Taglio dei Parlamentari, raggiunto il numero di firme per referendum in Senato

Alle 13.30 quindi dovrebbe essere pubblicata la lista delle sottoscrizioni e nel pomeriggio è atteso il deposito in Cassazione.

Al Senato è stato raggiunto e superato il numero minimo di firme (64) per presentare il quesito del referendum contro il taglio dei parlamentari. Lo si apprende da fonti parlamentari, secondo cui, nelle ultime ore, sarebbe arrivato un sostanzioso appoggio anche da parte di senatori leghisti. Alle 13:30 quindi dovrebbe essere pubblicata la lista delle firme e nel pomeriggio è atteso il deposito in Cassazione.

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Taglio dei parlamentari, la battaglia sul referendum allunga la vita al governo

A tre giorni dalla scadenza del 12 gennaio, si tirano indietro quattro senatori di Forza Italia vicini a Mara Carfagna. Ma le defezioni sono almeno otto. Ora diventa cruciale il ruolo della Lega, che potrebbe decidere di invertire la rotta.

Il destino del referendum contro il taglio dei parlamentari è appeso a una manciata di firme. A tre giorni dalla scadenza del termine per la presentazione della richiesta, prevista per il 12 gennaio, si sono infatti tirati indietro quattro senatori di Forza Italia vicini a Mara Carfagna. Ma le defezioni sarebbero di più, almeno otto. E sono pronti al ritiro anche tre senatori del Pd.

La consultazione rischia quindi di saltare: se ciò accadesse, la legge entrerebbe subito in vigore. Ma a “salvare” il referendum potrebbero pensarci altri senatori di Forza Italia, o più probabilmente della Lega. Perché in un intreccio pericolossimo per le sorti del governo, solo se ci sarà il referendum sul taglio dei parlamentari ha buone probabilità di tenersi anche il referendum promosso dal Carroccio per il maggioritario in tema di legge elettorale, su cui il 15 gennaio è chiamata a esprimersi la Corte Costituzionale.

La maggioranza vuole provare a evitarli entrambi. Da una parte pressa i senatori per il ritiro delle firme, dall’altra deposita il “Germanicum”, una proposta di legge elettorale proporzionale. Mentre prosegue il lavoro sotterraneo per “blindare” la maggioranza e metterla al riparo dagli smottamenti nel M5s, magari con l’ingresso di un gruppetto di senatori in uscita da Forza Italia.

LE APERTURE DI CONTE

Tra i parlamentari non sono passate inosservate le parole con cui il premier Giuseppe Conte ha risposto a una domanda del quotidiano Il Foglio sulla possibilità che una parte degli azzurri possa appoggiare maggioranza, votando con Pd e M5s come già avvenuto al parlamento europeo: «Se si dovesse verificare questa condizione la valuteremo. Sarebbe un passaggio senz’altro significativo». Antonio Tajani ha subito parlato di «ipotesi dell’irrealtà», ma di un gruppo di deputati e senatori cosiddetti “responsabili” si vocifera con insistenza.

IL GESTO DEGLI AZZURRI VICINI ALLA CARFAGNA

Del resto i quattro senatori Franco Dal Mas, Massimo Mallegni, Laura Stabile e Barbara Masini, che hanno annunciato di aver ritirato le firme sulla richiesta di referendum per «impedire a qualcuno di farsi prendere dalla tentazione di andare a votare senza ridurre prima il numero degli eletti», sono tutti di Forza Italia. Il gesto prelude allo sbarco in maggioranza degli azzurri che fanno riferimento a Mara Carfagna? Fonti vicine alla vice presidente della Camera, per il momento, negano: «Voce libera vuole che il governo cada. Ma non si può andare a votare con mille parlamentari, alimentando ancora il M5s anti casta».

I CALCOLI CHE STANNO DIETRO AI GIOCHI POLITICI

La tesi prevalente è che se venisse indetto il referendum, si aprirebbe una finestra per far saltare il governo e andare a votare per eleggere 630 deputati e 315 senatori, prima che vengano ridotti a 400 e 200. In tal caso chi vince vincerebbe di più, e chi perde perderebbe di meno. Ma nei giochi politici di queste ore viene fatto anche un altro calcolo: per un cavillo giuridico, se verrà indetto il referendum costituzionale, avrà più probabilità di essere ammesso anche il referendum promosso dalla Lega per una legge elettorale maggioritaria. A quel punto potrebbe essere indetto un election day capace di far fibrillare l’esecutivo, in coincidenza con le elezioni regionali di primavera.

LA MAGGIORANZA PROVA A SMINARE IL CAMPO SULLA LEGGE ELETTORALE

«Rischierebbe di essere un mega-referendum su Salvini», osservano fonti del Pd. E anche per non dare all’ex ministro dell’Interno altre armi di propaganda, il governo prova a tenersi fuori dalla battaglia. Conte e i capi delegazione di maggioranza hanno deciso infatti di non costituire l’esecutivo in giudizio di fronte alle Corte costituzionale. Per “sminare” la questione e dimostrare alla Consulta che sul sistema di voto sta già legiferando il parlamento, è stata accelerata anche la presentazione del Germanicum, nato da un primo accordo di maggioranza che non convice in pieno Liberi e uguali.

IL SEGNALE SALVINI: «FAREI REFERENDUM SU TUTTO»

Il testo è stato depositato da Giuseppe Brescia del M5s. Prevede un sistema con soglia di sbarramento al 5% (nell’iter parlamentare, complici i voti segreti, c’è il rischio che scenda) e diritto di tribuna per i piccoli partiti. Anche in nome di questa prima bozza di legge elettorale tre senatori del Pd, Roberto Rampi e gli orfiniani Francesco Verducci e Vincenzo D’Arienzo, potrebbero ritirare le firme sul taglio dei parlamentari. I senatori dem che hanno firmato in tutto sono sette, gli altri quattro resistono. Il 10 gennaio anche i Radicali presenteranno i risultati della loro raccolta. Ma adesso sarà determinante il ruolo della Lega: «Io farei referendum su tutto», ha detto in serata Salvini. E sembra un segnale chiaro rivolto ai suoi: invertire la rotta sul tema della riduzione del numero dei parlamentari, firmare e metterci la faccia.

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Chi sono i candidati al governo della Calabria

È corsa a quattro per le elezioni del 26 gennaio 2020: Jole Santelli per il centrodestra, Pippo Callipo, per il centrosinistra, Francesco Aiello per il Movimento 5 Stelle e l'outsider Carlo Tansi.

È corsa a quattro in Calabria dove il 26 gennaio 2020 sono in programma le elezioni regionali. A puntare alla poltrona di Governatore ci sono, per il centrodestra, la deputata e coordinatrice regionale di Forza Italia Jole Santelli, sostenuta da sei liste (Fi, Fratelli d’Italia, Lega, Santelli presidente, Udc, Cdl); l’imprenditore Pippo Callipo, che ha dalla sua il Pd, una lista filiazione dell’associazione Io resto in Calabria, i Democratici e progressisti e 10 idee per la Calabria, formazione quest’ultima sulla quale però pende la scure di una possibile esclusione. Della partita anche il docente universitario Francesco Aiello, per il Movimento 5 Stelle e per la lista Calabria Civica, e l’ex capo della Protezione civile regionale Carlo Tansi, sostenuto dalle liste Tesoro Calabria, Calabria Pulita e Calabria Libera.

EX PD CON FRATELLI D’ITALIA

Ricompattato il fronte dopo le fibrillazioni legate al “niet” di Matteo Salvini ad Mario Occhiuto, il centrodestra ritrova l’unità intorno alla candidata presidente Jole Santelli e schiera tanti uscenti e alcune singolari new entry. Il consigliere regionale Giuseppe Neri, eletto nella passata legislatura con la lista Democratici e progressisti, emanazione diretta del Pd, è ad esempio candidato con Fratelli d’Italia. L’Udc, altro partito che è a fianco della fedelissima di Silvio Berlusconi, ospita nelle sue fila anche Antonio Scalzo, eletto nel Pd e che, sempre in quota dem, è stato per un periodo presidente del Consiglio regionale, transitato di recente nei Moderati, vicini a Raffaele Fitto.

GLI SCONTENTI A SINISTRA

Novità anche dalle parti del candidato Pippo Callipo, che é riuscito a imporre le sue condizioni sulla formazione delle liste. Scende in campo con l’industriale del tonno anche l’ex sindaco di Isola Capo Rizzuto Carolina Girasole, in lista con il Pd, messa fuori gioco a suo tempo dallo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune che amministrava ma assolta, di recente, dall’accusa di avere agevolato la cosca di ‘ndrangheta degli Arena. Punta alla conferma anche il presidente uscente del Consiglio regionale, Nicola Irto. In lizza anche Maria Saladino, già in corsa per la segreteria nazionale del Partito democratico. Non mancano, da una parte e dall’altra, i mugugni degli esclusi: dall’ex Pd Enzo Ciconte, dato in approdo nel centrodestra, che ha optato per il ritorno alla professione medica (é primario cardiologo) a Francesco D’Agostino, che ha espresso tutto il suo disappunto per il veto posto da Callipo sul suo conto.

AIELLO E TANSI «LIBERI DALLA CASTA»

Acque decisamente più tranquille per il candidato pentastellato Aiello, che sottolinea la «pulizia» delle proprie liste, e per il civico Tansi. Che dichiara: «Noi restiamo liberi dalla casta».

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La polemica sulle parole di Bossi al congresso della Lega

Diventa virale la dichiarazione del fondatore del partito: «I meridionali aiutiamoli a casa loro perché se no straripano al Nord». Salvini travolto dalla polemica alla fine si dissocia con il Senatur.

Il fondatore della Lega Umberto Bossi sembra non aver cambiato alcune sue convinzioni sul tema Nord-Sud. E anche se il partito ha dovuto cambiare pelle per esigenze elettorali, al Congresso di sabato è venuto fuori tutto l’animo della vecchia Lega Nord.

«Mi sembra giusto aiutare il Sud, mi sembra giusto, sennò se non li aiutiamo a casa loro straripano e vengono qui. È un po’ come l’Africa, non è stata aiutata e ci arrivano tutti addosso», ha detto il Senatùr alla platea di fianco a Matteo Salvini, che indaffarato con il telefono non ha voluto rettificare le parole del vecchio leader. Il video del discorso ha iniziato a circolare sui social, con sempre più voci che chiedevano al nuovo “Capitano” di dissociarsi dall’”Umberto”. 

Dopo aver fatto indigestione di gol (il Milan di oggi inguardabile, peggio del governo PD-5Stelle) si riparte!Incontri con la gente previsti stasera a Chieti, domani a Pescara, Ancona, Cesena, Crevalcore e Sant’Agata Bolognese.Una preghiera per Gaia e Camilla, non si può morire così a 16 anni🙏.

Posted by Matteo Salvini on Sunday, December 22, 2019

Alla fine Salvini è stato costretto a prendere le distanze. «Se qualcuno pensa che ci sia una parte del Paese che merita meno dell’altra ha sbagliato. Qualcuno è fermo al passato. Solo uniti si vince», ha detto domenica pomeriggio in diretta Facebook. Così come il congresso ha sancito l’esistenza di due partiti, Lega Nord e Lega con Salvini, così lo scontro sul meridione ha rimesso in luce quelle che sembrano ancora essere le due anime del Carroccio: quella a vocazione nazionale e quella ancora legata alla battaglia per il secessionismo.

IL M5S: «LA LEGA NORD È TRAVESTITA DA LEGA SALVINI»

«Aiutiamoli a casa loro altrimenti straripano al Nord? Che Bossi avesse certe idee in testa non è una novità. Ma Salvini prenderà le distanze? O pensa anche lui che i cittadini del Sud debbano essere tenuti in gabbia? Diffidate dalla Lega Nord travestita da Lega Salvini: evidentemente sono la stessa cosa», aveva detto la deputata M5s Anna Macina.

FORZA ITALIA: «DISSENSO TOTALE»

«Dissento totalmente dalle inaccettabili parole in libertà del Senatore Bossi ricordandogli che quando la gente del Sud è andata a lavorare al Nord d’Italia ha realizzato strade, ponti, infrastrutture, ha creato diritto e ha tirato su intere generazioni di italiani ‘del Nord’», ha scritto su Twitter il senatore di Forza Italia Renato Schifani.

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Il congresso della Lega di Salvini sancisce l’esistenza di due partiti

Bossi dal palco: : «Ora c'è la possibilità di avere il doppio tesseramento». Quella al movimento storico e quello fondato dal Capitano. Ma per il vecchio leader c'è la stading ovation.

Non è la fine della Lega di Bossi, ma è l’inizio di una doppia vita, con due partiti paralleli, uno quello di Matteo Salvini e uno quello del fondatore. Il Congresso del 21 dicembre pensato per celebrare definitivamente il nuovo corso del nuovo capo e per modificare lo statuto del partito si basa su un compromesso. E lo ha spiegato proprio il patriarca Bossi quando dopo essere stato accolto da applausi e standing ovation, ha dichiarato: «Sono contento di dirvi che oggi non si chiude nessuna Lega, questo congresso nella sostanza dà la possibilità di avere il doppio tesseramento, sarà possibile essere iscritti alla Lega e alla Lega per Salvini». «Questo», ha aggiunto, «glielo possiamo concedere, siamo noi che concediamo non è Salvini che ci impone. Salvini non può imporci un cazzo lo diciamo con franchezza. Le cose imposte non funzionano»

Il fondatore della Lega Nord Umberto Bossi (D) e il segretario della Lega Matteo Salvini (S) al congresso Federale del partito. Milano 21 Dicembre 2019. ANSA / MATTEO BAZZI

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Perché la schietta Meloni ha futuro e il soggettone Salvini no

La leader di Fratelli d'Italia, premiata dai sondaggi, va di moda. A destra appare come il ritorno alla normalità, la realizzazione del sogno di Fini. E si giova dei difetti del "ragazzo della birreria" che se non parla di immigrati è muto.

Giorgia Meloni comincia a essere di moda da quando i sondaggi la premiano. Massimo Gramellini sul Corriere della Sera la elogia per le cose dette sulla madre nigeriana di Sondrio, Fausto Bertinotti la giudica molto bene, e si potrebbero citare altri entusiasti ammiratori. Il suo successo è parallelo all’insuccesso crescente di Matteo Salvini, uomo di molti voti virtuali che sta diventando antipatico come Matteo Renzi. In Meloni, nel suo avanzare nelle simpatie popolari, confluiscono più elementi.

UNA DESTRA TOSTA, FRANCA E BRUTALE

In primo luogo non dobbiamo mai dimenticare che questo Paese ha una forte componente di destra popolare, o forse, come diceva il mio amico Massimo D’Alema per richiamare alla realtà i sognatori di sinistra, «è un Paese di destra». Una destra tostissima, nostalgica al punto giusto ma non di quelle che si fanno incastrare nelle celebrazioni del passato, che parla con una franchezza che sfiora la brutalità.

TROPPI DIFETTI EVIDENTI DI SALVINI

In verità oggi Meloni si giova degli evidenti difetti di Salvini e del fatto che quel “soggettone” leghista se non parla di immigrati è praticamente muto. Tuttavia c’è dell’altro nel successo di Meloni, oltre il riemergere di una destra di tradizione e la sua migliore immagine rispetto a quella di Salvini. La Meloni appare, a destra, come il ritorno alla normalità.

GLI ITALIANI SONO STANCHI DELLE BIZZARRIE

Cerco di spiegarmi meglio. Gli italiani sono stanchi di tutto questo ambaradan culminato nelle bizzarrie del Movimento 5 stelle e nel furore xenofobo leghista. Anche chi detesta la sinistra con tutte le proprie forze, e in Italia sono milioni di persone, cerca strade maestre e non scorciatoie inconcludenti. Dal lato opposto questo vociare razzista e con toni da guerra civile ha risvegliato le coscienze. Mi dispiace per i detrattori delle sardine che speravano di battere la destra con la vecchia lotta di classe, ma, come è sempre avvenuto nella storia, la prima fase della rivoluzione è “democratica”.

INTANTO I BUONI STANNO PROVANDO A RIBELLARSI

Le sardine, come si può leggere bene nella lettera che hanno inviato a la Repubblica, sono uno straordinario movimento civico che incrocia e contrasta lo spirito bellico di questi anni. I “buoni” si sono ribellati e hanno scoperto che la piazza non è naturaliter di destra. È probabile che in un tempo medio tutto ciò porterà a una formazione politica originale in grado di competere elettoralmente con la destra. Per ora non è così.

GIORGIA CORONA IL SOGNO DI FINI

Giorgia Meloni rappresenta l’inveramento del sogno di Gianfranco Fini. L’uomo lo abbiamo tutti dimenticato, ma ebbe un momento di celebrità che minacciò la popolarità di Silvio Berlusconi e questo segnò il suo destino. L’Italia di destra si fidava di più di questo ragazzo attempato in doppio petto, che parlava come un liberal ma che aveva solidi radici di destra. Fini era forse un po’ troppo un punto di compromesso fra passato e futuro della destra. Meloni, invece, ha talmente segnato su se stessa la sua natura di destra che non corre il rischio di apparire una che sta facendo mutare pelle al suo popolo.

PIÙ SOLIDA DEL LINGUAGGIO IMBROGLIONE SALVINIANO

La caratteristica che sembrava nuocerle, la sua romanità, anzi il suo essere donna di un quartiere bellissimo come la Garbatella, le ha dato il carattere di schiettezza che è cosa più solida del linguaggio imbroglione di Salvini.

ANCHE SE I GIORNALI NORDISTI STANNO ANCORA CON MATTEO

I giornali di destra non si sono accorti ancora di lei. Sono ancora tutti presi dal ragazzo della birreria anche perché i direttori di quei giornali sono nordisti nel profondo dell’anima. E poi Salvini sembra uno che i direttori di questi giornali possono manipolare mentre la “destra” Meloni non è gestibile.

ALLA LEGA RESTANO LE BUFFONATE DI MARIO GIORDANO

Sta di fatto che l’avanzare della Meloni è uno dei tanti segnali che la ricreazione sta finendo. Per i cinque stelle è finita tant’è che Beppe Grillo predica la buona educazione e un asse comune con la sinistra. La Lega di Salvini, che ha capito anzitempo gli umori neri del suo popolo, ora crede alle buffonate (intese come esibizioni clownesche) di Mario Giordano. Dura minga.

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Così gli italiani si stanno scocciando del fannullone Salvini

La Lega scende nei sondaggi. Perché la gente si è accorta che l'ex ministro non sa niente, non studia e a parte viaggiare, bere e occupare le tivù non fa altro. Di Maio in confronto è uno stacanovista. Sotto quelle felpe manca la voglia di lavorare.

La Lega ha iniziato a scendere nei sondaggi sotto il 30%. Poca roba ancora, ma è un segnale. Per tutta risposta il leader del partito Matteo Salvini continua imperterrito a occupare le tivù sotto lo sguardo ancillare dei conduttori, prevalentemente Mediaset, che giocando a tombola con lui o facendo altre idiozie cercano di farlo apparire umano per far dimenticare la faccia feroce, e un po’ brilla, dell’estate 2019.

RIEQUILIBRIO A DESTRA A FAVORE DELLA MELONI

Come da tempo segnalato, e da me previsto, scusate la vanteria, Giorgia Meloni invece continua poco per volta a salire nelle intenzioni di voto. Non siamo alle viste di un rapido capovolgimento di fronte nel campo sovranista, ma a un riequilibrio.

SOTTO L’IMITAZIONE MUSSOLINIANA DI SALVINI NON C’È NULLA

Le due destre si faranno concorrenza, ma finora non è chiaro su che cosa. Su un punto, invece, la differenza appare evidente e sfavorevole a Salvini. Per una volta ha ragione Marco Travaglio: anche la pubblica opinione di destra comincia a capire che il pericolo Salvini non è la sua banale imitazione mussoliniana, ma il fatto che niente sa, niente studia e soprattutto, a parte viaggiare, bere e andare in televisione, non ha proprio voglia di fare alcunché. Siamo arrivati al punto che Luigi Di Maio appare una stacanovista di fronte al figlio del Nord che chiacchiera-chiacchiera.

ANCHE CHI CERCA L’UOMO FORTE SI STA STUFANDO

La Bestia salviniana ha avuto idee perverse ma geniali: la principale è stata quella di mettere Salvini in mezzo al popolo, facendogli indossare felpe d’occasione e innalzare cartelli ridicoli in cui tutto veniva prima di tutto. Molti italiani rincoglioniti, soprattutto al Sud, gli sono andati dietro. Ma anche quella tipologia di italiano meridionale che cerca l’uomo forte soprattutto se protegge e dà da mangiare, si sta scocciando di fronte a un signore che non lavora. Perché anche il politico più dissipatore di denaro pubblico, a un certo punto, deve lavorare.

ZERO LAVORO, SOLO PENOSE SCENETTE CON MARIO GIORDANO

Salvini invece pensa che una penosa scenetta con Mario Giordano porti molti voti. Quello che i leader – che salgono e poi inesorabilmente iniziano a scendere fino a rotolare – non capiscono è che la società della comunicazione in cui si sono infilati non è un artifizio tecnico, non è neppure la lettura disincantata degli umori peggiori degli italiani peggiori, è anche e soprattutto dare una risposta a problemi attraverso una leadership che lavori. Salvini capisce la parola “lavorare”?

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Matteo Salvini ospite della trasmissione di Rete 4 Fuori dal coro condotta da Mario Giordano.

LA SILENZIOSA LAMORGESE FA PASSI DA GIGANTE

Dopo un anno di urla contro i poveracci raggiungendo zero risultati, mentre la silenziosa Luciana Lamorgese ha fatto passi da gigante, dopo mesi in cui Salvini si è intrattenuto sull’economia scappando dal governo quando ha temuto di dover aumentare l’Iva, alcuni italiani, siamo ancora a pochi decimali, hanno cominciato a capire che sotto quella felpa c’è niente.

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Luciana Lamorgese, successore di Salvini al Viminale.

COMPRERESTE UN’AUTO USATA DAL CAPITANO?

Il segreto di Salvini è convincere la parte di quel 30% che vorrebbe scappare che la guerra civile che ha promesso si farà e che la vincerà lui. Intanto è costretto a chiedere la tregua nell’indifferenza generalizzata. Abbiamo così un leader che sulla carta ha molti voti, ma da cui nessuno comprerebbe un’auto usata.

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Sondaggi Ixè: la Lega sotto il 30%, Iv al 3,6%

I partiti di governo ottengono insieme meno del 40%, il M5s recupera al 16,3% Pd al 20,2% e Stabili i Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni al 10,5%.

La Lega conferma la sua flessione scendendo sotto il 30%, al 29,9 – prima volta per le rilevazioni dell’istituto di ricerca Ixè, che aveva registrato un precedente al 30,6. Ma calano anche M5S al 16 dal 16,3% e Pd al 20,8% dal 20,2% mentre risale ma di poco Iv al 3,6% dal 3,3%. È quanto emerge da un sondaggio Ixè per la trasmissione Carta Bianca in onda sui Rai3. Stabile in doppia cifra Fratelli d’Italia al 10,5 dal 10,6% mentre Forza Italia scende al 7% dal 7,6%.

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Il senatore Ugo Grassi passa dal M5s alla Lega

Salvini lo accolgie a braccia aperte. Di Maio accusa: «Quanto costa un senatore al chilo?».

Il senatore Ugo Grassi ha lasciato il gruppo parlamentare del M5s per passare a quello della Lega. Grassi aveva votato in dissenso sulla risoluzione con cui la maggioranza ha dato mandato al premier Giuseppe Conte di proseguire la trattativa sul Mes.

Il leader della Lega, Matteo Salvini, lo ha accolto così: «Diamo il benvenuto al senatore Grassi. Porte aperte per chi, con coerenza, competenza e serietà, ha idee positive per l’Italia e non è succube del Pd. Su riforma ed efficienza della giustizia e rilancio delle università italiane, col senatore Grassi lavoreremo bene».

Opposto il commento del capo politico del M5s, Luigi Di Maio: «Possono passare alla Lega ma non raccontino balle. Dicano che il tema non è il Mes, ma che gli hanno proposto altre contropartite. Il mercato delle vacche a cui stiamo assistendo è la solita logica dei voltagabbana che noi abbiamo sempre combattuto. Dicono quanto costa un senatore al chilo».

Grassi, da parte sua, ha scritto una lettera per rendere pubblici i motivi che lo ha spinto a cambiare gruppo: «Il mio dissenso non nasce da un mio cambiamento di opinioni, bensì dalla determinazione dei vertici del M5s di guidare il Paese con la granitica convinzione di essere i depositari del vero e di poter assumere ogni decisione in totale solitudine. Gli effetti di questo modo di procedere sono così gravi ed evidenti (a chi vuol vedere), da non dover neppure essere esposti. Basti l’esempio della gestione dell’ex Ilva per dar conto dell’assenza di una programmazione nella gestione delle crisi».

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Perquisizioni della Finanza sui fondi della Lega

Le Fiamme gialle nella sede dell'Associazione Maroni presidente. Operazione nell'ambito dell'inchiesta sui 49 milioni confiscati al partito di Salvini.

Fondi della Lega, ci risiamo. La guardia di finanza ha eseguito una serie di perquisizioni nell’ambito dell’indagine della procura di Genova sui 49 milioni confiscati in via definitiva al partito di Matteo Salvini. Le verifiche, secondo quando si è appreso, riguarderebbero in particolare l’Associazione Maroni presidente.

REATI PRESCRITTI MA CONFISCA CONFERMATA

L’inchiesta genovese è nata da quella sui rimborsi elettorali che la Lega avrebbe ottenuto ai danni del parlamento tra il 2008 e il 2010, falsificando rendiconti e bilanci. Il processo si è concluso il 6 agosto con una sentenza della Cassazione che ha dichiarato prescritti i reati per Umberto Bossi e per il tesoriere Francesco Belsito, ma ha confermato la confisca dei 49 milioni.

PRESUNTO RICICLAGGIO DI UNA PARTE DEI FONDI

L’ipotesi su cui stanno ora lavorando i magistrati genovesi riguarda il presunto riciclaggio di parte di quei fondi, che da settembre il partito sta restituendo allo Stato a rate: secondo i pm alcuni dei 49 milioni sarebbero stati fatti sparire in Lussemburgo attraverso la banca Sparkasse di Bolzano e poi fatti rientrare, in parte, subito dopo i primi sequestri disposti della procura.

ASSOCIAZIONE «TENUTA NASCOSTA»

La banca ha invece sempre sostenuto che quei fondi (circa 10 milioni) fossero soldi dello stesso istituto, slegati dal partito. A giugno 2019, inoltre, investigatori e inquirenti genovesi hanno ascoltato, come persona informata sui fatti, l’ex consigliere della lista Maroni presidente, Marco Tizzoni, che a Milano aveva presentato un esposto in cui aveva adombrato il sospetto che l’Associazione Maroni presidente «fosse stata tenuta nascosta ai consiglieri dovendo servire quale soggetto occulto di intermediazione finanziaria in favore della Lega o di terzi».

IL PRESIDENTE È L’ASSESSORE GALLI

Il presidente dell’Associazione – stando a quanto si legge nello statuto pubblicato sul sito – è Stefano Bruno Galli, che è anche assessore all’Autonomia e alla Cultura della Regione Lombardia, mentre il consiglio direttivo è composto da Andrea Cassani, Ennio Castiglioni e dall’ex sottosegretario Stefano Candiani. La tesoriera è Federica Moro.

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