Imposte troppo alte? Il sistema andrebbe riformato in modo sostenibile. E non con singole norme scoordinate. Partendo dalla riduzione del "nero": limite del contante, tracciabilità dei pagamenti, fatturazione elettronica, split payment e altro: i consigli del libro "Giù le tasse, ma con stile!".
Facile dire «abbassiamo la pressione fiscale». Però come? Di quanto? Giù le tasse, ma con stile! è un libro si propone di offrire un piccolo contributo di idee per delineare un sistema fiscale che si possa realmente qualificare come un insieme coordinato di norme, che sia più equilibrato tra l’imposizione diretta e quella indiretta, più garante dell’equità tra i contribuenti e più giusto, visto che una “giusta imposta” non solo costituisce il collante di una società bene ordinata, ma rappresenta lo strumento per garantire sia il sostegno delle spese pubbliche necessarie alla collettività sia lo sviluppo economico.
NORME DISPARATE CHE GENERANO INIQUITÀ
Anche perché ormai abbiamo superato il più esasperato limite di sopportabilità e sostenibilità. Ma ciò di cui necessitiamo in Italia non sono singole misure scoordinate tra loro che generano inique disparità di trattamento, come è stato fatto finora, bensì di una radicale riforma che lo ricostruisca secondo i principi e l’assetto voluto e imposto dalla Costituzione.
L’AUTORE: ESPERTO DI DIRITTO TRIBUTARIO
L’autore del libro è Fabio Ghiselli, dottore commercialista e revisore legale, specializzato in diritto tributario. Ha svolto la sua carriera professionale come Tax director di primarie aziende industriali e finanziarie. Studioso ed esperto di politiche fiscali e del lavoro, è stato docente ai Master tributari di Ipsoa – Wolters Kluwer, dell’Università Bocconi, e relatore in conferenze e convegni specialistici. Autore di numerose pubblicazioni in materia tributaria e di alcuni volumi su temi di diritto tributario, scrive sulle riviste del settore e sui quotidiani specializzati.
Lettera43.it pubblica un estratto di Giù le tasse, ma con stile! (Editore Franco Angeli, 2019, 25 euro, 232 pagine).
LOTTA ALL’EVASIONE: UNA MISSIONE IMPOSSIBILE?
È possibile che non si riesca a ridurre l’evasione fiscale? Nonostante gli interventi di contrasto messi in atto in questi ultimi tempi, come lo split payment e la lotta alle frodi “carosello” da sempre condotta dalla Guardia di finanza con risultati positivi, sembra che la risposta a questa domanda sia negativa. Questo è un tema fondamentale perché l’evasione alimenta e perpetua lo stato di iniquità del sistema con evidenti ripercussioni sulla stabilità e sulla coesione sociale, e rappresenta una componente che distorce la concorrenza tra le imprese a danno di quelle che scelgono di comportarsi correttamente o di quelle che non si trovano nelle condizioni di poter evadere. Quest’ultimo aspetto dovrebbe destare un particolare interesse nelle organizzazioni imprenditoriali, posto che il loro obiettivo dovrebbe essere quello di tutelare gli interessi di tutti i propri iscritti, che potrebbero accentuare il loro impegno sia nei confronti del governo, per spingerlo ad adottare adeguati provvedimenti di contrasto all’evasione, sia nei confronti dei propri associati attraverso la diffusione, come moral suasion, di best practices comportamentali. […]
Ci sarebbero alcuni interventi concreti che potrebbero dare un contributo al contrasto all’evasione (alcuni hanno già iniziato a darlo), come, per esempio:
- Limitare l’uso del contante nelle transazioni: l’attuale valore di 2.999 euro – innalzato a decorrere dal primo gennaio 2016 dalla legge di stabilità 2016 rispetto al precedente limite di 1.000 euro – appare sproporzionato rispetto alle necessità correnti, che dovrebbero limitarsi ai piccoli acquisti. Non è ammissibile che in Italia l’86% delle transazioni avvenga in contanti (come la Spagna e la Grecia). Abbiamo la rete più estesa, come numero, di Pos ma il tasso di utilizzo di “strisciate” più basso (da 1,5 a 10 volte inferiore). […]
- Prevedere l’effettiva tracciabilità dei pagamenti: soprattutto per determinate transazioni, come gli acquisti di servizi professionali, i canoni di locazione, le spese che danno luogo a oneri deducibili o detraibili. La tecnologia in uso è già perfettamente in grado di supportare tale sviluppo, mentre ciò che manca è la conoscibilità delle transazioni da parte dell’AF che potrebbe avvenire, almeno nella fase iniziale, utilizzando adeguati criteri di sicurezza e di anonimato nell’elaborazione e nell’accesso ai dati;
- La fatturazione elettronica: ormai l’obbligo riguarda sia i rapporti commerciali B2B sia quelli con i privati B2C (dal 2019 con la legge di bilancio 2018). Sono note le critiche sollevate nei primi mesi dell’anno dagli operatori, imprese e consulenti, sulla rigidità dello strumento informatico sia nella fase di formazione del documento, sia in quella della sua trasmissione telematica. Se in parte, l’atteggiamento negativo può essere stato indotto da un naturale blocco psicologico verso ogni rivoluzione che sconvolge le nostre abitudini, in larga misura è stato determinato da ragioni tecniche che avrebbero potuto essere risolte se la fase di realizzazione del sistema fosse stata effettivamente condivisa con le organizzazioni imprenditoriali e professionali, imparando dalle esperienze vissute da quei Paesi che prima di noi l’hanno adottata. Anche se relativamente al primo blocco di invii avvenuti entro il 18 febbraio il sistema ha scartato solo il 4,4% delle fatture emesse, su 228 milioni, si tratta sempre di oltre 10 milioni di problemi tecnici che prima gli operatori non avevano. Se l’uso ripetuto dello strumento lo renderà più gestibile, sarebbe importante realizzare comunque interventi migliorativi e semplificativi affinché gli operatori percepiscano la fattura elettronica come uno strumento in grado di produrre vantaggi nella gestione del tempo e delle procedure, ossia minori costi di stampa, di spedizione e archiviazione, di integrazione dei processi e una più efficace gestione dei pagamenti. Una duplice funzione, insomma: garantire la conoscenza dei dati e delle operazioni in tempo reale da parte dell’AF al fine di effettuare controlli tempestivi, e consentire un risparmio di costi per gli emittenti. Per tali ragioni, la fatturazione elettronica dovrebbe essere considerata come metodologia standard di emissione delle fatture: non è pensabile che alcune di esse (per es. quelle verso soggetti non residenti) siano emesse con metodologie differenti e parallele. Questo complica la gestione amministrativa delle imprese innalzando i relativi costi. Altro aspetto è quello della funzione anti-evasiva della fattura elettronica. Per questo fine la legge istitutiva ha previsto maggiori incassi per il 2019 pari a 2 miliardi di euro che, però, non è detto che saranno raggiunti. Perché l’aumento delle entrate tributarie registrato nei primi sei mesi del 2019 (pari a 2,475 mld di euro) sarebbe dovuto solo per 300 milioni al maggior gettito Iva sugli scambi interni, in particolare grazie alla fatturazione elettronica (Audizione del DG Finanze F. Lapecorella dinanzi le Commissioni congiunte V Bilancio del Senato e della Camera dei deputati, del 16.7.2019). Ma fatta salva la validità dello strumento, non basta la sua presenza per contrastare l’evasione.
- Split payment e reverse charge si sono dimostrati un valido strumento per contrastare il mancato versamento dell’Iva e ben potrebbero essere estesi ad altri settori economici e tipologie di transazioni. Invece l’Italia si è impegnata con l’Unione europea a non chiedere una proroga dello split payment oltre il 30 giugno 2020, una volta attuata la e-fattura. Quello che occorrerebbe evitare è l’insorgere di un danno a carico delle imprese e dei professionisti, implicito nella mancata disponibilità di denaro per il periodo intercorrente tra la data del pagamento della fattura e quello della liquidazione periodica e del relativo versamento dell’imposta. Premesso che sarebbe il caso di uscire dalla logica che vede l’imposta incassata, di competenza dell’erario, come una fonte di finanziamento dell’attività, il problema potrebbe essere risolto, almeno in gran parte, estendendo ai soggetti interessati dalla procedura la possibilità di chiedere il rimborso mensile o trimestrale del credito Iva maturato e garantendo tempi di erogazione del medesimo più “europei”, ossia in termini di giorni o poche settimane, e non di mesi come avviene oggi. Va tenuto presente, tuttavia, che esiste la possibilità di utilizzare la procedura di compensazione (del credito Iva con i debiti per altre imposte e contributi) prevista dall’art. 34, co. 1, l. n. 388/2001, per la quale potrebbe essere elevato o addirittura eliminato il limite massimo pari a 700 mila euro, ma non i controlli introdotti dal Dl n. 50/2017. Se lo split payment ha una funzione specifica, come abbiamo visto, qualche dubbio fa sorgere l’estensione dello strumento alle società quotate (nei confronti dei rispettivi fornitori), perché si pongono due soggetti privati in concorrenza tra loro avvantaggiando, dal punto di vista finanziario, le società quotate, che non ne avrebbero bisogno, avendo una struttura finanziaria più solida;
- Estendere l’applicazione della ritenuta d’acconto – oggi prevista a carico solo dei lavoratori autonomi nella misura del 20%, ex art. 25, Dpr n. 600/73 – anche alle operazioni economiche (cessioni di beni e prestazioni di servizi) effettuate da e tra tutti i soggetti Iva. L’aliquota potrebbe essere inferiore a quella del 20%, allo scopo di evitare la trappola della liquidità a danno delle imprese, dovuta al fatto che, per queste ultime, l’incidenza dei costi sul fatturato e le variazioni in aumento e in diminuzione dell’utile di bilancio, sono maggiori, rispetto ai lavoratori autonomi. Anche se le imprese avrebbero comunque la possibilità di operare non solo la compensazione verticale (nell’ambito della stessa imposta), ma anche quella orizzontale (con imposte diverse e contributi). La titolarità di un credito nei confronti dell’erario per ritenute d’acconto subite, indurrebbe il contribuente a dichiarare il reddito correlato al fine di utilizzare il credito. È vero che un contribuente potrebbe scomputare le ritenute senza dichiarare il reddito, ma questa operazione genererebbe un’incoerenza contabile che potrebbe essere abbastanza semplicemente verificata in sede di controllo da parte dell’AF, tanto che l’analisi del Nens citata in nota, prevede che sia «ragionevole ritenere che l’evasione intermedia dovrebbe scomparire del tutto». Questa misura non inciderebbe sull’evasione perpetrata dai soggetti che operano sul mercato finale di consumo, ma potrebbe essere contrastata dall’introduzione dell’obbligo di tracciabilità dei pagamenti (almeno di quelli superiori a un determinato ammontare minimo);
- Abrogazione della disciplina sulle c.d. “società di comodo” e utilizzo dei dati dichiarativi in possesso dell’AF per avviare una campagna di verifiche sistematiche allo scopo di contrastare fenomeni di evasione (e non di elusione, come qualcuno ancora pensa si tratti), generati dall’interposizione reale di soggetti giuridici. […]
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