Cari ex Pci, su Craxi continuate a sbagliare

Il leader socialista è stato capro espiatorio di un sistema politico. A 20 anni dalla sua morte, bisognerebbe avere il coraggio di riconoscerne la statura.

Ho visto ieri sera Hammamet di Gianni Amelio. Lo davano in due sale dello stesso cinema, tutte e due piene. È un gran film, girato con mano leggera da un regista attento e padrone del suo tempo con attori formidabili, non solo Pierfrancesco Favino, eccezionale, non solo Renato Carpentieri e Omero Antoniutti o il soffertissimo Vincenzo Balzamo di Giuseppe Cederna, ma anche la formidabile Livia Rossi nel ruolo difficile di Stefania Craxi.

FUORI DALLA DAMNATIO MEMORIAE

“Un gran bel film” è una osservazione da spettatore, neppure particolarmente cinefilo che non può sfuggire, tuttavia, alla valutazione politica del lavoro di Amelio. Un primo risultato il regista e i produttori Agostino e Maria Grazia Saccà l’hanno raggiunto togliendo il dibattito su Craxi dal politichese o peggio ancora dalla damnatio memoriae. Quando tanti spettatori vanno al cinema per vedere un film come questo, non vuol dire solo ricatturare l’attenzione di vecchi socialisti e di antichi comunisti, ma tornare a parlare a un pubblico che non ha creduto che la storia italiana sia cominciata con Beppe Grillo e Matteo Salvini.

NON RISOLVE IL “CASO CRAXI”

Il film tuttavia non risolve, né poteva, il “caso Craxi”. È probabile che chi sia entrato nella sala cinematografica con un pregiudizio favorevole al leader Psi lo abbia visto confermato. È credibile che altri abbiano mal digerito l’autodifesa strenua che Craxi fa di sé e alcuni commenti ascoltati in sala a fine proiezione fanno pensare che molti anti-craxiani siano rimasti tali. Tuttavia non credo che Amelio, che non conosco, né Agostino e Maria Grazia Saccà, che non conosco, volessero con il film dare una svolta alla lettura della vicenda umana e politica di Bettino Craxi. Volevano semplicemente raccontare una storia dura, complessa, una tragedia italiana, con le parole e con il punto di vista della “vittima”.

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IL PUNTO DI VISTA DELLA VITTIMA

Perché di questo si tratta: Hammamet racconta il punto di vista della vittima. Uso questo termine deliberatamente perché i vent’anni che ci separano dalla sua morte restituiscono appieno al leader socialista il ruolo di capro espiatorio di un sistema politico e l’obiettivo di una magistratura che si rivelò, anche in quella occasione, totalmente priva di umanità. Craxi è un uomo malato, che si è rifugiato nella sua casa tunisina e che combatte perché la sua storia non diventi storia criminale. Chiama gli altri partiti politici alla comune responsabilità del finanziamento illegale. È incazzatissimo con i comunisti o ex che, secondo lui, si sono avvantaggiati delle azioni di una procura che li aveva risparmiati. Si ribella ai compagni di partito, c’è un netto riferimento a Giuliano Amato, che non lo difendono. Sia Craxi sia Moro, anni prima, hanno la netta consapevolezza che la loro fine potrebbe travolgere non solo partiti, non solo il sistema politico, ma modificare le basi stesse della democrazia. Così è stato. Ma non se ne discute. Il “caso Moro” viene chiuso nella rassegnazione di una fine inevitabile e nel dibattito successivo (il solito) su quanto Stato ci sia dietro gli assassini. Nel “caso Craxi” c’è l’ottusità di chi non vuole uscire dal circuito mediatico-giudiziario.

LA FINE DEI SOCIALISTI

Lasciamo perdere Moro, ora. Il “caso Craxi” porta alla luce poche cose molto chiare. I socialisti dopo la morte del loro capo si sono dispersi, molti sono diventati combattivi militanti di destra. Nel loro orizzonte la storia del Psi inizia e finisce col leader più discusso, al punto che sono rare i dibattiti sull’intera e grandiosa storia socialista italiana. Per tantissimi socialisti il “caso Craxi” è la conferma dell’odio reciproco con i comunisti. Dall’altra parte abbiamo la cultura, e oggi la classe di governo, giustizialista che con i “casi Craxi” ha trovato la legittimazione per creare movimenti politici, per arrivare al governo del Paese, dando il peggio di sé, come si vede quotidianamente. Nel mio mondo, quello ex comunista, alcuni hanno fatto sforzi per restituire a Craxi la dignità del grande capo politico (dispiace molto che i socialisti e la famiglia Craxi tuttora non dicano una parola sui tentativi di Massimo D’Alema, allora premier, e di molti suoi “seguaci” di portare Craxi in Italia senza l’offesa della carcerazione e delle manette). Tuttavia questi ex comunisti “revisionisti” hanno parlato solo a se stessi nel timore che l’anima antisocialista e anticraxiana, molto forte negli ex Pci, potesse ribellarsi.

L’UOMO TORNA AL CENTRO

Il film aiuta invece questo processo. Aiuta a rimettere al centro l’uomo Craxi e il suo discorso politico. E aiuta a fare gesti esemplari. Avevo proposto che un gruppo di ex dirigenti dell’ex Pci si recasse ad Hammamet nel ventennale anche scontando l’eventuale immorale presenza di Salvini. Alcuni dirigenti socialisti hanno chiesto a Zingaretti di capeggiare una delegazione del Pd. Perché tanto silenzio? Perché accettare quest’ultimo ricatto dei perdenti della storia, cioè il mondo giustizialista e grillino, e rifiutare di fare i conti con un uomo, un partito, le sue idee, i suoi errori, l’orrore di una morte annunciatissima. Perché, mi chiedo, noi che siamo stati comunisti dobbiamo, vent’anni dopo, farci rinchiudere nel recinto di una cultura antipolitica guidata da procure e da giornalisti? Deve emergere un punto di vista della politica che, sulla base di una seria ricostruzione – attendo di leggere il libro di Fabio Martini –, possa avviare una riconciliazione fra tutte le sinistre dove non ci siano più figli di un dio minore, uomini di malaffare, puri senza macchia.

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LO SPESSORE UMANO DELLA POLITICA

Il “caso Craxi” non si chiuderà mai e non si deve chiudere mai. Il film ci parla anche dello spessore umano che dovrebbe avere la politica. Noi stiamo vivendo anni atroci in cui l’avversario non è solo nemico ma un “oggetto” che deve essere annichilito. Chi ha visto il film capisce quanto dolore si crea, quando dolore si sparge (quel gruppo di gitanti ad Hammamet che insultano Craxi), quando ci allontaniamo da una società veramente civile.

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Meloni si rassegni, la destra giornalistica non la ama

Feltri, Giordano e adesso anche Sallusti hanno adottato Salvini. Neppure con il Cav furono così servili. Mentre la leader di Fratelli d'Italia li spaventa.

Vittorio Feltri e gli altri big della destra giornalistica hanno adottato Matteo Salvini. Lo trattano come il pupo di casa, lo difendono con accanimento, ne vantano qualità inesistenti, raccontano di minacce simili al famoso attentato che Maurizio Belpietro disse di aver subito. Neppure con Silvio Berlusconi furono così servili. Anzi, dire “servili” non è giusto, né beneducato, diciamo che neppure con Berlusconi furono così coinvolti. Il Cavaliere era il capo, il padrone, quello che li faceva felici con stipendi da favola e che raccontava storie bellissime come quella sulla nipote di Mubarak.

Feltri & Co si bevvero tutto quel liquido caramelloso perché Berlusconi combatteva la sinistra e anche ora questo gruppo di colleghi, nei giornali di carta e su Rete 4 (tranne Barbara), pur di annichilire la sinistra, è pronto a tutto. Con Salvini, però, è diverso. «È de loro», come dicono a Roma. Racconta palle inverosimili, fa cose scorrettissime che mandano in sollucchero tipini fini come Mario Giordano, dà l’idea che se va al potere a quelli di sinistra gli spacca quella parte del corpo lì dietro.

Obiezione: ma come può accadere che un gruppo di agguerritissimi colleghi che ne ha fatte più di Carlo in Francia si innamori di questo ragazzaccio che ha un’evidente voglia di non fare una mazza per tutta la vita? E ancora: ma come, avete a disposizione Giorgia Meloni, di destra autentica, e inseguite questo burlone che non si sa mai che cosa può dire e con chi può mettersi?

IL CAV PRETENDEVA OBBEDIENZA, SALVINI NO

Il mondo di cui parliamo osannò i giudici di Mani Pulite. Divenne garantista solo quando andò al potere Berlusconi. L’orizzonte è tuttavia rimasto quella roba che chiamiamo l’antipolitica. Nel senso che si sentono tutti come Eugenio Scalfari, hanno l’ambizione di dettare le regole a politici che devono solo obbedire. Uno solo di loro, Vittorio Feltri, può ambire ad essere lo Scalfaretto di destra perché dovunque va trascina con sé lettori. Gli altri seguono l’onda. A Berlusconi dovevi obbedire, anche a Umberto Bossi dovevi obbedire, con Salvini fai quello che ti pare. Ecco il successo del puer birroso.

GIORGIA CRESCE, MA PER LEI NESSUNA FANFARA

Giorgia Meloni, fatevelo dire da uno che sarebbe terrorizzato a vederla premier, a loro fa paura. La giovane donna è combattiva, ragiona con la sua testa, ha alle spalle uno come Guido Crosetto (tanta roba, in ogni senso), è «de destra» per davvero. Questo gruppo di giornalisti, oggi di destra, è stato democristiano, socialista, persino comunista, e in fondo non sopporta quelli di destra veri. Meloni si vede chiaramente che ha una storia, che ha un passato il cui elogio reprime, e soprattutto che comunica emotivamente con il suo elettorato. A mano a mano che il Salvini si affloscerà (lui si ammoscia sempre), la Meloni andrà avanti. I giornali di destra già ne parlano, ma senza entusiasmo, senza suonare la fanfara. Arrivasse davvero una che non si fa mettere i piedi in testa, non dico da Feltri ma da Giordano, da Pietro Senaldi, da Giovanna Maglie e compagnia bella?

GRANDI FIRME STATE ATTENTE, RISCHIATE UN’ALTRA FIGURACCIA

Poi Meloni è donna e con le donne si discute meno bene che con un chiacchierone da bar. Ovviamente il giorno in cui Meloni si avvicinerà a Salvini o lo supererà saranno tutti “meloniani”, con il timore però che una di destra vera può non trovare alleati che la portino alla premiership. Da qui il salvinismo coriaceo che oggi si è fatto più tosto dopo il ritorno in campo di Alessandro Sallusti, che per qualche mese era stato costretto a fare il berlusconiano moderato invece ora può urlare a più non posso. Dateci sotto ragazzi! È il vostro momento. Difendete il vostro bambolotto di pezza. Ma sappiate che dura poco e farete la solita figuraccia. Ricordate il proverbio napoletano: «A chi troppo s’acàla, ‘o culo se vede». «Culo» sapete cos’è, vi devo spiegare «s’acàla»? Non c’è bisogno.

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Bonaccini, solitario y final ma non triste

Ha detto «combatto da solo», presenta risposte già date e quelle pronte per le domande di domani, sa tutto, ha una enorme capacità. Un esempio di leader che risolvei problemi, privo di rabbie personali e concreto, concretissimo. La sinistra lo prenda a modello.

Chissà che pensieri ha al mattino, appena sveglio, Stefano Bonaccini, candidato del Pd (ma non si può dire) per la guida dell’Emilia-Romagna.

Sulle sue spalle, che sembrano molto attrezzate, c’è il destino politico di un Paese, di un governo e di un paio di personaggi della politica che sono arrivati all’ultimo miglio.

Se Bonaccini perde, viene giù tutto. Cade il governo anche se non subito, i cinque stelle vanno per prati, il Pd o si rifonda o si rifonda. Se Bonaccini, invece, vince, Giuseppe Conte può pensare di avere vita più lunga, Luigi Di Maio respira, Nicola Zingaretti apparirà come il salvatore del Pd dopo gli anni di Matteo Renzi, ma soprattutto Matteo Salvini, assediato dalla coriacea Giorgia Meloni, si chiuderà in una birreria e da lì non uscirà più senza che alcuno vada a cercarlo.

LA BATTAGLIA DI BONACCINI CONTRO LA STRANA COPPIA

La battaglia di Bonaccini è stata seria. Non ha voluto compagnia, ha detto «combatto da solo», presenta risposte già date e quelle pronte per le domande di domani, sa tutto, ha una enorme capacità di lavoro e soprattutto ha a che fare con un signore che parla all’Emilia-Romagna come se fosse una trincea di guerra e non una regione pacifica (forse non più pacificata, ma pacifica) e con una signora che visibilmente sa appena dire il proprio nome e cognome.

Mettere insieme due incapaci contro un uomo di qualità e vederli vincere darebbe l’immagine di un Paese che vuole morire

Se questa strana coppia vincerà bisognerà riflettere bene su quanti disastri anche emotivi ha combinato la sinistra in questi decenni. Mettere insieme due incapaci contro un uomo di qualità e vederli vincere darebbe l’immagine di un Paese che vuole morire. E allora muoia. Tuttavia non accadrà.

UN MODELLO DI LEADERSHIP DA IMITARE

Il prode Bonaccini al mattino si sveglia, secondo me, “senza pnzier”, tranne quello di quali cittadini incontrare e di cosa dire. Quello sbevazza e fa casino, quell’altra fa la bella donna in tivù, lui fa l’operaio della politica che monta i pezzi che si sono rotti, fa funzionare la casa, ti fa stare tranquillo. Può perdere? In fondo, lo dico prima di sapere come andrà a finire, il modello di leadership di Bonaccini, ma penso anche a Beppe Sala e a tanti altri – non a Michele Emiliano – dovrebbe essere il modello di sinistra vincente. Cioè leader, uomini o donne, che risolvono i problemi, che sono pieni di umanità, privi di rabbie personali, riconciliati con il mondo e concreti, concretissimi.

Da sinistra, il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, assieme al sindaco di Milano Giuseppe Sala.

Caro Bonaccini, io tifo per Lei (un tempo ti avrei detto tifo per te, ma oggi vale il titolo della canzone di Richy Gianco: «Compagno sì, compagno no, compagno un cazzo» e quindi ti do del Lei), mi faccia questa cortesia di non mollare in queste settimane, non legga i giornali, lasci stare Rete 4 diventata una specie di astanteria di esagitati, tranne Barbara Balombelli, e vada avanti. Quel voto in più che la farà restare alla guida della sua Regione è lì, veda di prenderlo.

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L’esercito dei buoni ci salvi dai miserabili trumpismi

Mentre rischiamo una guerra mondiale e l'Australia va in fiamme, in Italia ci si preoccupa di Sanremo. Finché sarà questo il nostro stato d'animo Salvini e Meloni avranno gioco facile. L'unico antidoto è puntare sulle grandi idee, quelle di una sinistra plurale che collabori con i movimenti cattolici.

Ogni notte, sarà così per tanto tempo ancora, un’agenzia lancerà la notizia di una reazione militare iraniana e della risposta americana o viceversa. Ogni notte avremo il timore che chi ha le sorti del mondo nelle mani possa fare la mossa sbagliata, quella che ci porterebbe tutti verso la terza guerra mondiale.

LEGGI ANCHE: La sinistra riparta dalle parole rivoluzionarie di Zuppi

Il fanatismo dei leader religiosi iraniani e l’analogo fanatismo del più pericoloso presidente americano stanno facendo girare sulle nostre teste droni che portano bombe anche là dove possono provocare l’incidente irrecuperabile.

L’APOCALISSE AUSTRALIANA

Cambiamo scenario. La cronaca ci dice che l’incendio che in Australia ha distrutto un territorio pari all’Austria, ha ucciso un miliardo di animali e ora vogliono abbattere 10 mila cammelli perché c’è poca acqua e loro ne bevono troppa.

Nei roghi che stanno distruggendo l’Australia sono morti almeno 1 miliardo di animali.

Rileggete quel numero, voi che postate sui social le foto dei vostri gattini, di piccoli cani, di criceti: un miliardo di animali, alcuni anche rari, che sono stati bruciati vivi nel cuore di uno dei Paesi più ricchi del mondo. Finora nulla è stato fatto per arginare questo disastro, chiunque l’abbia provocato sia il riscaldamento globale sia un centinaio di piromani da chiudere in galera per tutta la loro vita.

GLI ITALIANI INTERESSATI ALLE QUERELLE SANREMESI

A colpire, qui da noi, è la passione che si accende su Rita Pavone e su Rula Jebreal e su altre stupidaggini analoghe che sembra far svanire le ombre dei disastri che riguardano l’intera umanità e, in essa, di noi come singoli. Non guardiamo oltre la nostra tivù o il nostro telefonino. Lo dico in fretta perché non voglio iscrivermi al partito di coloro che disprezzano la modernità, comprese le nuove cattive abitudini.

Rita Pavone durante il programma Rai “Woodstock – Rita Pavone racconta”.

Il tema che ci dovrebbe interessare è come sia potuto accadere che gran parte dell’umanità, soprattutto in Occidente, sia diventata così indifferente. C’è stata in questi giorni una corsa per vedere il film di Checco Zalone. L’altra sera siamo usciti in 50 dopo aver visto quello di Ken Loach e non si è praticamente formato un solo capannello, non c’era niente da dire, quel film bello e terribile ci aveva detto che non avevamo più niente da dire.

COSÌ LA CULTURA EGOSITICA È DIVENTATA CUPA RABBIA

Finché sarà questo il nostro stato d’animo, Matteo Salvini troverà sempre la strada della vittoria e se non vincerà lui vincerà Giorgia Meloni. La campagna contro la solidarietà, il multiculturalismo, l’accettazione dell’altro, il dono di sé hanno fatto prevalere una specifica cultura egoistica che ha perso l’allegria dei primi anni liberisti ed è diventata cupa rabbia contro gli altri, tutti gli altri, anche contro di te elettore di Salvini se scoprirai che un altro elettore di Salvini ti intralcerà la strada. Se l’Emilia-Romagna ci farà il regalo di far vincere il candidato del Pd tireremo un sospiro di sollievo. Salvini si berrà due birrozze e comincerà piano piano a fare i bagagli. Ma la questione di fondo non cambierà.

salvini premier 2020
Matteo Salvini.

L’ANTIDOTO AL TRUMPISMO È FUORI DA UNA LOGICA DI PARTITO

La sinistra e anche il cattolicesimo sociale e democratico assieme con l’anima laica del Paese e con la destra liberale avevano decenni fa in animo di competere per costruire un Paese di Grandi Virtù, non questa miserabile esibizione di trumpismi. Lasciate razzolare Mario Giordano, Maria Giovanna Maglie, Pietro Senaldi e persino Vittorio Feltri. Quello che li potrà distruggere è fuori da una logica di partiti o di partiti associati ed è dentro una cultura in cui ci si occupa dell’altro e si creano correnti di opinioni, movimenti reali, azioni esemplari che, aggiungendosi a chi già è sul campo, rafforzeranno l’esercito dei buoni. Non mi impressionano le parole di questi facinorosi di Rete4. Mi impressiona il fatto che abbiano fatto facilmente breccia in una società sbriciolata. Ecco perché devono tornare le grandi idee, quelle di una sinistra plurale che collabori con grandi movimenti cattolici. Quanti partiti potranno nascere da questa confluenza è del tutto irrilevante. L’importante è che arrivi il messaggio che l’esercito dei buoni, non dei buonisti, è in campo senza ritrosie e senza paure.

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L’esercito dei buoni ci salvi dai miserabili trumpismi

Mentre rischiamo una guerra mondiale e l'Australia va in fiamme, in Italia ci si preoccupa di Sanremo. Finché sarà questo il nostro stato d'animo Salvini e Meloni avranno gioco facile. L'unico antidoto è puntare sulle grandi idee, quelle di una sinistra plurale che collabori con i movimenti cattolici.

Ogni notte, sarà così per tanto tempo ancora, un’agenzia lancerà la notizia di una reazione militare iraniana e della risposta americana o viceversa. Ogni notte avremo il timore che chi ha le sorti del mondo nelle mani possa fare la mossa sbagliata, quella che ci porterebbe tutti verso la terza guerra mondiale.

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Il fanatismo dei leader religiosi iraniani e l’analogo fanatismo del più pericoloso presidente americano stanno facendo girare sulle nostre teste droni che portano bombe anche là dove possono provocare l’incidente irrecuperabile.

L’APOCALISSE AUSTRALIANA

Cambiamo scenario. La cronaca ci dice che l’incendio che in Australia ha distrutto un territorio pari all’Austria, ha ucciso un miliardo di animali e ora vogliono abbattere 10 mila cammelli perché c’è poca acqua e loro ne bevono troppa.

Nei roghi che stanno distruggendo l’Australia sono morti almeno 1 miliardo di animali.

Rileggete quel numero, voi che postate sui social le foto dei vostri gattini, di piccoli cani, di criceti: un miliardo di animali, alcuni anche rari, che sono stati bruciati vivi nel cuore di uno dei Paesi più ricchi del mondo. Finora nulla è stato fatto per arginare questo disastro, chiunque l’abbia provocato sia il riscaldamento globale sia un centinaio di piromani da chiudere in galera per tutta la loro vita.

GLI ITALIANI INTERESSATI ALLE QUERELLE SANREMESI

A colpire, qui da noi, è la passione che si accende su Rita Pavone e su Rula Jebreal e su altre stupidaggini analoghe che sembra far svanire le ombre dei disastri che riguardano l’intera umanità e, in essa, di noi come singoli. Non guardiamo oltre la nostra tivù o il nostro telefonino. Lo dico in fretta perché non voglio iscrivermi al partito di coloro che disprezzano la modernità, comprese le nuove cattive abitudini.

Rita Pavone durante il programma Rai “Woodstock – Rita Pavone racconta”.

Il tema che ci dovrebbe interessare è come sia potuto accadere che gran parte dell’umanità, soprattutto in Occidente, sia diventata così indifferente. C’è stata in questi giorni una corsa per vedere il film di Checco Zalone. L’altra sera siamo usciti in 50 dopo aver visto quello di Ken Loach e non si è praticamente formato un solo capannello, non c’era niente da dire, quel film bello e terribile ci aveva detto che non avevamo più niente da dire.

COSÌ LA CULTURA EGOSITICA È DIVENTATA CUPA RABBIA

Finché sarà questo il nostro stato d’animo, Matteo Salvini troverà sempre la strada della vittoria e se non vincerà lui vincerà Giorgia Meloni. La campagna contro la solidarietà, il multiculturalismo, l’accettazione dell’altro, il dono di sé hanno fatto prevalere una specifica cultura egoistica che ha perso l’allegria dei primi anni liberisti ed è diventata cupa rabbia contro gli altri, tutti gli altri, anche contro di te elettore di Salvini se scoprirai che un altro elettore di Salvini ti intralcerà la strada. Se l’Emilia-Romagna ci farà il regalo di far vincere il candidato del Pd tireremo un sospiro di sollievo. Salvini si berrà due birrozze e comincerà piano piano a fare i bagagli. Ma la questione di fondo non cambierà.

salvini premier 2020
Matteo Salvini.

L’ANTIDOTO AL TRUMPISMO È FUORI DA UNA LOGICA DI PARTITO

La sinistra e anche il cattolicesimo sociale e democratico assieme con l’anima laica del Paese e con la destra liberale avevano decenni fa in animo di competere per costruire un Paese di Grandi Virtù, non questa miserabile esibizione di trumpismi. Lasciate razzolare Mario Giordano, Maria Giovanna Maglie, Pietro Senaldi e persino Vittorio Feltri. Quello che li potrà distruggere è fuori da una logica di partiti o di partiti associati ed è dentro una cultura in cui ci si occupa dell’altro e si creano correnti di opinioni, movimenti reali, azioni esemplari che, aggiungendosi a chi già è sul campo, rafforzeranno l’esercito dei buoni. Non mi impressionano le parole di questi facinorosi di Rete4. Mi impressiona il fatto che abbiano fatto facilmente breccia in una società sbriciolata. Ecco perché devono tornare le grandi idee, quelle di una sinistra plurale che collabori con grandi movimenti cattolici. Quanti partiti potranno nascere da questa confluenza è del tutto irrilevante. L’importante è che arrivi il messaggio che l’esercito dei buoni, non dei buonisti, è in campo senza ritrosie e senza paure.

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Perché vanno ascoltate le parole rivoluzionarie del cardinal Zuppi

In un'epoca caratterizzata dal furore di irresponsabili, Trump in testa, l'arcivescovo di Bologna propone un nuovo umanesimo. Base per una nuova politica.

Le parole di guerra che leggiamo o ascoltiamo in questi giorni lasciano annichiliti. L’Iran minaccia vendette sanguinose e Donald Trump, autore di questa crisi, parla di risposte militari che investiranno anche i luoghi d’arte, e, temo, di culto, in ogni caso «sproporzionate». Da anni non sentivamo da un leader di un Paese d’Occidente parole tanto infuocate e irresponsabili. Ovviamente Matteo Salvini è d’accordo con lui. In molti di noi si riaffaccia l’anti-americanismo degli anni del Vietnam a cui bisogna resistere perché non possiamo fare a meno dell’America, anche se oggi è piccola cosa, priva di egemonia, ridotta e isterica potenza militare guidata da un uomo senza qualità.

IL MONDO È IN MANO AL FURORE DI IRRESPONSABILI

L’ansia maggiore sta nella sensazione che nessuno di noi possa fare alcunché per proteggere il mondo dal furore di irresponsabili. Ci è capitato di vivere in questa stagione della storia in cui mancano personalità mondiali, a parte papa Francesco, e proliferano mezze calzette con troppo potere. Eppure non è vero che non si possa fare nulla. Non c’è ovviamente un gesto che può fermare questa corsa alla guerra mondiale, quella guerra mondiale «a pezzettini» come la definì il pontefice alcuni anni fa. Viviamo in un Paese che rifiuta di assumere un ruolo di pace e che rischia di essere diretto da uomini di guerra.

BISOGNA CREARE GRANDI MOVIMENTI CONTRO L’ODIO

Eppure noi sappiamo, perché è la storia del mondo che ce lo dice, che lo sviluppo di solidi movimenti di pace, che la rinascita di una opinione pubblica responsabile potranno fare il miracolo se le giovani generazioni ne diventeranno protagoniste. Oggi un movimento di pace non può esser sospettato di parteggiare per una parte contro un’altra. Il mondo non solo non è diviso in due ma la competizione vede contrapposti vecchi imperi, imperi che rinascono, e rinascenti suggestioni imperiali. Oggi scendere in campo ha il vantaggio di apparire ingenui, insospettabili, non strumentalizzabili. Si tratta di creare grandi movimenti contro l’odio. Se le ho capite bene,  anche le Sardine hanno questo come obiettivo, ma serve di più.

LA LEZIONE DEL CARDINALE DI BOLOGNA

Vorrei suggerire a chi mi legge un libro fondamentale scritto dal cardinale di Bologna, con il collega Loreno Fazzini, Matteo Maria Zuppi che su questo tema ci ha donato riflessioni importanti. Il libro non è riassumibile. Ogni frase vale come un suggerimento, come una esperienza di vita di un sacerdote che è stato sulla strada per tanti anni e che per anni con la comunità di Sant’Egidio si è occupato di mettere pace in Paesi come il Mozambico. Scrive monsignor Zuppi: «Per non odiare, ovvero sentirsi veramente amati, è necessario e indispensabile esser credenti, o meglio, cristiani?». Ecco la risposta: «Penso che sia una alleanza tra i credenti, quando prendono sul serio il Vangelo, e quanti non rinunciano alla sfida di restare umani anche in tempi difficili, animi nobili e alti, che per questo non cedono all’odio in nome dell’Umanità stessa».

VERSO UN NUOVO UMANESIMO

È l’idea di un nuovo umanesimo che comprenda tutte le fedi e anche chi non ha fede a illuminare l’ispirazione del cardinale Zuppi e a dargli la suggestione che si possa creare un movimento di pace che sia incentrato sul rifiuto dell’odio. Scrive ancora Zuppi: «Quante vite hanno rovinato l’isolamento dell’io e la schiavitù dell’io. Un’antropologia moderna, che proietta giudizi negativi sugli altri per proteggere se stessi, promette l’infinito e crea una vita dimezzata».

IL MALE DELL’ADORAZIONE DI SÉ

Zuppi affronta anche un tema che fu centrale nella riflessione degli «atei devoti» negli anni ratzingeriani, la critica del relativismo, e dice che «bisogna scoprire il valore positivo di un innovativo relativismo, cioè l’abbandono della assolutizzazione di sé per rendersi disponibili alla relazione…Ma vorrei usare questa parola popolare, relativismo, per cambiarne, prima o poi, il significato. Dobbiamo lottare in tanti modi contro il rischio di una idolatria che ci imprigiona: l’adorazione di sé, come fosse una divinità da servire e alla quale sacrificarsi. E contemporaneamente lottare contro la caduta di senso del limite, perché si fa fatica a contrastare una soggettività per la quale qualunque atto diventa lecito in base al principio della libertà dell’io, senza la considerazione del bene e dei rischi comuni. Relativizzare il sé e aprirci agli altri, non può, invece, che liberarci, sollevarci, calmarci, e orientare le nostre risorse interiori, dando senso al tutta la nostra esistenza. Ci aiuta e ricentrare davvero il nostro sé, il nostro essere».

SOLO L’AMORE PUÒ CONTRASTARE LA PAURA

E poi un concetto fondamentale: «La paura è un segnale che ci rende consapevoli di un pericolo. È una spia importante, un indicatore che occorre prendere in considerazione, e non ignorare per spavalderia, per leggerezza, per presunzione. È importante, quindi, prendere con serietà la paura, ma poi occorre contrastarla con l’unico atteggiamento capace di superarla: l’amore. Se la paura decide per noi diventa rabbia, rivalsa, diffidenza o aggressività. Contrastiamo la paura, invece, anzitutto aprendoci all’amore perché questo genera una forza inaspettata, nuova e creativa, che ci rende capaci di cose grandi».

LA DIFFERENZA SOSTANZIALE TRA BUONO E BUONISTA

Il cardinale ha scritto così un manifesto per il “buonismo”? Zuppi è schietto, e persino eccessivamente franco, come il suo papa e dice: «Buonismo è fermarsi ad una buona azione che serve a te e non a chi sta male, è credere di far pace con la propria coscienza solo per un buon sentimento di attenzione all’altro, come se volere bene non comportasse farsi carico. I cristiani sono i primi a non trovarsi bene nella casa dei buonisti. Il samaritano è buono, non buonista….La compassione che lui vive, e che siamo chiamati a sperimentare anche noi, è quella che si fa carico, fino a cercare di risolvere il problema della persona sofferente….Il buonismo non risolve, si compiace troppo di sé, non si misura con la fatica della ricerca di soluzioni». Il libro di Zuppi (Odierai il prossimo tuo, editore Piemme) è una miniera di pensieri forti qui solo in parte riassunti. Mi interessa solo che chi mi legge, e leggerà il libro, immagini che si può non stare inerti di fronte alle brutture del mondo, ma che si può iniziare la grande rivoluzione contro l’odio. Assumendo il bene degli altri come realizzazione di sé, si può creare la via maestra per un nuovo umanesimo e quindi per una nuova politica.

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Le liti dentro M5s e Italia viva spiegano perché vince la destra

Di Maio contro Paragone da una parte. Romano contro Migliore dall'altra. Baruffe emblematiche, dove nessuno sembra avere una minima idea di dove sia la società reale.

Lo scontro all’arma bianca fra Luigi Di Maio e Gianluigi Paragone, con annesso Alessandro Di Battista, e quello più elegante fra Andrea Romano e Gennaro Migliore sul Foglio attorno all’esaurimento o no di Italia Viva, dice molto sul perché vince Matteo Salvini oggi e domani forse Giorgia Meloni. Sia la lite fra comari nei cinque stelle sia quella fra damerini nel partito di Matteo Renzi si svolgono al di fuori di ogni contesto, anzi neppure presuppongono che vi sia un contesto. Paragone si è messo al centro della scena probabilmente per l’ultima volta. Del resto Feltri (Vittorio) e e Alessandro Sallusti hanno scritto oggi cose terribili e definitive su di lui. Credo che un uomo normale, in anni lontani, leggendo questo pensieri su se stesso di colleghi che l’hanno conosciuto da vicino o li sfiderebbe a duello o si tirerebbe un colpo di pistola. Ma, come raccontano i due direttori nordisti, il dramma di oggi, ma proprio di oggi-oggi, per Paragone è come mettere insieme il pranzo con la cena, stessa preoccupazione che condivide con quell’altro genio disoccupato di Di Battista.

Romano e Migliore si compiacciono invece di venire da esperienze diverse, l’uno riformista filo-blairiano, l’altro vendoliano spinto, per sancire che il loro avvicinamento era stato il segreto (poi tradito) del successo della formazione diretta da un uomo del destino come Renzi che avrebbe vinto la battaglia finale contro il diavolo Massimo D’Alema (Non sta andando così, ndr). La verità è che anche questi due ragazzi sono all’ultimo giro (e la cosa mi dispiace umanamente), perché nessuno dei due mostra di avere una minima idea di dove sia la società reale ma discutono animatamente se bisogna rafforzare il Pd (Romano) o attendere che Renzi torni a gonfiarsi come una rana (Migliore). Veramente surreale. Paragone invece è pronto per un ruolo in un film di Boldi e De Sica, magari con la sua fedele chitarra, una toccata la culo di una straniera, e un breve monologo contro giornalisti, leghisti, sinistra, grillini, parlamentari cioè tutti quelli che lui è stato o avrebbe potuto essere.

LA RICREAZIONE FINIRÀ PER TUTTI

Noi di sinistra ci siamo fatti in questi venti, o forse trenta anni, migliaia di autocritiche tutte giuste e sacrosante, ma tutte ignoravano che questa esibizione delle proprie viscere avveniva di fronte a questi personaggi miserabili. Nella fine tragica fine dei cinque stelle e del renzismo c’è tutta la storia di chi aveva superato la destra e la sinistra, le ideologie, il buonismo, i preti che cantano bella ciao, la buona educazione, la democrazia come fatica quotidiana, la tolleranza, la solidarietà. Li abbiamo presi sul serio, così come oggi ci spaventiamo che arrivino al potere Meloni o Salvini. Ma che volete che succeda? Qualche altro mese di casino, di quello brutto però, poi alla fine la ricreazione finirà per tutti. Non so se ci sarà una soluzione democratica, ma sento aria di forconi contro gli avventurieri di questi anni.

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Una proposta agli ex Pci: il 19 gennaio andiamo ad Hammamet

La comunità socialista sarà in Tunisia per ricordare Bettino Craxi. È l'occasione per fare un gesto forte di riconciliazione. E mettere da parte le divisioni, una volta per tutte.

Tra il 17 e il 19 di gennaio la comunità socialista ricorderà ad Hammamet la morte di Bettino Craxi. Sono passati 20 anni, ma per i socialisti è una ferita aperta e per chi socialista non è stato, addirittura ha avversato Craxi, da tempo è iniziato un tentativo di ricostruirne la vicenda politica dando al leader del Psi meriti che in vita gli furono negati, fino al punto che fu lasciato morire in Tunisia malgrado potesse essere curato, e forse salvato, in Italia. Craxi è uno dei “grandi” della politica italiana. I socialisti non devono aversene a male se questo riconoscimento che si va facendo strada spesso non è accompagnato da una generale adesione alle sue scelte, anzi si accompagna ad una critica di alcune sue scelte. Il tema ancora bruciante è, però, il rapporto fra Craxi e la sua memoria e il vasto mondo, ormai disperso, degli ex comunisti, ovvero, più correttamente, degli ex Pci.

SERVE UN GESTO DI RICONCILIAZIONE

Io credo che sia giunto il tempo che un gruppo di ex comunisti, ovvero di ex Pci, partecipi in questa veste al ricordo di Craxi ad Hammamet. Qualcuno potrebbe andarci da solo oppure coinvolto nelle diverse delegazioni che le diverse famiglie socialiste stanno organizzando. Ma il fatto politico, l’evento che potrebbe avviare la definitiva riconciliazione fra ex Pci e ex Psi (che in parte è già avvenuta nella comune militanza a sinistra di questi anni), sarebbe se la partecipazione alla commemorazione vedesse in prima fila (è un modo di dire, si può stare anche in fondo) un gruppo di ex Pci. Il funerale di Craxi 20 anni fa si fece in Tunisia. La famiglia rifiutò l’offerta del premier Massimo D’Alema del funerale di Stato in Italia, Marco Minniti, sottosegretario di quel governo, e Gavino Angius, capogruppo al senato del partito ex comunista, si recarono in Tunisia. Poi negli anni successivi c’è stato molto silenzio e l’acredine reciproca ha creato nuove ferite. Molti socialisti sono passati a destra sostenendo di farlo in nome di Craxi che a destra, viceversa, non sarebbe mai passato. Anche i figli di Craxi hanno avuto atteggiamenti diversi, intransigente la figlia Stefania, partecipe di una comune esperienza politica Bobo, mio caro amico.

Craxi e il craxismo sono rimasti nell’immaginario collettivo sia come simbolo di un ardito riformismo sia, al contrario, come espressione di una eccessiva prepotenza della politica

Ora vedremo se Gianni Amelio, nel film che dicono sia magistralmente interpretato da Favino, saprà dare l’immagine giusta del leader socialista. C’è tuttavia un punto di fondo che a sinistra si deve comprendere. Non è vero che bisogna “scurdarsi o passato”. I grandi fenomeni popolari o di opinione pubblica restano nella memoria. Craxi e il craxismo sono rimasti nell’immaginario collettivo sia come simbolo di un ardito riformismo sia, al contrario, come espressione di una eccessiva prepotenza della politica. Gli ex Pci, che hanno accettato che si facesse strame della propria storia, dovrebbero assumere come regola di vita intellettuale e politica quella di non lasciar marcire la propria memoria e di non lasciare irrisolte le grandi questioni. Il craxismo è stata la più grande questione che la sinistra abbia avuto davanti a sé in anni cruciali, enfatizzata addirittura dal diverso atteggiamento nel caso del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro.

AD HAMMAMET UNA DELEGAZIONE POST PCI CI DEVE ESSERE

Ad Hammamet una delegazione post Pci ci deve essere. Chi deve organizzarla? Ci sono tanti dirigenti di quel partito che fanno ancora politica o che hanno smesso da poco che possono farsi promotori di questa iniziativa. Può farlo una organizzazione culturale, una assemblea. Io sono nessuno, ma se ci fosse questa iniziativa parteciperei volentieri. Il tema da lanciare è la scelta dell’ unilaterale “riconciliazione” con la figura di Craxi. Tempo fa ho usato un verbo che non è piaciuto perché ho scritto che i comunisti devono “riabilitare” Craxi. Riconosco che fu una espressione infelice il cui senso politico era chiarissimo. Oggi dico ai miei che dobbiamo fare un gesto forte di riconciliazione, che scaverà come una talpa buona, fra le nostre radici: andiamo ad Hammamet, chiunque ci sia, anche se lì ci saranno quelli del cappio. Andiamo ad Hammamet con la famiglia socialista, non guardando alle sue divisioni (le nostre sono persino maggiori) ma pensando che nel futuro questo gesto può produrre unità.

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Ci penserà Salvini a disarcionare Salvini

Per il leader leghista il 2020 è l'anno degli esami. Sarà chiamato a fare opposizione costruttiva o a governare. In entrambi i casi, dovrà dimostrare qualità che non ha.

Quant’è durata quella storia che Matteo Salvini era diventato moderato? Qualche ora, forse qualche giorno. Il leader leghista è tornato in grande spolvero nel suo ruolo di produttore mondiale di odio e di cazzate. Il 2020 lo consacrerà probabilmente come l’uomo che potrebbe guidare l’Italia. Un dispiacere glielo può dare l’Emilia-Romagna e penso che glielo darà. In questo caso la sua carriera avrebbe un rallentamento, non un arresto immediato. Il caso Emilia-Romagna è interessante perché la vittoria di Salvini manderebbe a casa il governo e spingerebbe i cinque stelle nel baratro e il Pd assai vicino al buco nero. La sconfitta di Salvini, invece, avrebbe due conseguenze: primo, ne indebolirebbe gravemente la leadership nella Lega; secondo, darebbe uno slancio ulteriore a Giorgia Meloni che viceversa sarebbe sacrificata nell’ipotesi di vittoria del leghista.

In ogni caso è facile immaginare che il 2020 sarà l’ultimo anno di gloria, e soprattutto di nullafacenza, per Salvini. Sono anni, direi decenni, che è sulla scena nelle sembianze diverse di ragazzo di bottega con Umberto Bossi e Roberto Maroni, di prim’attore negli ultimi mille giorni o poco più. Finora ha dimostrato qualità indiscusse come promotore di movimenti di estrema destra. In verità se fosse sceso in campo Vittorio Feltri lui gli starebbe accanto come un cagnolino. Ma Feltri ama la vita comoda e si è ritagliato questo ruolo di gran inventore di uomini e movimenti di destra, riuscendo a fare cose che a sinistra Eugenio Scalfari ha tentato di fare, non riuscendovi. Voglio dire che lo sdoganamento del cattivismo e la demonizzazione della sinistra hanno aperto un varco nella prateria per la destra italiana. Non hanno fatto tutto da soli, né Salvini né Feltri e altri modesti imitatori del fondatore di Libero. Devono ringraziare i cinque stelle e quel mondo giustizialista che è stata la vera testuggine che ha sfondato le linee di resistenza del pensiero democratico. Devono ringraziare il “mielismo” e quella cultura “né-né” che ha prevalso nel giornalismo italiano. Comunque è andata così. Pazienza.

I DOSSIER? SALVINI NON GUARDA NEMMENO LE FIGURE

Ora Salvini sia nel caso che vinca nella regione più rossa d’Italia sia che perda deve mostrare qualità che non ha, almeno io penso che non abbia. Deve cioè fare o l’oppositore in grado di costruire alleanze stabili (nel caso di sconfitta emiliano-romagnola) o addirittura di governare nel caso di vittoria alle regionali. Salvini non è capace di governare. Persino Luigi Di Maio dà talvolta l’impressione di aver letto qualche dossier, ma Salvini sicuramente non guarda neppure le figure. L’idea che l’uomo di destra di governo debba solo saper attizzare le folle ma non abbia il dovere di saper governare è un pregiudizio di noi di sinistra. La gente di destra che va al governo sa di cosa parla. Ne abbiamo visti tanti, maschi e femmine. Persino il più improbabile leader estremista, penso a Donald Trump, ha una squadra di sbrigafaccende con un indirizzo preciso in testa. Salvini ha nulla in testa.

LE UNICHE IDEE DEL “CAPITANO” VENGONO DAL MERCATO DELL’USATO

Non è un mio pregiudizio propagandistico. Chi come me osserva la politica con ostinata e quotidiana attività (leggendo discorsi, dichiarazioni, interviste, una vera vita di m…da) non ha mai trovato nelle cose di Salvini una idea, tranne quelle che ha raccattato al mercato dell’usato. La mia sorpresa è come faccia tanta gente di destra, abituata a leader con storia e letture, a essersi consegnata a uno sconclusionato figlio del Nord più cialtrone (credevate che ce li avevamo solo noi meridionali?). Comunque sia, quest’anno Salvini darà gli esami. Quelli veri. Dovrà dimostrare di saper stare all’opposizione oppure di essere in grado di governare. In questo secondo caso la sinistra è bene che smetta subito di lamentarsi. Smetta prima di ricominciare a farlo. Salvini al governo durerà poco. La quantità di incidenti istituzionali, internazionali, di piazza sarà talmente alta che alla fine lo butteranno fuori i suoi.

Le sardine non possono portare la gente in piazza ripetutamente senza dare una prospettiva

E nell’attesa? Nell’attesa sappiamo poche cose, ma importanti. Che il Pd non raggiunge il 20%, che Matteo Renzi è bollitissimo, che la magistratura, pur divisa come mai, ha ripreso il sopravvento sulla politica e vedremo arresti e avvisi di garanzia a carrettate. Per fortuna ci sono i movimenti giovanili di massa e, quando tornano in piazza, le donne. Io non so se le “sardine” devono fare un partito, ma credo abbia ragione Massimo Cacciari quando dice loro che non si può portare la gente in piazza ripetutamente senza dare una prospettiva. Se gli toccherà di fare un partito, facciano un partito. Buon anno.

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Ci penserà Salvini a disarcionare Salvini

Per il leader leghista il 2020 è l'anno degli esami. Sarà chiamato a fare opposizione costruttiva o a governare. In entrambi i casi, dovrà dimostrare qualità che non ha.

Quant’è durata quella storia che Matteo Salvini era diventato moderato? Qualche ora, forse qualche giorno. Il leader leghista è tornato in grande spolvero nel suo ruolo di produttore mondiale di odio e di cazzate. Il 2020 lo consacrerà probabilmente come l’uomo che potrebbe guidare l’Italia. Un dispiacere glielo può dare l’Emilia-Romagna e penso che glielo darà. In questo caso la sua carriera avrebbe un rallentamento, non un arresto immediato. Il caso Emilia-Romagna è interessante perché la vittoria di Salvini manderebbe a casa il governo e spingerebbe i cinque stelle nel baratro e il Pd assai vicino al buco nero. La sconfitta di Salvini, invece, avrebbe due conseguenze: primo, ne indebolirebbe gravemente la leadership nella Lega; secondo, darebbe uno slancio ulteriore a Giorgia Meloni che viceversa sarebbe sacrificata nell’ipotesi di vittoria del leghista.

In ogni caso è facile immaginare che il 2020 sarà l’ultimo anno di gloria, e soprattutto di nullafacenza, per Salvini. Sono anni, direi decenni, che è sulla scena nelle sembianze diverse di ragazzo di bottega con Umberto Bossi e Roberto Maroni, di prim’attore negli ultimi mille giorni o poco più. Finora ha dimostrato qualità indiscusse come promotore di movimenti di estrema destra. In verità se fosse sceso in campo Vittorio Feltri lui gli starebbe accanto come un cagnolino. Ma Feltri ama la vita comoda e si è ritagliato questo ruolo di gran inventore di uomini e movimenti di destra, riuscendo a fare cose che a sinistra Eugenio Scalfari ha tentato di fare, non riuscendovi. Voglio dire che lo sdoganamento del cattivismo e la demonizzazione della sinistra hanno aperto un varco nella prateria per la destra italiana. Non hanno fatto tutto da soli, né Salvini né Feltri e altri modesti imitatori del fondatore di Libero. Devono ringraziare i cinque stelle e quel mondo giustizialista che è stata la vera testuggine che ha sfondato le linee di resistenza del pensiero democratico. Devono ringraziare il “mielismo” e quella cultura “né-né” che ha prevalso nel giornalismo italiano. Comunque è andata così. Pazienza.

I DOSSIER? SALVINI NON GUARDA NEMMENO LE FIGURE

Ora Salvini sia nel caso che vinca nella regione più rossa d’Italia sia che perda deve mostrare qualità che non ha, almeno io penso che non abbia. Deve cioè fare o l’oppositore in grado di costruire alleanze stabili (nel caso di sconfitta emiliano-romagnola) o addirittura di governare nel caso di vittoria alle regionali. Salvini non è capace di governare. Persino Luigi Di Maio dà talvolta l’impressione di aver letto qualche dossier, ma Salvini sicuramente non guarda neppure le figure. L’idea che l’uomo di destra di governo debba solo saper attizzare le folle ma non abbia il dovere di saper governare è un pregiudizio di noi di sinistra. La gente di destra che va al governo sa di cosa parla. Ne abbiamo visti tanti, maschi e femmine. Persino il più improbabile leader estremista, penso a Donald Trump, ha una squadra di sbrigafaccende con un indirizzo preciso in testa. Salvini ha nulla in testa.

LE UNICHE IDEE DEL “CAPITANO” VENGONO DAL MERCATO DELL’USATO

Non è un mio pregiudizio propagandistico. Chi come me osserva la politica con ostinata e quotidiana attività (leggendo discorsi, dichiarazioni, interviste, una vera vita di m…da) non ha mai trovato nelle cose di Salvini una idea, tranne quelle che ha raccattato al mercato dell’usato. La mia sorpresa è come faccia tanta gente di destra, abituata a leader con storia e letture, a essersi consegnata a uno sconclusionato figlio del Nord più cialtrone (credevate che ce li avevamo solo noi meridionali?). Comunque sia, quest’anno Salvini darà gli esami. Quelli veri. Dovrà dimostrare di saper stare all’opposizione oppure di essere in grado di governare. In questo secondo caso la sinistra è bene che smetta subito di lamentarsi. Smetta prima di ricominciare a farlo. Salvini al governo durerà poco. La quantità di incidenti istituzionali, internazionali, di piazza sarà talmente alta che alla fine lo butteranno fuori i suoi.

Le sardine non possono portare la gente in piazza ripetutamente senza dare una prospettiva

E nell’attesa? Nell’attesa sappiamo poche cose, ma importanti. Che il Pd non raggiunge il 20%, che Matteo Renzi è bollitissimo, che la magistratura, pur divisa come mai, ha ripreso il sopravvento sulla politica e vedremo arresti e avvisi di garanzia a carrettate. Per fortuna ci sono i movimenti giovanili di massa e, quando tornano in piazza, le donne. Io non so se le “sardine” devono fare un partito, ma credo abbia ragione Massimo Cacciari quando dice loro che non si può portare la gente in piazza ripetutamente senza dare una prospettiva. Se gli toccherà di fare un partito, facciano un partito. Buon anno.

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