Retromarcia di Viale Mazzini: la giornalista salirà sul palco dell'Ariston con un monologo dedicato alla violenza sulle donne. Ma ora la polemica si è spostata sulla partecipazione della sovranista Rita Pavone.
Ennesimo dietrofront a Viale Mazzini. Rula Jebreal sarà al Festival di Sanremo. La notizia, confermata da una nota pubblicata dalla Rai, si è diffusa al termine di un vertice che ha visto partecipare l’amministratore delegato Fabrizio Salini, la direttrice di RaiUno Teresa De Santis e il conduttore e direttore artististico del Festival Amadeus. La giornalista salirà sul palco dell’Ariston con un suo monologo dedicato alla violenza contro le donne.
CONFERMATO L’INTERO CAST DI OSPITI
Si chiude così il caso dell’esclusione che la stessa Jebreal aveva attribuito a un veto di Matteo Salvini o ai vertici Rai di area sovranista. In difesa della giornalista si era schierata in particolare Italia viva, con interrogazioni parlamentari e denunce. Nel corso della riunione di aggiornamento sulla 70esima edizione del Festival è stato confermato l’intero cast di ospiti proposto dal direttore artistico Amadeus che sarà presentato nel corso della conferenza stampa del prossimo 14 gennaio.
LE POLEMICHE SI SPOSTANO SU RITA PAVONE
Ma le polemiche non sono certo finite. Già perché a scaldare Twitter ora è la partecipazione di Rita Pavoneal concorso canoro. Settantaquattro anni, l’ex Giamburrasca della tivù ha fatto parlare di sé per certe sue uscite social filo salviniane e sovraniste, dall’attacco a Pearl Jam allo sfottò di Greta Thunberg.
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L'annuncio dato da Amadeus ha infiammato Twitter, ancora caldo dopo il no di Viale Mazzini alla partecipazione di Rula Jebreal.
Rita Pavone sul palco del Festival di Sanremo. E no, non è un frammento di Techetechete. Com’era prevedibile, l’annuncio dato in diretta dal direttore artistico della kermesse Amadeus durante I soliti ignoti – Speciale Lotteria Italia ha riscaldato i soliti social ancora bollenti dopo le porte chiuse da Viale Mazzini a Rula Jebreal.
LA TEMPESTA SUI SOCIAL
Già pronto il jingle per il ritorno all’Ariston dopo 48 anni della Gianburrasca della tivù italiana ormai giunta alle 74 primavere: «Viva la pa-pa-patria col po-po-po-po-po-pulismo», c’è chi scherza in Twitter.
Per qualche utente il bilancio è pronto: più che il reddito di cittadinanza, poté la fede sovranista.
I TWEET FILO-SOVRANISTI
In effetti alcune uscite social di Rita Pavone hanno fatto parecchio discutere. A partire dalla polemica innescata contro i Pearl Jam che nel loro ultimo live in Italia, il 26 giugno 2018, cantando Imagine di John Lennon avevano chiesto con tanto di hashtag di aprire i porti. Pavone non ci ha più visto e condividendo il servizio dedicato alla loro performance se ne era uscita con un: «Ma farsi gli affari loro no?».
«E il mio: “Ma farsi gli affari loro, no ?”, era inteso come: “Con tutte le rogne che hanno a casa loro negli USA, vengono a fare le pulci a noi?», aveva cinguettato. «Puoi essere il più grande artista del mondo, ma ciò non toglie che sei un ospite e come tale dovresti comportarti. Amen».
Una presa di posizione che fece guadagnare alla signora del Geghegè il plauso dell’allora ministro degli Interni Matteo Salvini in persona. «Onore a Rita Pavone, che non si inchina al pensiero unico!».
Per questo ora c’è chi consiglia ad Amadeus di invitare come super ospiti proprio i Pearl jam.
LA GAFFE CON GRETA THUNBERG E LE SCUSE
Più recentemente Pavone, che retwitta Salvini e Lorenzo Fontana, se l’era presa pure con Greta Thunberg. «Quella ‘bimba’ con le treccine che lotta per il cambio climatico, non so perché ma mi mette a disagio. Sembra un personaggio da film horror…», aveva twittato la cantante. Salvo poi fare retromarcia. «Ho fatto una gaffe enorme perché non sapevo che avesse la sindrome di Asperger, nessuno l’ha mai detto in televisione». Detto questo aveva risposto agli attacchi con un: «Cosa vogliono? Che mi impicchi o che mi che mi tagli le vene? Non pensavo di creare questo scompiglio, se qualcuno ha detto una battuta in più non l’ho detta io. È diventato un mondo di lupi».
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A poco più di un mese dall'inizio del Festival, manca ancora un accordo fra tutti i soggetti coinvolti. E la Federazione industria musicale italiana potrebbe decidere di non far partecipare i propri artisti. Il retroscena.
Dopo l’eloquente passaggio sulla Rai da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha rammentato ruolo e funzioni del servizio pubblico, il 2020 della tivù di Stato non è iniziato bene. Stavolta la grana si chiama Sanremo ed è scoppiata a poco più di un mese dall’inizio del Festival, da sempre punto di forza di Viale Mazzini e della sua rete ammiraglia.
RIUNIONE AD ALTA TENSIONE
Secondo quanto risulta a Lettera43, il 23 dicembre si è tenuta una riunionemolto tesa, coordinata via telefono dal Direttore generale Corporate Alberto Matassino, per tentare di recuperare e risolvere l’ultima crisi nata in azienda: si tratta del nuovo regolamento della kermesse musicale. Su alcune delle regole legate ai diritti dei cantanti che si esibiranno, non è stato ancora trovato l’assenso di tutti i soggetti coinvolti.
In particolare la Fimi (Federazione industria musicale italiana), per bocca del suo presidente Enzo Mazza, non avrebbe ancora dato il semaforo verde al nuovo regolamento, in quanto non sarebbero state soddisfatte alcune sue richieste. Da qui l’ipotesi di non far partecipare i cantanti legati alla Federazione. Sono ore convulse e di comprensibile agitazione, perché il Festival in questo momento è privo di un regolamento ufficiale che stabilisca con chiarezza le regole della competizione.
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La serie creata da Matt Groening ha debuttato il 17 dicembre 1989. Da allora ha conquistato il mondo diventando un cult. Ecco il nostro modo di celebrare Homer & Co.
Trenta anni de ISimpson: il 17 dicembre 1989 sbarcava in prima serata nelle tivù americane il cartoon firmato da Matt Groeninge James L. Brooks destinato a entrare nella storia.
A fine novembre però un’indiscrezione ha fatto tremare i polsi ai fan: il compositore Danny Elfman, autore della sigla, in una intervista al sito Joe ha lasciato intendere che la serie sarebbe agli sgoccioli. «Da quello che ho sentito», sono state le sue parole, «si avvicina la fine». Aggiungendo che la prossima stagione potrebbe essere l’ultima.
Notizia presto smentita dal produttore esecutivoAl Jean: «Stiamo realizzando la 32esima stagione, non ci sono piani per fermarci». Rasserenati dalla smentita, celebriamo il 30ennale della famiglia gialla di Springfield con 10 curiosità.
1. IL LIBRO CELEBRATIVO DI FINK
I Simpson. Trent’anni di un mito di Moritz Fink è arrivato puntuale in libreria come regalo di compleanno. Il libro (Leone Editore) ripercorre la storia della famiglia che ha fatto da apripista a diverse serie a cartoni come I Griffin, South Park o Bob’s Burger. Questo di Fink non è certo il primo libro che analizza il successo del cartoon. Nel 2012 uscì La vera storia dei Simpson – La famiglia più importante del mondo di John Ortved.
2. L’EPISODIO PILOTA DEDICATO AL NATALE
Era dedicato al Natale l’episodio pilota che andò in onda in America il 17 dicembre 1989 sul canale Fox. Si intitolava Simpson Roasting on an Open Fire, in italiano Un Natale da Cani: 30 minuti di spasso puro, con Homer alle prese con la tredicesima tagliata dal malvagio Signor Burns.
3. DAL FUMETTO ALLA TIVÙ
In realtà, prima di diventare una serie indipendente nel 1989, I Simpson apparvero come cortometraggio animato nel 1987, all’interno del Tracey Ullman Show come adattamento del fumetto underground settimanale Life in Hell ideato da Groening.
4. LA CRITICA DI GEORGE BUSH
I Simpson furono presi di mira dal presidente degli Stati Uniti George Bush che disse di «voler continuare a rafforzare la famiglia americana, renderla più come i Walton e meno come i Simpson». Lo show, neanche a dirlo, continuò con success. E mentre oggi tutti sanno chi sono Bart, Marge, Lisa o Maggie, quasi tutti googolano ‘Walton’ in cerca di lumi.
5. UNA FAMIGLIA PIÙ TRADIZIONALE DI QUELLO CHE SI POSSA PENSARE
Nel saggio di Paul A. Cantor nel libro I Simpson e la filosofia (Isbn Edizioni) la famiglia di Springfield è definita «ri-creazione post moderna della prima generazione delle sit-com familiari televisive». È ovvio, è il ragionamento, «che non si tratti di un semplice ritorno agli Anni 50 ma il programma fornisce elementi di continuità che lo rendono molto più tradizionale di quello che si possa pensare».
Non è trascurabile il fatto che i Simpson vivano in una cittadina di provincia. «Nonostante lo show si incentri sulla famiglia nucleare», si legge nel saggio, «mette in relazione la famiglia con le grandi istituzioni della vita americana, con la Chiesa, la scuola e persino le stesse istituzioni politiche, come il governo municipale». E anche i Simpson se ne fanno beffe, facendole sembrare ridicole e prive di valore, il cartoon riconosce la loro importanza rispetto alla famiglia. Anche l’avversione di Bart alle regole sotto sotto rispetta l’«archetipo americano» visto che gli Usa sono fondati su un «atto di ribellione».
6. LA VERA SPRINGFIELD
La cittadina in cui vivono i Simpson, come tutti sanno, è Springfield. Matt Groening ha dichiarato di averla chiamata così proprio perché è un nome piuttosto comune negli States. Per questo, nello spettatore scatta facilmente l’identificazione. Ma Springfield – si è scoperto solo in seguito – è anche la città natale dello stesso Groening. La Spingfield di Groening oggi – grazie ai Simpson – è diventata davvero la Springfield di tutti.
7. UN PALMARES DA RECORD
Nella loro trentennale carriera, i Simpson hanno collezionato un ricco bottino di premi. Il Time li ha definiti la «Miglior serie tivù del secolo»; l’Economist ha scritto che «un qualsiasi fenomeno può dirsi entrato nella cultura di massa solo dopo che è stato rappresentato satiricamente nei Simpson». Del resto, nel suo curriculum, la famiglia gialla vanta 31 Primetime Emmy Awards, 30 Annie Awards e un Peabody Awards. Potevano mai mancare i Simpson sulla Walk of Fame di Hollywood? Certamente no. Ed ecco che Homer&Co si sono beccati la stella. La loro popolarità è sempre stata ripagata dagli ascolti, seppure oggi nettamente inferiori rispetto all’inizio: negli anni 90 veleggiavano su una media di 20 milioni.
8. LA TRASFORMAZIONE DEI PERSONAGGI NEGLI ANNI
Dall’inizio della serie a oggi i personaggi dei Simpson sono parecchio cambiati, sia caratterialmente sia graficamente. I protagonisti hanno acquisito maggiore rotondità. E Homer, in particolare, è lentamente diventato più pigro che irascibile.
9. LA PASSIONE PER LA SCIENZA
Uno degli aspetti più affascinanti della serie sono i tanti rimandi a teoremi, missioni spaziali, e argomenti di attualità tecnico-scientifica. Non a caso fra gli autori della serie ci sono laureati in matematica e fisica. Sull’argomento sono usciti anche due volumi:La formula segreta dei Simpson: Numeri, teoremi e altri enigmi di Simon Singh (Rizzoli, 2014) e La scienza dei Simpson. Guida non autorizzata all’universo in una ciambella di Marco Malaspina (Sirone Editore, 2015). Per lettori un po’ geek.
10. UN ESERCITO DI GUEST STAR
Tante, tantissime le guest star della serie: si parla di più di 600. Da Meryl Streep a Liz Taylor, da Dustin Hoffman a Michelle Pfeiffer passando per Micheal Jackson, Susan Sarandon, Gleen Glose, Katy Perry, Tom Hanks, Ron Howard, Stephen King, tanto per citarne alcuni. Tra i no più eclatanti Bruce Springsteen e Clint Eastwood.
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La serie creata da Matt Groening ha debuttato il 17 dicembre 1989. Da allora ha conquistato il mondo diventando un cult. Ecco il nostro modo di celebrare Homer & Co.
Trenta anni de ISimpson: il 17 dicembre 1989 sbarcava in prima serata nelle tivù americane il cartoon firmato da Matt Groeninge James L. Brooks destinato a entrare nella storia.
A fine novembre però un’indiscrezione ha fatto tremare i polsi ai fan: il compositore Danny Elfman, autore della sigla, in una intervista al sito Joe ha lasciato intendere che la serie sarebbe agli sgoccioli. «Da quello che ho sentito», sono state le sue parole, «si avvicina la fine». Aggiungendo che la prossima stagione potrebbe essere l’ultima.
Notizia presto smentita dal produttore esecutivoAl Jean: «Stiamo realizzando la 32esima stagione, non ci sono piani per fermarci». Rasserenati dalla smentita, celebriamo il 30ennale della famiglia gialla di Springfield con 10 curiosità.
1. IL LIBRO CELEBRATIVO DI FINK
I Simpson. Trent’anni di un mito di Moritz Fink è arrivato puntuale in libreria come regalo di compleanno. Il libro (Leone Editore) ripercorre la storia della famiglia che ha fatto da apripista a diverse serie a cartoni come I Griffin, South Park o Bob’s Burger. Questo di Fink non è certo il primo libro che analizza il successo del cartoon. Nel 2012 uscì La vera storia dei Simpson – La famiglia più importante del mondo di John Ortved.
2. L’EPISODIO PILOTA DEDICATO AL NATALE
Era dedicato al Natale l’episodio pilota che andò in onda in America il 17 dicembre 1989 sul canale Fox. Si intitolava Simpson Roasting on an Open Fire, in italiano Un Natale da Cani: 30 minuti di spasso puro, con Homer alle prese con la tredicesima tagliata dal malvagio Signor Burns.
3. DAL FUMETTO ALLA TIVÙ
In realtà, prima di diventare una serie indipendente nel 1989, I Simpson apparvero come cortometraggio animato nel 1987, all’interno del Tracey Ullman Show come adattamento del fumetto underground settimanale Life in Hell ideato da Groening.
4. LA CRITICA DI GEORGE BUSH
I Simpson furono presi di mira dal presidente degli Stati Uniti George Bush che disse di «voler continuare a rafforzare la famiglia americana, renderla più come i Walton e meno come i Simpson». Lo show, neanche a dirlo, continuò con success. E mentre oggi tutti sanno chi sono Bart, Marge, Lisa o Maggie, quasi tutti googolano ‘Walton’ in cerca di lumi.
5. UNA FAMIGLIA PIÙ TRADIZIONALE DI QUELLO CHE SI POSSA PENSARE
Nel saggio di Paul A. Cantor nel libro I Simpson e la filosofia (Isbn Edizioni) la famiglia di Springfield è definita «ri-creazione post moderna della prima generazione delle sit-com familiari televisive». È ovvio, è il ragionamento, «che non si tratti di un semplice ritorno agli Anni 50 ma il programma fornisce elementi di continuità che lo rendono molto più tradizionale di quello che si possa pensare».
Non è trascurabile il fatto che i Simpson vivano in una cittadina di provincia. «Nonostante lo show si incentri sulla famiglia nucleare», si legge nel saggio, «mette in relazione la famiglia con le grandi istituzioni della vita americana, con la Chiesa, la scuola e persino le stesse istituzioni politiche, come il governo municipale». E anche i Simpson se ne fanno beffe, facendole sembrare ridicole e prive di valore, il cartoon riconosce la loro importanza rispetto alla famiglia. Anche l’avversione di Bart alle regole sotto sotto rispetta l’«archetipo americano» visto che gli Usa sono fondati su un «atto di ribellione».
6. LA VERA SPRINGFIELD
La cittadina in cui vivono i Simpson, come tutti sanno, è Springfield. Matt Groening ha dichiarato di averla chiamata così proprio perché è un nome piuttosto comune negli States. Per questo, nello spettatore scatta facilmente l’identificazione. Ma Springfield – si è scoperto solo in seguito – è anche la città natale dello stesso Groening. La Spingfield di Groening oggi – grazie ai Simpson – è diventata davvero la Springfield di tutti.
7. UN PALMARES DA RECORD
Nella loro trentennale carriera, i Simpson hanno collezionato un ricco bottino di premi. Il Time li ha definiti la «Miglior serie tivù del secolo»; l’Economist ha scritto che «un qualsiasi fenomeno può dirsi entrato nella cultura di massa solo dopo che è stato rappresentato satiricamente nei Simpson». Del resto, nel suo curriculum, la famiglia gialla vanta 31 Primetime Emmy Awards, 30 Annie Awards e un Peabody Awards. Potevano mai mancare i Simpson sulla Walk of Fame di Hollywood? Certamente no. Ed ecco che Homer&Co si sono beccati la stella. La loro popolarità è sempre stata ripagata dagli ascolti, seppure oggi nettamente inferiori rispetto all’inizio: negli anni 90 veleggiavano su una media di 20 milioni.
8. LA TRASFORMAZIONE DEI PERSONAGGI NEGLI ANNI
Dall’inizio della serie a oggi i personaggi dei Simpson sono parecchio cambiati, sia caratterialmente sia graficamente. I protagonisti hanno acquisito maggiore rotondità. E Homer, in particolare, è lentamente diventato più pigro che irascibile.
9. LA PASSIONE PER LA SCIENZA
Uno degli aspetti più affascinanti della serie sono i tanti rimandi a teoremi, missioni spaziali, e argomenti di attualità tecnico-scientifica. Non a caso fra gli autori della serie ci sono laureati in matematica e fisica. Sull’argomento sono usciti anche due volumi:La formula segreta dei Simpson: Numeri, teoremi e altri enigmi di Simon Singh (Rizzoli, 2014) e La scienza dei Simpson. Guida non autorizzata all’universo in una ciambella di Marco Malaspina (Sirone Editore, 2015). Per lettori un po’ geek.
10. UN ESERCITO DI GUEST STAR
Tante, tantissime le guest star della serie: si parla di più di 600. Da Meryl Streep a Liz Taylor, da Dustin Hoffman a Michelle Pfeiffer passando per Micheal Jackson, Susan Sarandon, Gleen Glose, Katy Perry, Tom Hanks, Ron Howard, Stephen King, tanto per citarne alcuni. Tra i no più eclatanti Bruce Springsteen e Clint Eastwood.
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Il simbolo del Cagliari nell'anno del centenario protagonista della mini docu-serie in onda su Sky. Una storia di resistenza e riservatezza. Che restituisce un'immagine inedita di uno dei più grandi bomber della storia.
Raccontare Gigi Riva non è cosa semplice. Di lui, del suo sinistro potentissimo, dei 35 gol in 42 presenze con la Nazionale, di quello scudetto assurdo conquistato 49 anni e mezzo fa col Cagliari, si è detto e scritto di tutto. Per farlo bisogna lavorare di cesello, andare per sottrazione, scavare in profondità, trovare una chiave originale. Federico Buffa lo ha fatto, partendo dai luoghi della sua vita e dai rapporti interpersonali, dai volti di chi gli è stato vicino e di chi, invece, con la sua assenza, ha saputo avere un peso enorme sulla sua formazione.
IL VUOTO MAI COLMATO DELLA SCOMPARSA DEI GENITORI
#SkyBuffaRacconta Gigi Riva, la mini docu-serie in due parti il cui primo episodio va in onda il 13 dicembre alle 21, approccia la vita di un campione partendo dal legame con la madre persa a 16 anni, da una mancanza che si è sommata a un’altra, quella del padre morto quando di anni Riva ne aveva solo nove, lasciando spazio a un vuoto mai del tutto colmato. Riva, il fioeu che alla fine dell’estate scappa sul fico per non tornare al collegio di Viggiù in cui è costretto per tre anni dopo la morte del padre, influenza l’evoluzione di Riva, il fuoriclasse che ha scritto il suo nome nella storia del calcio italiano.
UN SAGGIO DI RESISTENZA ATTRAVERSO LE GENERAZIONI
E se raccontare Riva è un’impresa, farlo rivolgendosi a un pubblico di 15enni-20enni lo è ancora di più. Che cosa può dire, ai giovani di oggi, una storia in bianco e nero di mezzo secolo fa? Cosa può raccontare un campione così distante dai modelli attuali, dalle ribalte social, dai divismi contemporanei? «Credo che ci siano dei valori eterni nella storia del genere umano», spiega Buffa, «come la capacità di reagire al destino, e la storia di Gigi Riva vale in eterno per la capacità che ha avuto di reagire alle situazioni negative come quelle che gli veniva proposte dalla sua vita». Valori di «un’Italia diversa e che si aiutava di più».
DALLA VOGLIA DI SCAPPARE ALLA SCELTA DI RESTARE PER SEMPRE
Cose come perdere due genitori, perdere il proprio paese e il proprio lago, ritrovarsi all’improvviso in una terra sconosciuta e temuta, in un’isola per gran parte senza illuminazione artificiale, in un aeroporto collegato alla città più importante e vicina da una strada ancora in gran parte sterrata. Cose come pensare di voler scappare e poi, quasi all’improvviso, decidere di restare per non andare più via, dopo essersi reso conto che quel mare non è poi così distante dal lago sulle sponde del quale si è cresciuti.
IL PALLONE PER DESCRIVERE CIÒ CHE LE PAROLE NON DICONO
In mezzo c’è il pallone, sì, ma appare solo un accessorio attraverso cui raccontare tutto ciò che le parole non dicono, ma che può essere espresso con un’alzata di spalle o una smorfia dell’estremità sinistra delle labbra. Riva è un uomo di poco parole, lo è sempre stato, per questo quelle poche che vengono inserite dentro al racconto di Buffa hanno un peso specifico particolare e suonano preziose come l’oro. Uno storytelling costruito di «ciò che si fa, non di ciò che si dice».
L’EMOZIONE NEL RACCONTO DI BUFFA
C’è un’emozione diversa, stavolta nella voce di Buffa: «Racconto solo storie che vorrei raccontare, non quelle che non mi piacciono. Ci metto sempre una componente personale, in questo caso anche troppa, forse». Perché il piccolo Federico, cresciuto a qualche centinaia di metri di distanza dalla casa di Leggiuno di Riva, ogni pomeriggio d’estate scappava con la bicicletta per recarsi sotto il suo balcone, aspettando che uscisse a fumare per avere il privilegio di osservarlo soltanto, quell’uomo che un gol dopo l’altro, un silenzio dopo l’altro, scriveva la sua leggenda.
GLI ANEDDOTI INEDITI RIVELATI DALLA SORELLA E DAL FIGLIO
Lo guardava senza parlarci mai. e ancora oggi, nonostante tutto, non l’ha mai incontrato ed è felice di non averlo fatto perché «diversamente mi avrebbe intimidito con la sua presenza». A fornirgli il materiale per aneddoti inediti e aspetti ancora inesplorati della vita di Rombo di Tuono sono stati gli amici e i parenti più stretti, la sorella Fausta o il figlio Nicola, presente all’anteprima per poter dire alla fine: «Pensavo di conoscere la vita di mio padre e invece non la conoscevo ancora tutta».
PRESIDENTE ONORARIO NELL’ANNO DEL CENTENARIO
Ed è la sensazione che si ha pur essendoci cresciuti dentro a quel mito, in un’isola e una città in cui uno scudetto di 50 anni fa è tramandato oralmente come l’epica di un tempo e l’uomo che l’ha portato è venerato come una semidivinità pagana vivente, presente eppure allo stesso tempo distante, come un dio dell’Olimpo che sempre più di rado scende tra la gente. Una mistica alimentata da una vita pubblica ormai quasi inesistente, perché «papà», racconta il figlio Nicola, «è tornato sul fico». Eppure ne scenderà ancora, almeno una volta, per diventare presidente onorario del Cagliari il 18 dicembre e coronare così l’anno del centenario del club e del cinquantenario dello scudetto. Una storia che ha scritto in prima persona e che non può certamente esimersi dal suggellare.
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Dopo l'ultimatum di Damasco alla messa in onda del servizio curato da Monica Maggioni, la stampa filo-governativa lancia nuove accuse: «Media italiani sottomessi agli Stati Uniti»
Non si placano le polemiche sulla mancata trasmissione dell’intervista realizzata da Monica Maggioni al presidente siriano Bashar al Assad, a breve distanza dall’ultimatum col quale Damasco ha concesso 48 ore alla Rai per la messa in onda del documento. A insorgere ora sono anche i media filo-governativi del regime siriano, che hanno accusato viale Mazzini di sottomissione agli Stati Uniti dietro la scelta di non provvedere alla trasmissione dell’intervista.
«SOTTOMISSIONE ALLA VOLONTÀ AMERICANA»
Al Watan ha infatti titolato in prima pagina “Un canale tv di notizie italiano rifiuta di trasmettere un’intervista con il presidente”. Per il giornale si tratta di una «sottomissione, in un modo o nell’altro, alla volontà americana e ai suoi progetti distruttivi».Il quotidiano in questione è di proprietà di Rami Makhlouf, cugino di Assad, che ha accusato esplicitamente la Rai di aver «avuto paura delle parole di verità del presidente Assad». «L’atto commesso dalla tv italiana», prosegue il pezzo, «rivela l’entità del coinvolgimento dei media occidentali nella cospirazione contro i siriani».
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Fedez rischia di ammalarsi di sclerosi multipla, ma per ora sta bene. Il rapper, intervistato da Peter Gomez a La..
Fedez rischia di ammalarsi di sclerosi multipla, ma per ora sta bene. Il rapper, intervistato da Peter Gomez a La confessione su Nove, ha rivelato di essersi sottoposto a una risonanza magnetica durante la quale «mi è stata trovata una cosa chiamata demielinizzazione nella testa, che è quello che avviene quando hai la sclerosi multipla».
Si tratta di una «piccola cicatrice bianca, sono dovuto restare sotto controllo perché, clinicamente, quello che mi hanno riscontrato è una sindrome radiologicamente verificata». Una scoperta che lo avrebbe portato a ridefinire le priorità della sua vita: «Questo è stato per me il motivo di iniziare un percorso per migliorare e per scegliere le mie battaglie».
Su Instagram, Fedez ha comunque voluto rassicurare i suoi fan: «Ho visto che sono già usciti tanti articoli, alcuni con dei titoli molto allarmanti. Purtroppo o per fortuna (dipende dai punti di vista) sto bene. Vi chiedo di guardare l’intervista completa. Quello che dico non si riesce a riassumere in un titolo. Ribadisco che sto bene».
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Dopo le polemiche legate all'ipotesi del conflitto di interessi di Giannotti con MN Italia, la tv di Stato decide di curarsi da sola la promozione del Festival.
Dopo le polemiche sui rapporti “incestuosi” con Mn Italia, alla fine Fabrizio Salini avrebbe deciso: niente appalto esterno per la comunicazione del Festival di Sanremo che sarà affidata in toto alla Direzione Comunicazione della Rai.
CONFLITTO DI INTERESSI
La decisione dell’amministratore delegato della tivù pubblica arriva dopo che Striscia la Notizia, Lettera43, e poi la Commissione parlamentare di vigilanza avevano sollevato l’ipotesi di un conflitto di interessi tra MN Italia – la societa’ che si sarebbe dovuta aggiudicare l’appalto (era già partita la richiesta, poi annullata) – e il Direttore della Comunicazione di viale Mazzini Marcello Giannotti – portato in azienda da Salini – e che fino a un anno fa lavorava proprio in MN.
SUL TAVOLO C’ERANO 40 MILA EURO
Un’inversione totale quella di Salini e di Giannotti, che quindi implicitamente conferma l’esistenza del conflitto di interessi tra Giannotti e MN e che contemporaneamente metterebbe in luce anche una gestione non trasparente delle risorse Rai: perché se l’ufficio stampa del festival “ora” può essere “fatto” internamente dalla Comunicazione Rai, una settimana fa l’azienda era pronta a sborsare fino a 40 mila euro per appaltarlo a un esterno?
LA PREOCCUPAZIONE DI GIANNOTTI
Fonti di corridoio vicine alla direzione comunicazione raccontano di un Giannotti chiuso nel suo ufficio a controllare e ricontrollare le mail inviate e ricevute sull’affaire MN, al centro di un altro appalto: quello per il nuovo programma di Fiorello su Raiplay. Un contratto arrivato in corsa per chiamata diretta, anche questo annullato dopo le polemiche.
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Davide, uno dei concorrenti più dotati, al ballottaggio. Sofia è azzoppata da Sfera Ebbasta. Scandalosa la promozione di Eugenio. Il talent perde credibilità di puntata in puntata. I voti.
Un fatto apparentemente logico: Giordana l’Arpa che uccide e Nicola il parà-gnosta fuori.
Da non credere: entrambi si giocano uno sballottaggio (lo chiamiamo così perché quest’anno gli spareggi li hanno resti quanto mai cervellotici) con Davide, il più prossimo a un talento.
Ci crediamo, che dipende tutto e solo dal pubblico? Se uno come Eugenio fa una esibizione da circo o da galera, e lo tengono su perché «una serata storta può capitare a tutti», ed è una frase ribalda, vergognosa questa di Cattelan, che credibilità resta?
INDEDITI DELUDENTI
Comunque limitiamoci a constatare il risultato, e anche a rimarcare che gli inediti, architrave commerciale di XF, sono poca cosa, per andare di eufemismo, anche se sono quelli che ufficialmente, sulla base delle preferenze del pubblico, determinano una scala di probabilità: tu resti, tu te ne vai. E se la piccola Sofia ha dalla sua l’attenuante dell’età, fino a un certo punto, gli altri non trovano alibi: davvero i tanto strombazzati «autori internazionali» non avevano di meglio che questi scarti evidenti da offrire? Davvero è questo il gusto, il linguaggio musicale di XF? E cosa dovrebbe mai sortire da tanta piattezza?
Se così è, la sentenza è senza appello: quivi si pensa solo all’immediato, quivi si cerca solo chi è venduto, subito, adesso, senza complicazioni, senza implicazioni. Ma nessuno può credere che talenti in boccio come Sofia, come Davide, possano venire allevati, gestiti da una Ayane, da uno Sfera Ebbasta; e già solo l’apparenza offende. Va pur detto, va lasciato nero su bianco, non credete?
GIUDICI SOTTO LA MEDIA
ALESSANDRO CATTELAN: 5. Stavolta manco la sufficienza gli do: più spento, più svogliato, più distratto e vacuo del solito.
MARA MAIONCHI: 4. Spiace, ma ormai è vecchia. Vecchia. I suoi concorrenti, dà l’idea di abbandonarli a loro stessi, ci pensi qualcun altro, se uno ha le spalle coperte, come l’insopportabile Eugenio, continua, se no precipita (il parà-pendio Nicola). E forse è proprio così. Non sa i titoli, si perde, si incasina e allora dice: cazzo!, e tutti ridono. Anche basta, per rispetto suo e nostro.
MALIKA AYANE: 4. Kraftwerk, banana, albero di Natale, lampadario: il look è più umano e più seducente. Ma giusto per questo, per i look, resterà all’archivio di XF. E per come non ha saputo gestire i suoi concorrenti, Davide su tutti, dall’alto della sua incompetenza condita di fumosi birignao pretenziosi.
SFERA EBBASTA: 3. Niente. Nuttata persa e figlia fimmena, come direbbe Montalbano. Quando non capisce una scelta, un brano antico, cioè il 99% delle volte, lui dice: ma dove vai, io non so dove vai. È un ragazzino che non ha storia, non ha cultura musicale, vive in un presente fatto di soldi svelti e di non-musica, di inganni sonori. Niente. Il niente.
SAMUEL: 5. «C’è gente che studia una vita!», scandisce l’Umarell, riferito ai musicisti. Roba da maestro Perboni. Dà consigli, instrada, orienta: certo, il carisma è rasoterra, e chissà l’imbarazzo, in bagno, la mattina, quando si fa la barba, parlar bene di cose come i Booda o “la” Sierra. Ma forse la barba non se la fa, e così risolve.
CHE SCANDALO LA PROMOZIONE DI EUGENIO
NICOLA CAVALLARO (The sound of silence – Simon & Garfunkel): 4. La celeberrima canzone del silenzio come la farebbe Tom Waits. Ah, no, aspetta, come la farebbe Springsteen. Ah, no, aspetta, come la farebbe un camionista sull’A14. Tanti auguri, Cavallaro, ma forse non è neanche questa la tua strada.
SOFIA TORNAMBENE (I love you – Woodkid): 6+. Canzone sbagliata, arrangiamento sbagliato, look sbagliato. Hanno già cominciato a violentarla. Ecco cosa è un talent: strangolare in culla il talento. Ma non è colpa sua, lei è giusta, è sempre giusta. Troppo brava, le dicono i “giudici”: sì, troppo per voi che la strangolate così, e solo una Malika può dirle: «Brava stai crescendo».
SIERRA (The exstasy of gold – Ennio Morricone): 4. Colpo bassissimo, una cinesinfonia di Morricone. Sfigurata ovviamente dal testo, per giunta in autotune da bimbiminkia. Ma dai, su, ma che davero davero vogliamo pigliarci per i fondelli? Sarebbero questi i campioncini, «sia me che te siamo dinamite, io volevo avere solo tue notizie»? Penoso (risultano “i più scelti” dai regazzini social: detto tutto).
DAVIDE ROSSI (Treat you better – Shawn Mendes): 6+. Ma perché debbono trasformarlo per forza in un Mika? Vale quando detto per Sofia: siamo all’assurdo, al parossismo. Ma lascialo libero. E questi ragazzi scontano l’incompetenza di chi dovrebbe farli nascere. Ma cosa è mai diventata, ma che razza di pazzia è mai diventata la discografia italiana?
BOODA (Hold up – Beyoncé): 5-. Più erotici, più erotici, li incita nonna Maionchi. I Booda han rotto: ma basta! Ma cosa sarebbero questi tre? Cosa avrebbero? Sì, va bene, è bello sognare da ragazzi, ma insomma non è che poi i sogni li debba per forza scontare un pubblico.
EUGENIO CAMPAGNA (Cosa mi manchi a fare – Calcutta): 2. Rubo le parole a Mara: «Nel nostro tour cantautorale ci mancava Calcutta». Ecco, ci mancava proprio. Calcutta di Campagna: una matrioska di spocchiette. Il ragazzo se la tira molto, già dalla faccetta, ma stecca da plotone d’esecuzione, altro che promessa: sì, di sventura. «Perché una serata storta può capitare»: ma se vince lui, non è uno scandalo: è una porcata.
ANASTASIO DA 9
DARDUST: 3. Ricordati di Yanni. O, per i più stagionati, come chi scrive, anche del Guardiano del Faro. Che però, quanto a sigle, gli dava la polvere a questo qui.
FRANCESCA MICHIELIN: 2. Alzi la mano chi sa dire in cosa spicchi questa lagnosetta senza senso; l’hanno spinta in tutti i modi, ci hanno buttato valanghe di soldi, non ha combinato niente: e il pubblico se n’è accordo, anzi non se n’è accorto, non se la fila proprio.
ANASTASIO: 9. In quest’anno è stato dappertutto, si è inflazionato, adesso è pronto l’atteso primo disco, intanto propone una scelta spiazzata, Er Fattaccio der vicolo del Moro di Americo Giuliani, cavallo di battaglia di Gigi Proietti: renditi conto, questo tira fuori un testo del 1911. Lo riscrive (splendida anche la risoluzione sonora). E ti distrugge. Sei uscito da un talent tuo malgrado: per l’amor di Dio non normalizzarti, non lasciarti guidare, sbaglia sempre di testa tua, che c’è bisogno del nuovo antico che sei.
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