Lo scrive il quotidiano conservatore Kayhan, molto vicino alla Guida suprema Ali Khamenei.
I leader delle proteste contro il rincaro della benzina in corso dal fine settimana in Iran verranno impiccati. Lo sostiene il quotidiano conservatore Kayhan, molto vicino alla Guida suprema Ali Khamenei, citando fonti giudiziarie, secondo cui i dimostranti sarebbero stati pagati per «creare il caos».
CONTESTATO IL CRIMINE DI RIVOLTA ARMATA CONTRO LA REPUBBLICA ISLAMICA
Il crimine che verrà contestato ai manifestanti, sottolinea il giornale, è noto come Baghi, cioè rivolta armata contro le autorità e i principi del sistema della Repubblica islamica. «Un gruppo di leader dei disordini, che sono stati recentemente arrestati, ha confessato di essere stato incaricato di creare il caos e danneggiare e incendiare le proprietà pubbliche e avevano armi, coltelli e maschere. I colpevoli hanno anche detto di aver ricevuto in cambio denaro e la garanzia di poter lasciare il Paese se fossero stati identificati», aggiunge Kayhan.
La calma è tornata nel Paese e la magistratura sarà dura nell’affrontare e punire presto i rivoltosi
Gholamhossein Esmaili, portavoce della magistratura di Teheran
Secondo il portavoce della magistratura di Teheran, Gholamhossein Esmaili, un «gran numero» di persone, ritenute responsabili di «sabotaggi e disordini» durante le proteste, è stato identificato e verrà arrestato. Esmaili ha aggiunto che tra i ricercati ci sono anche persone accusate di aver inviato video delle manifestazioni a media stranieri. «La calma è tornata nel Paese e la magistratura sarà dura nell’affrontare e punire presto i rivoltosi», ha assicurato il portavoce, invitando la popolazione a fornire informazioni utili a trovare i sospetti.
L’AGENZIA FARS: «UCCISI TRE MEMBRI DELLE FORZE DI SICUREZZA»
Nella notte del 19 novembre, almeno tre membri delle forze di sicurezza iraniane sono stati accoltellati a morte da un gruppo di “rivoltosi” a Ovest della capitale Teheran, secondo l’agenzia Fars, vicina ai Pasdaran. Si tratta di un membro delle Guardie della rivoluzione islamica e di due esponenti delle milizie volontarie Basij. Sale così ad almeno quattro il numero degli agenti di sicurezza uccisi dall’inizio delle manifestazioni in decine di città, il 15 novembre. I manifestanti uccisi sarebbero invece almeno 12, ma secondo informazioni non verificabili di gruppi di attivisti il bilancio effettivo di vittime sarebbe di oltre 40.
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Internet e telefoni bloccati. Decine di morti, secondo l’opposizione, nelle proteste contro il rincaro dei carburanti per le sanzioni di Trump. Rohani ammette: è la situazione più grave dal 1979. Ma resta d’accordo con la repressione. Il punto.
Nessuno, fuori dall’Iran, sa cosa accade in Iran. Le rivolte sono montate in tutte le città, all’impennata del costo della benzina: sono state bloccate strade e incendiate centinaia tra banche e negozi. Immagini delle devastazioni rimbalzavano sui social network, ma poi è calato il blocco di internet più massiccio in 40 anni di Repubblica islamica. Gli arrestati sarebbero migliaia, alcune decine di morti (due quelli ammessi dalle autorità), centinaia probabilmente i feriti nelle «proteste per il carburante». La Germania e la Francia invitano il regime a «rispettare le legittime manifestazioni e la libertà di espressione»: il messaggio cifrato sottende il ritorno anche da parte dell’Unione europea, in caso contrario, alle sanzioni economiche che hanno fatto riesplodere la pentola a pressione iraniana.
IRANIANI STROZZATI DA TRUMP
Da più di un anno c’è forte sofferenza per l’embargo totale di Donald Trump. Il presidente iraniano Hassan Rohani ha ammesso una «situazione difficile e complicata» come internamente non accadeva dalla rivoluzione nel 1979. Sui carburanti ha annunciato un piano di rincari nelle sovvenzioni, secondo il quale il prezzo calmierato (circa 11 centesimi di euro al litro per i primi 60 litri al mese) della benzina aumenterà del 50% a 15 mila rial, per i litri successivi del 300%. Lo scopo dichiarato è redistribuire i risparmi in sussidi per gli oltre due terzi di popolazione in difficoltà. Ma gli iraniani non gli credono: se e quando i risparmi saranno redistribuiti non varranno più nulla. Dal 2018 lo Stato fa i conti con un’inflazione al 40%, i risparmi di tante famiglie sono spariti.
PEGGIO CHE NELLA GUERRA CON L’IRAQ
Anche per il Fondo monetario internazionale la crisi è peggiore che negli anni della lunga guerra tra l’Iran e l’Iraq (1980-1988). È un paradosso che la potenza dell’Opec, dove un altro maxi giacimento da 50 miliardi stimati di barili di petrolio è stato appena scoperto, non possa godere del suo oro nero. Ma in un anno l’export è crollato da circa 2 milioni e mezzo a un milione e mezzo di barili al giorno: resiste soprattutto verso Paesi asiatici amici come la Cina. Neanche l’Italia (fino ad aprile 2019 esentata con altri 8 Paesi dal blocco finanziario e commerciale Usa) può più acquistare greggio e altre merci: anche le società dei Paesi europei che continuano a rispettare l’accordo sul nucleare (Jcpoa) con l’Iran vengono colpiti dalle sanzioni secondarie americane.
Scontri con le forze dell’ordine sono stati ripresi anche nella città santa sciita di Mashhad
LA PARALISI CON L’OCCIDENTE
Il meccanismo finanziario alternativo creato dall’Ue per continuare a scambiare beni con l’Iran non funziona. Sebbene la Repubblica islamica cerchi di diversificare l’economia, riesce a esportare verso l’Occidente solo merci come lo zafferano, del quale è pressoché unica produttrice mondiale: un primato che porta le aziende del settore ad aggirare le multe. Per il resto è paralisi: il ceto medio iraniano non può permettersi spese extra, per i poveri la carne è un lusso, anche molti ricchi evitano gli spostamenti all’estero. Come negli anni bui della presidenza Ahmadinejad, la merce europea non si trova quasi più e gli affitti sono schizzati. Proteste a catena contro le banche erano esplose già due Natali fa in Iran, ma stavolta sono più violente e massicce.
LE CRITICHE CONTRO IL REGIME
Come nel Libano e nell’Iraq – dipendenti dall’Iran – la popolazione contesta anche il regime, chiede un cambiamento economico e politico. Scontri con le forze dell’ordine sono stati ripresi anche nella città santa sciita di Mashhad: sono in rivolta tanto la maggioranza sciita quanto le minoranze sunnite. Ad Ahvaz, nel Sud-Ovest arabo ricco di pozzi, le proteste si erano propagate qualche giorno prima dell’annuncio dei rincari, per la morte sospetta di un giovane poeta e attivista della minoranza. Poi l’annuncio sulla benzina è stata la miccia. Disordini sono esplosi anche all’università di Tabriz, nel Nord azero. Tra gli zoroastriani di Yazd e nella conservatrice Isfahan. Nella capitale sono state bloccate strade e attaccati benzinai e mezzi della polizia.
L’INTRANSIGENZA DEI PASDARAN
Diversi commercianti del Gran bazar di Teheran hanno chiuso i battenti. Ma per la Guida suprema Ali Khamenei sono solo «banditi manovrati dall’esterno»: la stessa spiegazione data dalla teocrazia alle mobilitazioni in piazza Tahrir a Baghdad e in piazza dei martiri a Beirut. Come in Iraq (oltre 200 civili morti dall’inizio di ottobre), in Iran sarebbero partiti dei colpi di arma da fuoco: un testimone, rimasto anonimo per ragioni di sicurezza, ha raccontato all’agenzia Reuters di aver «udito spari» ad Ahvaz. Decine di dimostranti sarebbero in ospedale in condizioni critiche nell’hinterland di Teheran. Come le loro forze sciite in Iraq e in Libano, i pasdaran iraniani minacciano «azioni decisive» per riportare l’ordine. La loro risposta è l’intransigenza.
INTERNET E CELLULARI BLOCCATI
La censura è totale, anche i siti delle agenzie ufficiali sono lenti o inaccessibili. Le reti di telefonia mobile sono bloccate: chi vive in zone di confine tenta di comunicare con le schede straniere. In vista delle Legislative di febbraio 2020, i politici dell’opposizione invitano governo e parlamento ad ascoltare i manifestanti. Rohani è incalzato, le forze – di sistema – che sono fuori dall’esecutivo cavalcano la rabbia popolare. Ma sarebbe stato lo stesso Rohani, a capo del Consiglio supremo di sicurezza, a dare l’ordine del black-out. Il presidente iraniano condanna le violenze, senza ascoltare le critiche della gente per i miliardi inviati dall’apparato di Difesa a Gaza, agli Assad in Siria, agli Hezbollah in Libano e alle milizie in Iraq. Ma è probabile che anche le sollevazioni nei Paesi satellite derivino dal gap economico e di democrazia esportato dall’Iran.
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Fonti ufficiali hanno confermato 12 morti, ma gruppi di attivisti parlano di oltre 40 vittime. Almeno mille gli arresti.
Sono almeno 12 le vittime tra i manifestanti dall’inizio venerdì notte delle proteste contro il caro benzina in Iran. Lo confermano fonti ufficiali di Teheran, citate dalla Bbc. Secondo notizie non verificabili diffuse da gruppi di attivisti, il bilancio sarebbe in realtà di oltre 40 morti. A seguito delle proteste ci sono stati oltre mille arresti e diverse vittime tra i dimostranti. Almeno un poliziotto è stato inoltre ucciso. Le forze di sicurezza iraniane hanno disperso oggi nuove proteste contro il caro benzina nella capitale Teheran, sparando lacrimogeni e gas urticanti al peperoncino contro i manifestanti.
L’INTERVENTO DEI PASDARAN
I Pasdaran, le Guardie della rivoluzione, hanno avvisato i manifestanti dicendosi pronti a intervenire con la forza per reprimere le dimostrazioni: «I recenti incidenti sono stati provocati dai malvagi funzionari Usa, oltre che dai criminali Mojaheddin del Popolo (Mko) e dall’ignobile famiglia del deposto scià dell’Iran, Mohammad Reza Pahlavi».
IL GOVERNO ANNUNCIA SUSSIDI PER 60 MILIONI DI PERSONE
Da parte sua, il governo ha cercato di calmare la situazione annunciando sussidi statali per 60 milioni di persone. Lo ha riferito il Ministero del Welfare e del Lavoro di Teheran.
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Le proteste sono iniziate venerdì 15 e non accennano a diminuire. Questo nonostante le minacce della polizia e il placet al rincaro della Guida suprema iraniana Ali Khamenei.
Continua la rivolta della benzina in Iran per protestare contro l’aumento dei prezzi del carburante annunciato dalla Repubblica islamica iraniana dopo le sanzioni economiche inflitte dagli Usa. Decine le città che da venerdì 15 novembre sono in rivolta dopo la decisione presa dal governo. Gli scontri più duri a Teheran dove negli scontri sono morte almeno due persone, anche se fonti non ufficiali e vicine ai manifestanti parlano di oltre una decina di vittime.
LA POLIZIA AMMONISCE I MANIFESTANTI
Intanto la polizia iraniana ha lanciato un monito a coloro che «creano insicurezza e disordine». Il riferimento è alle manifestazioni degli ultimi due giorni che ha provocato diversi disordini in tutto il Paese. Le forze dell’ordine hanno annunciato che identificheranno e affronteranno «con decisione i provocatori e i capi che hanno creato le tensioni». Una minaccia concreta portata avanti dal portavoce della polizia, il generale Ahmad Nourian.
KHAMENEI SOSTIENE L’AUMENTO DELLA BENZINA
In questo clima di forti tensioni spicca la voce di Ali Khamenei. La Guida suprema iraniana ha infatti manifestato il suo appoggio alla decisione governativa di razionare e aumentare i prezzi della benzina. Lo ha fatto attraverso un discorso riportato dalla televisione di Stato. Khamenei ha anche additato i manifestanti come banditi poiché responsabili degli incidenti avvenuti durante le proteste di piazza. «Io non sono un esperto, ma poiché la scelta è stata fatta dai capi dei tre rami istituzionali, la sostengo», ha detto. Per poi aggiungere: «Le proteste violente non risolveranno niente, ma porteranno solo insicurezza nel Paese»
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Gli estremisti della Striscia di Gaza sono manovrati da Teheran per destabilizzare Tel Aviv. Che a sua volta li sfrutta per indebolire Hamas. Gli unici sconfitti, così, sono i palestinesi.
Follow the rockets, segui i razzi. La crisi nella Striscia di Gaza è esplosa in settimane cruciali per i governi che, direttamente o indirettamente, sono coinvolti nello scontro. Hamas e l’Autorità nazionale palestinese (Anp), che dal 2007 si spartiscono conflittualmente il controllo nell’ordine dell’enclave e dei territori della Cisgiordania, concertano per tornare al voto insieme dopo anni, a febbraio 2020. In Israele si tenta fino all’11 dicembre di formare un governo, finora invano, pena la chiamata straordinaria, per la terza volta da aprile 2019, degli elettori alle urne. L’Iran, attore esterno-chiave, deve fronteggiare le improvvise rivolte a catena nei Paesi che di fatto controlla: l’Iraq e, attraverso il partito e le milizie di Hezbollah, anche il Libano ormai. Al centro del triangolo tra Israele, Palestina e Iran ci sono i razzi dei terroristi di Jihad islamica.
IL SEGNALE DI “BIBI”
L’attacco mirato israeliano che all’alba del 12 novembre ha ucciso a Gaza il capo militare di Jihad islamica della zona Nord della Striscia,Baha Abu al Ata (considerato la mente degli ultimi attacchi contro Israele) e la moglie, ha avuto il disco verde a orologeria del premier israeliano Benjamin “Bibi” Netanyahu mentre il rivale Benny Gantz tenta a fatica di comporre una maggioranza. È assai probabile che, come già “Bibi”, fallisca nell’impresa: trovare la quadra per un appoggio esterno della Lista unita araba sarà molto più difficile, dopo le centinaia di razzi piovuti su Israele in rappresaglia, e dopo gli oltre 30 morti tra i palestinesi per la risposta israeliana. Per Ganz sarà imbarazzante continuare a trattare, per la Lista araba quasi impossibile. Tanto più che Ganz per i palestinesi è l’ex comandante delle guerre su Gaza.
L’ARSENALE DI JIHAD ISLAMICA
Con l’omicidio di al Ata (e poche ore dopo da quello dell’altro comandante Moawad al Ferraj) in compenso Netanyahu ha dato un segnale forte a chi, nel suo elettorato, vorrebbe un’altra guerra contro la Striscia, e da tempo lo taccia di mollezza verso gli aggressori. Quest’anno i razzi di Jihad islamica hanno lambito Tel Aviv, beffando lo scudo antimissile. La guerra si è evitata perché anche Hamas ha cambiato strategia: per Israele il pericolo più grande ora viene dal movimento estremista minore, ma più direttamente manovrato dall’Iran. Fondato nel 1981, Jihad islamica è addestrata, finanziata e armata dai pasdaran con un arsenale che gli israeliani stimano aver raggiunto la portata di quello di Hamas: gran parte dei razzi sono piccoli e autoprodotti, ma alcuni percorrono 50 miglia. Non per niente il 12 novembre un missile israeliano ha colpito, ferendolo, anche un capo militare di Jihad islamica in Siria.
Jihad islamica è la longa manus dell’Iran in Palestina, come lo sono i ribelli sciiti houthi in Yemen
LA GUERRA PER PROCURA IRANIANA
Akram al Ajouri, considerato l’anello tra Jihad islamica e l’Iran, è di base in un quartiere di Damasco. Altri esponenti del movimento (terroristico anche per gli Usa, l’Ue e gli altri alleati occidentali) vivono a Beirut, in Libano. I quadri vanno in visita a Teheran, hanno incontrato il presidente iraniano Hassan Rohani, più volte il suo ministro degli Esteri Javad Zarif e i vertici dei pasdaran. Jihad islamica è la longa manus dell’Iran in Palestina, come lo sono i ribelli sciiti houthi in Yemen: una tattica che aumenta l’instabilità e le divisioni tra palestinesi, ma cementa l’influenza di Teheran e la sua pressione ai diretti confini con Israele, come in Libano con gli Hezbollah. La teocrazia sciita, in questo momento debole in Iraq, può così anche rilanciare la sua propaganda di difensore della Palestina in Medio Oriente.
LE DIVISIONI TRA I PALESTINESI
In verità a rimetterci più di tutti dalleproxy warsono come sempre i palestinesi. Anche Hamas, presa dalla gestione politica ed economica della Striscia (pessima quanto si vuole ma una realtà), non può più barricarsi nell’intransigenza della guerra a Israele: l’apertura concreta alle prime elezioni dallo scontro con Fatah è un’altra spina nel fianco per Netanyahu. L’iniezione mensile di milioni di dollari dal Qatar – permessa da Israele – alla Striscia è un compromesso accettato dagli islamisti anche a scopo elettorale, per allentare il blocco e migliorare le condizioni di vita dei due milioni di gazawi. Un piano di de-escalation sabotato sistematicamente da Jihad islamica, che dalla comoda collocazione all’opposizione attrae in compenso le frange più estreme e violente dei miliziani di Hamas.
L’unità della Palestina è un tabù per lo Stato ebraico e un freno per la Repubblica islamica
LA MIOPIA DI ISRAELE
Con loro un popolo di delusi, non a torto, della “politica” è richiamato dal movimento armato anti-sistema, soprattutto tra i giovani. Jihad islamica è anche il grimaldello dell’Iran per ridurre il margine di manovra sui palestinesi dell’Egitto (con gli Stati Uniti, mediatore delle crisi di Gaza con tutti i gruppi estremisti), diventato una sponda di Israele e degli arcinemici sauditi. Se il tentativo di organizzare le Legislative, e poi le Presidenziali, nei territori occupati e nella Striscia naufragherà, a gioirne saranno tanto gli israeliani quanto gli iraniani. L’unità della Palestina è un tabù per lo Stato ebraico e un freno per la Repubblica islamica. Ma Jihad islamica è un danno anche per Israele: alla fine dei conti, di questo passo a vincere davvero la guerra dei razzi sarà solo l’Iran.
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È la Brigata al Qods dei Pasdaran dell'Iran a definire la strategia e a rifornire di razzi la Jihad islamica palestinese. Un attacco che rischia di riportare la guerra nella Striscia.
Jihad islamica, agli ordini diretti dell’Iran, sta sommergendo il Sud di Israele di razzi diretti da Gaza contro la popolazione civile.
Questa aggressione a freddo a Israele si inserisce non sulle tensioni israelo-palestinesi (è in atto da mesi a Gaza una tregua funzionante tra Hamas e Gerusalemme) ma nella politica di attacco che l’Iran sta dispiegando da tre anni in qua (dopo gli sciagurati accordi sul nucleare voluti da Barack Obama) installando in Siria, in Libano e a Gaza non meno di 3 mila ogive missilistiche e razzi destinati alla «Entità Sionista».
Una politica di usura aggressiva da tutti i territori confinanti con Israele a Nord, a Est e a Sud, che risponde alla strategia degli ayatollah di preparare e avvicinarsi all’obiettivo strategico principale della rivoluzione iraniana, ribadito anche dalla cosiddetta “ala riformista” di Teheran: «Cancellare Israele dalla faccia della terra».
CENTINAIA DI RAZZI DA GAZA VERSO ISRAELE
La gravità di questi attacchi proditori è tale che lo stesso coordinatore speciale dell’Onu per il processo di pace in Medio oriente, Nickolay Mladenov, lo ha nettamente condannato: «Il lancio indiscriminato di razzi e colpi di mortaio contro centri abitati è assolutamente inaccettabile e deve cessare immediatamente. Non ci può essere giustificazione per gli attacchi contro i civili».
Una bimba israeliana di 7 anni è in gravissime condizioni a causa di un infarto evidentemente provocato dal terrore
Più di 400 razzi sono stati lanciati tra martedì 12 e mercoledì 13 novembre da Gaza verso i centri abitati delle cittadine israeliane di Ashkelon e Sderot, il 90% sono stati intercettati dal sistema anti missile israeliano Iron Dome e non si registrano al momento vittime, ma una bimba israeliana di 7 anni è in gravissime condizioni a causa di un infarto evidentemente provocato dal terrore, mentre si trovava in un rifugio.
HAMAS È ESTRANEA ALL’AGGRESSIONE
Il lancio di razzi era iniziato venerdì 8 novembre e la reazione di Israele è stata immediata: con missili guidati ha ucciso lunedì 11 nella sua abitazione a Gaza il capo della Jihad islamica della zona Nord di Gaza Au al Atta e martedì un altro dirigente, Moawad al Ferraj. È fondamentale notare che Hamas, che governa e controlla la Striscia, è estranea a questa demenziale aggressione contro Israele (nulla, dal punto di vista militare, ma devastante per gli israeliani delle zone colpite dal punto di vista umano) che è invece opera della Jihad islamica, un gruppo che è alle dirette dipendenze della Brigata al Qods dei Pasdaran iraniani comandata dal generale Ghassem Suleimaini. Gli stessi Pasdaran riforniscono tramite il Sinai questi razzi, tutti di fabbricazione iraniana, alla Jihad islamica. Israele ha risposto a questa ennesima – e del tutto gratuita – aggressione con bombardamenti di sedi della Jihad islamica nella Striscia che a mercoledì 13 novembre hanno fatto 23 morti tra i suoi militanti.
LA PAURA DI UNA NUOVA GUERRA NELLA STRISCIA
Naturalmente, la preoccupazione maggiore è che questa aggressione irano-palestinese a Israele inneschi una nuova guerra a Gaza, ma Hamas, a oggi, ha dato segno di non avere intenzione di fare saltare la tregua siglata con Israele con la mediazione egiziana e anche se non fa nulla per impedire alla Jihad islamica di continuare la sua provocazione, anche se la “copre” politicamente, si è ben guardata dal fare atti di aggressione diretta contro Israele.
Il governo israeliano ha per ora preso atto della prudente posizione di Hamas e non ha colpito nessun suo obiettivo a Gaza. Ma la situazione è sul filo del rasoio. Naturalmente, tutte le forze politiche israeliane hanno dato il pieno appoggio alla risposta decisa dal governo – incluse le uccisioni mirate dei dirigenti della Jihad islamica – ma è evidente il riflesso di queste tensioni nella difficile fase della formazione di un governo a Gerusalemme affidata al generale Benny Gantz, dopo il fallimento del tentativo di Bibi Netanyhau.
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