segretario della Lega Matteo Salvini si è scagliato contro il brand a cui aveva fatto de facto da testimonial in numerosi foto e video, anche cavalcando l’onda del marketing, come in uno degli ultimi filmati in cui si mostra alla caccia dei Nutella biscuits. Ma, appunto, la Nutella non la mangia più, ha detto Salvini: «Mangio pane e salame e due sardine. La Nutella no, signora, sa che ho cambiato? – ha detto il segretario della Lega – Perché ho scoperto che usa nocciole turche e io preferisco aiutare le aziende che usano prodotti italiani, preferisco mangiare italiano». Poco importa che la produzione italiana non sia sufficiente e soprattutto che il leader leghista si mostri con altre decine di prodotti confezionati con materie prime che vengono da tutto il mondo, come hanno fatto notare moltissimi commentatori e profili sui social network. Ma oltre a fare da testimonial a un marchio, si può anche cavalcarne semplicemente la notorietà.

Anche Matteo Renzi ha ripreso la battuta: «Nei giorni di Ilva, Alitalia, legge di bilancio, summit Nato il senatore Matteo Salvini attacca la Nutella. La Nutella, sì, la Nutella. Dice che così sembra più vicino al popolo. E io ingenuo che insisto a voler parlare di cantieri, tasse, Europa», ha scritto su Twitter il leader di Italia viva.

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Per il Censis gli italiani sono ansiosi e sognano l’uomo forte

Allarmante rapporto sulla situazione sociale del Paese. Per il 65% lo stato d'animo dominante è l'incertezza. E il 75% non si fida più degli altri. L'analisi.

Lo stato d’animo dominante tra il 65% degli italiani è l’incertezza. Dalla crisi economica, l’ansia per il futuro e la sfiducia verso il prossimo hanno portato anno dopo anno a un logoramento sfociato da una parte in «stratagemmi individuali» di autodifesa e dall’altra in «crescenti pulsioni antidemocratiche», facendo crescere l’attesa «messianica dell’uomo forte che tutto risolve». È questa l’analisi del Censis nell’ultimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese, secondo cui per il 48% degli italiani ci vorrebbe «un uomo forte al potere» che non debba preoccuparsi di parlamento ed elezioni.

TRA WELFARE RAREFATTO E ROTTURA DELL’ASCENSORE SOCIALE

Questa ricerca è più sentita soprattutto nella parte bassa della scala sociale. La percentuale sale infatti al 56% tra le persone con redditi bassi e al 62% tra i soggetti meno istruiti, fino al 67% tra gli operai. Secondo il Censis, gli italiani alle prese con gli anni della crisi hanno dovuto prima «metabolizzare la rarefazione della rete di protezione di un sistema di welfare pubblico in crisi di sostenibilità finanziaria», poi fare i conti con «la rottura dell’ascensore sociale, assumendo su di sé anche l’ansia provocata dal rischio di un possibile declassamento sociale».

TRE ITALIANI SU QUATTRO NON SI FIDANO DEL PROSSIMO

La reazione immediata è stata «una formidabile resilienza opportunistica, con l’attivazione di processi di difesa spontanei e molecolari degli interessi personali». Ma la situazione è andata peggiorando perché dagli stratagemmi individuali si è passati allo «stress esistenziale, logorante perché riguarda il rapporto di ciascuno con il proprio futuro». Così per il 69% degli italiani il Paese è ormai «in stato d’ansia». Il 75% non si fida più degli altri, il 49% ha subito nel corso degli anni una prepotenza in un luogo pubblico (insulti o spintoni), il 44% si sente insicuro nelle vie che frequenta abitualmente, il 26% ha litigato con qualcuno per strada.

IL BLUFF DELL’AUMENTO OCCUPAZIONALE

Per il Censis l‘aumento dell’occupazione nel 2018 (+321 mila occupati) e nei primi mesi del 2019 è un «bluff» che non produce reddito e crescita. Il bilancio della recessione è di -867 mila occupati a tempo pieno e 1,2 milioni in più a tempo parziale. Il part time involontario riguarda 2,7 milioni di lavoratori, con un boom tra i giovani (+71,6% dal 2007). Dall’inizio della crisi al 2018, le retribuzioni del lavoro dipendente sono scese di oltre 1.000 euro ogni anno. I lavoratori che guadagnano meno di 9 euro l’ora lordi sono 2,9 milioni.

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Davide e Sofia eccezionali, giudici in confusione perpetua

Tornambene e Rossi restano i due concorrenti più dotati, mentre la giuria pare senza più mordente. Tra gli ospiti si salva il pianista siriano Aeham Ahmad. Le pagelle della semifinale.

Rischioso, mettere una popstar sullo stesso palco con degli aspiranti: può capitare come con la boxe, il ragazzino affamato che mette alle corde il campione sazio e pasciuto, gli fa fare una magra figura. Davide di X Factor, per esempio, canta meglio di Tiziano Ferro. Meglio sotto tutti gli aspetti, dal timbro all’espressività; 15 anni fa, lo avrebbero costruito e ci avrebbero costruito una carriera, magari fino in America, adesso rischia di bruciarsi al sole fatuo di un talent, lui come Sofia, stelline di due mesi e poi l’oblio.

Se questo X Factor – che per tutta questa tredicesima edizione ha rantolato, annaspato, ha mostrato muscoli che non aveva per mascherare il declino – una chiave di lettura ancora la conserva, è la seguente: testimonia del totale sbando di una discografia che ai talent ha appaltato il suo vivaio, almeno quello del mainstream, del commerciale che è il genere di riferimento. Una formula che dovrebbe, doveva scoprire quelli bravi, i talenti e troppo spesso li manda a sicuro macello, privilegiando il qui e ora della faccetta bella e possibile, spendibile, del personaggino dalle spinte giuste, da fiondare subito a Sanremo, da spremere e buttare.

Quando va bene: che è di Lorenzo Licitra,”tenor di grazia” vincitore nel 2017 e subito evaporato, uno che da due anni annuncia un disco che nessuno ha più visto? Voi direte: e allora i Maneskin? Allora Anastasio? I Maneskin non esistono, esiste il cantante Damiano che presto proseguirà da solo, per quel che durerà, Anastasio invece è talmente atipico che sarebbe uscito fuori anche senza talent. Ma quanti cadaveri di possibili artisti disseminano il cammino di queste 13 edizioni di X Factor? Domande che ci poniamo alla vigilia, ormai, di una finale che schiera due bravi, Davide e Sofia, una coppia di trapper per ragazzi, la Sierra, e un non so cosa che non ha il non so che, questi Booda che, azzardiamo, non avranno alcun futuro.

TUTTA LA GIURIA SOTTO LA SUFFICIENZA

ALESSANDRO CATTELAN: 6. Del color del suo vestito. Grigio. Senza sfumature.

MARA MAIONCHI: 4. A immagine e somiglianza del programma che l’ha lanciata a 70 anni: spremuta, spenta, ripetitiva, fuori dai tempi e dal tempo; senilmente fissata con «l’erotismo» (dei Booda, che le manca). Arriva in finale senza nessun candidato, lei che in passato tanti ne aveva fatti vincere (e di più ne aveva affogati).

MALIKA AYANE: 4. Sera dopo sera, ha affilato il birignao a livelli d’afasia: quand che la parla, se capiss nagott. Magari modulasse così quando canta. Tanto look, zero sostanza; ha ragione solo su una cosa, quando difende Davide dai colleghi, in malafede o stupidi, che non ne vedono «il percorso», che lo considerano datato: giudizi a pera, anche Mozart a questa stregua è datato.

SFERA EBBASTA: 4. Vedi sopra. Per lui tutto ciò che non è truffa rappettara è vecchio, non ha senso. Ma a non aver senso è lui. «Ah, mi rompono le balle perché dicono sempre hai spaccato». Mah, chissà con chi ce l’ha. Glielo ripetiamo una tantum, perché la zucca, sotto il color porporina, è notoriamente dura: Sfera, hai spuaccuato. Le bualle.

SAMUEL: 4. Il nostro Umarell fals e corteis, come si dice dei piemonteis (ma è un pettegolezzo a livello portineria) se ne porta ben due alla finale. E bravo. Ma certi giudizi, proprio… «Ah, Davide, sei bravissimo ma non so dove vai». Perché, lui Samuel dove va? A scaldar la poltrona a XF. Mai un guizzo, mai un sussulto, azzarederemmo che per lui XF finisce giovedì prossimo.

SOFIA E DAVIDE SOPRA TUTTI, BOODA SPROFONDA

SIERRA (Born Slippy, Nuxx, Underworld/ Ni Ben Mal, Bad Bunny): 5. Candidati alla vittoria ormai. Sarebbe scandaloso, ma li pompano: hanno visto che su internet sono i più consumati. Come se bastasse ad una credibilità; forse qui sì, qui è tutto quello che conta. Ma se questo due di rapperminkia («fra bro c’è aria che tira stasera che tiro») fosse solo fumo per ragazzi?

SOFIA TORNAMBENE (Human nature/Michael Jackson/Love of my life, Queen): 7 1/2. Dicevano: ah, che difficile però il pezzo della Sierra coatta, gli Underworld: e allora Sofia? Ma se una è brava, non teme neanche il fantasma di Michael Jackson. E infatti. Questa ragazzina sa cantare, ha un istinto che supplisce alla tecnica, e impara in fretta. Ha un bel timbro, caldo e fresco. Dio le ha dato tutto. Anche se sui Queen convince meno. Tra parentesi, l’arrangiamento di entrambi i brani, in termini freddamente analitici, faceva desiderare e questa è un’altra tara di X Factor.

DAVIDE ROSSI (Toxic, Britney Spears/Uptown Funk, Bruno Mars): 8 1/2. Se penso che era un bambino grasso alla corte della tortellona Antonella Clerici. Qui è il migliore, senza discussioni. Anche più di Sofia. Lui ha anche tecnica, oltre che doti naturali, ha un timbro che a volte ricorda Freddie Mercury, a volte Elton John, se la cava anche molto bene al piano, ha confermato una versatilità che gli contestavano; davvero appaiono meschini i rilievi di certi “giudici”, «ah, ma tu non hai un percorso». Loro, invece… Straniante, sentirlo criticare da gente che non vale un suo sputo.

BOODA (Dibby Dibby Sound, Dj Fresh vs Jay Fay/Level up, Ciara): 4. E fu così che il cronista, a 55 anni, dopo un’onorata carriera anche a volte pericolosa, si ritrovò a parlare di tre che fanno dibidibidi dibidibidù. Ma XF è quel posto dove vogliono far fuori uno come Davide, e non ce la fanno perché davvero non possono, perché sarebbe oltre l’indecenza, e però mandano in finale ‘ste tre app, ‘sta Cristina d’Avena liofilizzata. Erotici come sardine, e tutto il resto è Booda, dibidibidù.

EUGENIO CAMPAGNA (Una buona idea, Niccolo Fabi/Nessuno vuol essere Robin, Cesare Cremonini): 5. L’hanno spinto fin dove hanno potuto, lui ci credeva pure, gli davano, spericolatamente, della nuova grande cosa della canzone d’autore, del poeta: Eugenio Montato. Ma se poi ti fanno i complimenti perché non hai fatto orrore come la settimana scorsa, che senso ha? Ora, non sapremo mai se ha stancato “il pubblico dei social” o se si son fatti due calcoli. Sconta anche l’invecchiamento di nonna Mara, che difficilmente potrà imporlo come un nuovo Nigiotti.

TRA GLI OSPIDI SOLO AEHAM AHMAD COMUNICA QUALCOSA

THA SUPREME: ??. Potevamo anche mettere: WTF? (la traduzione evitiamola). E come fai a commentare un cartone animato? Che non c’è, oltretutto, vecchissimo trucco, basti pensare ai Residents. Insomma, la recensione su questo ignoto già l’ho fatta, e forse è stata la più difficile della vita mia.

TIZIANO FERRO: 5.Sto Tiziano poesse Fero e poesse Piuma: oggi è stata ‘na lagna. Non si sta un po’ appesantendo, imbolsendo? A metà della sua maturazione, basta non incanutisca precocemente: il rischio c’è.

AEHAM AHMAD (I forgot my name): 6. Suggestivo. Per come ha vissuto, per come suona. Per quello che dice. Se non canta è meglio.

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Schiaffi e insulti contro i bambini all’asilo, sospesa maestra nel Varesotto

Secondo le indagini la donna picchiava i bambini fin dal 2017. E in alcuni momenti avrebbe fatto entrare il compagno nella struttura per appartarsi con lui.

Una maestra di asilo nido di Coquio Trevisago (Varese) è stata sospesa dalla professione per sei mesi dal gip con l’accusa di aver maltrattato bambini di età compresa tra pochi mesi e due anni. La donna, a quanto emerso da un’indagine dei carabinieri, urlava ed offendeva i piccoli e in alcune occasioni li avrebbe schiaffeggiati e lasciati da soli in preda a crisi di pianto. A far scattare le indagini i genitori di un bimbo che aveva avuto incubi notturni e mostrava difficoltà relazionali.

«Sei proprio un terrone», «guardati, fai schifo» e, ancora, «piangi che così ti passa». Sarebbero queste alcune delle frasi che la maestra ha rivolto ai piccoli affidati dai genitori. La donna, secondo quanto ricostruito dai carabinieri, avrebbe maltrattato i bambini a partire dal 2017, in venti occasioni.

Dalle indagini è emerso anche che la maestra si appartava in uno stanza con il compagno fatto entrare di nascosto all’asilo nido, lasciando soli i bambini. Le telecamere installate dai carabinieri, su disposizione del pm di Varese, hanno filmato l’uomo mentre entrava nella struttura e si chiudeva in una stanza, nascosta ai bambini, con la donna per consumare rapporti sessuali.

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Sciopero alla Embraco: messi in Cigs anche i leader della protesta

I lavoratori manifestano davanti ai cancelli a Riva di Chieri dopo la decisione dell'azienda di mettere in cassa integrazione anche i responsabili dell'ufficio tecnico e dello stabilimento.

I lavoratori della ex Embraco, Ventures, sono in sciopero e manifestano davanti ai cancelli a Riva di Chieri dopo la decisione dell’azienda di mettere in cassa integrazione anche i responsabili dell’ufficio tecnico e dello stabilimento – una trentina di dipendenti – che si sono più esposti nelle ultime iniziative di protesta. I lavoratori aspettano ora l’incontro al Mise previsto nella settimana del 16 dicembre.

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Mediobanca, il presidente Pagliaro verso l’addio

Lo storico dirigente della banca d'affari pronto a lasciare per sottrarsi alla guerra - che lui ritiene sbagliata - tra Nagel e Del Vecchio, in lotta per controllare l'istituto fondato da Enrico Cuccia e con esso Generali.

Impegnato nella guerra con Leonardo Del Vecchio, che punta a controllare Mediobanca per arrivare a comandare in Generali, Alberto Nagel sta facendo la conta degli amici e dei nemici. E non solo tra i soci esistenti, ma anche tra i dirigenti.

L’amministratore delegato della banca d’affari creata da Enrico Cuccia, infatti, teme defezioni proprio tra coloro che lo circondano ogni giorno. Per questo si è sfogato in modo accorato con alcuni interlocutori, raccontando loro che il presidente Renato Pagliaro gli ha confessato di avere l’intenzione di lasciarlo solo.

Nagel si è lamentato di una scelta fatta in una fase cruciale della battaglia per il controllo dell’istituto situato alle spalle della Scala, senza capire che Pagliaro lo fa per sottrarsi a una guerra che non solo sente non sua ma ritiene profondamente sbagliata.

PAGLIARO, UNA VITA IN MEDIOBANCA

Pagliaro, che è presidente del consiglio di amministrazione di Mediobanca dal maggio 2010, era entrato in piazzetta Cuccia nel 1981, subito dopo essersi laureato in Bocconi. E lì ha sempre lavorato, ricoprendo diversi ruoli tra cui quello di vice direttore generale a partire dall’aprile del 2002, di condirettore generale e segretario del Consiglio di amministrazione dall’aprile 2003, di direttore generale dall’ottobre 2008 al maggio 2010, quando ha preso il posto che fu di Cuccia e di Vincenzo Maranghi.

Si libera un posto di prestigio, merce di scambio pregiata che può tornar buona all’attuale amministratore delegato

E proprio per questo percorso professionale tutto per linee interne, oltre per la stima che gli è unanimemente riconosciuta, la sua uscita – ragionevolmente non per andare in pensione, visto che ha appena 62 anni – diventerebbe un caso traumatico, destinato a incidere sulle vicende in corso.

L’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel.

Tuttavia, a Nagel un amico malizioso ha fatto notare che non tutto il male viene per nuocere, e che c’è l’altra faccia della medaglia di cui deve essere contento: si libera un posto di prestigio, merce di scambio pregiata che può tornar buona all’attuale ad deciso a difendere con i denti Mediobanca dalle mire del paperone di Agordo.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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