Di Maio torna a invocare miglioramenti del trattato già criticato dal Pd. Lunedì 2 dicembre Conte riferisce in Senato.
L’appuntamento in Senato è fissato per lunedì 2 dicembre alle ore 15.30, quando il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si presenterà a Palazzo Madama per un’informativa sulle modifiche al Trattato sul Meccanismo europeo di stabilità. Ma la polemica è già iniziata da tempo, con le accuse di Salvini al premier e le minacce di querela di quest’ultimo. Sabato 30 novembre, a due giorni dall’incontro in parlamento, è stato Luigi Di Maio a parlare a lungo di un tema che lascia non poche perplessità all’interno della maggioranza stessa: «L’Italia non può pensare di firmare al buio», ha detto il leader pentastellato, «è bene che ci sia una riflessione».
«SERVONO MIGLIORAMENTI»
Il Ministro degli Esteri ha risposto alle domande dei giornalisti al Villaggio contadino di Natale allestito a Matera dalla Coldiretti. Il Mes «come tanti altri trattati, ha bisogno di tanti miglioramenti», ha detto, aggiungendo che il fondo salva Stati «è solo una parte: c’è l’Unione bancaria, c’è l’assicurazione sui depositi. Quando avremo letto tutto, potremo verificare se il pacchetto convenga all’Italia oppure no. Secondo me, è sano per l’Italia non accelerare in maniera incauta ma difendere i propri interessi, aspettando la fine dei negoziati anche su tutti gli altri aspetti di questo pacchetto».
DI MAIO PREOCCUPATO DALL’UNIONE BANCARIA
A preoccupare Di Maio, più del Mes, è l’Unione bancaria. «L’assicurazione sui depositi va messa a posto: quindi ci sono dei negoziati in corso ed è bene che questi negoziati proseguano con il protagonismo dell’Italia che sicuramente negli ultimi mesi ha avuto difficoltà perché c’è stato un cambio di governo». Di Maio ha aggiunto che «anche il ministro Gualtieri lo ha detto: in questo momento il negoziato ha tutte le possibilità di poter migliorare questo trattato».
FRANCESCHINI: «ORA I FATTI»
Il dialogo all’interno dell’esecutivo prosegue. «Sul Mes in queste ore ci giochiamo la credibilità del Paese, l’andamento dello spread e dei mercati», ha detto a Milano il ministro per i Beni culturali, Dario Franceschini, all’assemblea dell’area del Pd di Base Riformista. «Non si può giocare con il fuoco. Prendo per buone le parole di Di Maio di questa mattina e da qui a lunedì vedremo se alle intenzioni seguiranno i fatti e i comportamenti, perché ci sono anche i comportamenti in politica».
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L'imprenditore si candida alle Regionali del 26 gennaio 2020, sostenuto dal centrosinistra. «Ho scelto di accettare la sfida».
Ci sarà anche il re del tonno in scatola, Pippo Callipo, nella corsa alla carica di governatore della Calabria. L’imprenditore ha deciso di scendere in campo in vista della Regionali del 26 gennaio prossimo, con una coalizione di centrosinistra. «Esponenti della società civile, delle organizzazioni sindacali e datoriali mi chiedono un impegno diretto, forte e convinto per avviare un cambiamento reale, tangibile che sia in grado di mettere la nostra Regione al centro dell’agenda politica del Paese», ha scritto in una nota. «Ho scelto di accettare la sfida. Lancio un forte appello a partiti e movimenti civici: uniamoci e portiamo avanti questa battaglia di legalità, trasparenza e rinnovamento, facciamolo con coraggio senza badare a rendite di posizione e tatticismi. Io ci sono. Io Resto in Calabria».
«UNA STAGIONE DI RINNOVAMENTO»
Nella nota, Callipo spiega che «gli appelli che si stanno susseguendo nelle ultime ore, seppur provenienti da ambienti diversi, esprimono l’esigenza comune di aprire in Calabria una stagione politica di profondo rinnovamento». La scelta di Callipo è ponderata: «In queste settimane ho molto riflettuto sull’opportunità di un mio impegno politico diretto e sono giunto alla conclusione che non posso non fare questa battaglia, non posso non ascoltare la voce di una nuova generazione che vuole essere protagonista di una rivoluzione pacifica ma decisa e non più procrastinabile. Sempre più giovani calabresi chiedono di non lasciare, per mancanza di opportunità di lavoro e di prospettive di futuro, la terra dove sono nati e cresciuti. Ho deciso quindi di ascoltare il mio cuore, il mio profondo desiderio di aiutare la mia terra perché da sempre coltivo il sogno di vederla cambiare, evolversi e dare opportunità a tutti. Sento inoltre un dovere morale verso i tanti giovani che incontro quotidianamente e che mi chiedono di diventare garante delle loro aspettative».
UNA SFIDA COMPLESSA
Callipo ha poi parlato delle difficoltà che riguardano la sfida: «Sono consapevole che i problemi e le priorità da affrontare non mancano e sono molto complessi. Penso ad esempio alla sanità e alla necessità di uscire dal commissariamento, allo sviluppo socio-economico agognato da decenni, alle infrastrutture per attrarre investimenti e dunque creare occupazione».
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La prima di destra è presidente ad interim. La seconda, del Mas, è la numero uno del Senato. Insieme cercano di riappacificare il Paese traghettandolo fuori dalla crisi politica.
Da Evo a Eva, è l’ovvia battuta che è stata fatta. Ma sarebbe più corretto dire: da Evo a Jeanine e Eva. Stiamo parlando di Jeanine AñezChávez e Mónica Eva Copa Murga: due donne dal profilo apparentemente opposto che hanno preso in mano la situazione in Bolivia dopo la fuga di Evo Morales, e che ora tentano di riportare la pace nel Paese dopo gli scontri costati finora 32 morti e 715 feriti.
LE DUE DONNE ALLA GUIDA DELLA BOLIVIA
Capelli ossigenati e ben pettinati, Jeanine Añez Chávez, classe 1967, direttrice di un canale tivù e senatrice del partito di destra Movimento Democratico Sociale, dopo la fuga di Morales e del suo vice Álvaro García Linera e le dimissioni dei presidenti di Senato e Camera Adriana Salvatierra e Víctor Borda – tutti esponenti del Movimento al socialismo (Mas) e davanti a lei nella linea di successione costituzionale – è diventata presidente a interim della Bolivia. L’altra donna forte della Bolivia, Mónica Eva Copa Murga, ha invece capelli bruni, la treccia e grandi occhiali. Classe 1987, attivista femminista ed esponente del Mas, dal 14 novembre è la nuova presidente del Senato.
Jeanine Anez, presidente ad interim della Bolivia.
LA FOTO DELLA RIAPPACIFICAZIONE
Jeanine e Monica, il giorno e la notte, una «oligarca bianca razzista» e una «india comunista» sono state definite. Eppure il 24 novembre si sono fatte fotografare insieme a Palacio Quemado, mentre reggevano il testo della legge con cui sono state indette entro 120 giorni nuove elezioni. Le due donne si sono anche abbracciate a favore di flash, un segno ancora più esplicito di riappacificazione, dopo che anche i militanti del Mas avevano rimosso i blocchi che impedivano l’arrivo di alimenti e carburante nelle principali città.
La foto di rito.
LA NOMINA DEL TRIBUNALE
In maggioranza a Camera e Senato, il Mas aveva fatto mancare il numero legale al momento dell’insediamento di Jeanine Añez. La successione è avvenuta dunque con una procedura non regolare, che però è stata convalidata dal Tribunale costituzionale plurinazionale per «stato di necessità». Lo stesso tribunale che aveva consentito a Evo Morales di ricandidarsi per la quarta volta, in barba all’articolo 168 della Costituzione e a un referendum. Da qui erano nate le prime contestazioni che si erano infiammate con le accuse di brogli. Infine le forze armate hanno indotto Morales a dimettersi e abbandonare il Paese.
L’arrivo di Evo Morales in Messico.
IL MURO CONTRO MURO
Con il boicottaggio delle istituzioni e la strategia dei blocchi, il Mas sembrava aver seguito l’invito di Morales, riparato in Messico, alla lotta dura contro i “golpisti”. Jeanine Añez dal canto suo aveva sposato la linea del muro contro muro come dimostra il decreto con cui il 14 novembre aveva garantito una sostanziale impunità ai militari impegnati nella repressione delle proteste.
Disordini scoppiati vicino a Cochabamba, in Bolivia.
SEGNALI DI DISTENSIONE
Con l’elezione di Eva Copa, il Mas però ha lanciato un primo segnale di distensione e la volontà di cooperare per una soluzione condivisa della crisi. Non a caso la legge approvata il 23 novembre stabilisce che alle prossime elezioni né Morales né García Linera potranno candidarsi, ma il Mas sarà in corsa e potrebbe persino ottenere un buon risultato se l’opposizione tornerà a dividersi. Eva Copa potrebbe a questo punto essere una eccellente candidata alla Presidenza. Da Evo a Eva, appunto. «Stiamo tornando alla normalità dopo un momento tanto duro e tanto drammatico», ha dichiarato Jeanine Añez. «Le donne non hanno paura di guidare questo Paese, ce ne incaricheremo tutte. Governo e opposizione, in pollera (la tipica gonna indigena, ndr) o in calzoni, classe media e classe alta, tutte lavoreremo assieme per la Bolivia». Certo, non ha aggiunto «anche per impedire agli uomini degli due schieramenti di distruggerlo». Ma sembrava sottinteso.
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La slavina ha colpito la zona di Punta Helbronner, a 3000 metri di quota circa, sotto la stazione di arrivo della funivia SkyWay.
Una valanga è caduta la mattina del 30 novembre nella zona del Monte Bianco, nella zona di Punta Helbronner, a 3000 metri di quota circa . Lo ha riferito il soccorso alpino valdostano che sta intervenendo sul posto. Il distacco si è verificato sotto la stazione di arrivo della funivia SkyWay del Monte Bianco, in una zona in cui si pratica lo sci fuoripista.
I CORPI ESTRATTI DALLA NEVE
Il bilancio è di due sciatori deceduti. I loro corpi sono stati estratti dalla neve dai soccorritori arrivati pochi minuti dopo il distacco. Non sarebbero coinvolte altre persone, secondo quanto si è appreso dal soccorso alpino valdostano che sta terminando le verifiche.
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Le vittime salgono a 50, ma tra i 2000 feriti ce ne sono di gravi. Alcuni vengono trasferiti in Puglia.
Sono 50 le vittime del terremoto di martedì 26 novembre in Albania. Cinquanta, un numero ufficiale che potrebbe ancora salire perché 2.000 sono i feriti, alcuni in gravi condizioni, mentre sono terminate le ricerche di eventuali superstiti o corpi senza vita tra le macerie. Lo ha annunciato questa mattina il premier Edi Rama, affermando che i feriti sono circa 2.000. Il governo di Tirana alza bandiera bianca, non c’è più speranza. Il premier ha inoltre indicato che, secondo i dati preliminari, circa 900 edifici a Durazzo e oltre 1.465 nella capitale Tirana hanno subito gravi danni.
SEI BAMBINI TRA LE VITTIME
Tra le vittime si contano sei bambini e 22 donne. Sono 26 le persone morte nel crollo di due palazzine nella sola Thumana, località a circa 20 chilometri a nord di Tirana, mentre altre 24 hanno perso la vita in varie zone di Durazzo, dove sono crollati due alberghi sulla spiaggia, due palazzi in città e una villetta di tre piani, nella quale sono morti 8 membri della famiglia Lala, tra cui 4 bambini. Tra i feriti, almeno 41 sono ancora ricoverati negli ospedali di Tirana e Durazzo. Grave una giovane ragazza, che non può nemmeno trasferita all’estero, come invece è successo per altre tre persone, due delle quali sono state portate in Italia, per ottenere cure specializzate. In gravi condizioni anche un ragazzo.
LA SOLIDARIETÀ ITALIANA
In collaborazione con aeroporti di Puglia, la Regione Puglia ha potenziato i collegamenti aerei con l’Albania da Bari e Brindisi, per fare fronte a molteplici esigenze logistiche. Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, è in continuo contatto con la task force dei volontari e degli specialisti della Protezione civile regionale e del Servizio sanitario regionale-servizio maxi-emergenze e 118 che in queste ore sono a Durazzo e in altri centri dell’Albania colpiti dal terremoto. La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana ha destinato 500.000 euro, provenienti dai fondi dell’8xmille, alle vittime del terremoto. Lo stanziamento avverrà tramite Caritas Italiana – informa una nota -, che ne renderà conto al Servizio per gli Interventi Caritativi a favore del Terzo Mondo.
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Si chiama Usman Khan. Era stato in prigione per terrorismo ed era uscito nel 2018 in libertà vigilata. A fermarlo è stato un ex omicida appena uscito di prigione.
Aveva 28 anni e si chiamava Usman Khan l’attentatore che il 29 novembre ha accoltellato i passanti sul London Bridge uccidendone due e ferendone altri tre, prima di essere a sua volta ucciso in una sparatoria dalla polizia. Khan era un islamista conosciuto a Scotland Yard. Era stato rilasciato in libertà vigilata nel 2018, dopo aver scontato sei anni per reati di terrorismo. Risultava essere collegato al gruppo islamista al-Muhajiroun, (guidato dall’imam radicale Anjem Choudary condannato per terrorismo nel 2016), considerato tra i più prolifici e pericolosi nel Regno Unito.
CONDANNATO NEL 2012
L’uomo era stato condannato nel 2012 e rilasciato a dicembre 2018 «su licenza», il che significa che avrebbe dovuto soddisfare determinate condizioni o sarebbe tornato in carcere. Diversi media britannici hanno riferito che indossava un braccialetto elettronico alla caviglia e frequentava piani di reintegro nella società. Prima dell’attacco Khan stava partecipando a un evento a Londra ospitato da Learning Together, un’organizzazione con sede a Cambridge che lavora nell’istruzione dei carcerati. L’antiterrorismo britannica afferma che la polizia non sta attivamente cercando altri sospetti.
FERMATO DA UN FEMMINICIDA
Un altro ex carcerato è stato protagonista dell’episodio sul London Bridge. James Ford, uno degli uomini che hanno braccato il terrorista disarmandolo e impedendogli di colpire altri civili, era stato incarcerato a vita nell’aprile del 2004, con una pena minima di 15 anni, per aver strangolato e sgozzato Amanda Champion. I genitori della vittima non sapevano che fosse uscito dal carcere e hanno dichiarato di non considerarlo un eroe ma, comunque e ancora, un assassino.
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Giovani e giovanissimi da una parte e over 50 competenti, proprio come l'ex presidente della Bce, dall'altra. Solo dal loro dialogo il Paese potrebbe ripartire. Dopo il fallimento della generazione mediana, lasciata sola a gestire il sogno edonista (e irrealizzabile).
Fantascenario che certo è una battuta, ma anche un auspicio e la rappresentazione ideale di una società italiana completamente rifondata. Che vuole lasciarsi alle spalle 20 anni e più di cattiva politica, di protagonismi maleducati e incompetenze esibite.
Draghi e Sardine. Per dire della necessità urgente di un reset del Sistema. Che tuttavia della mobilitazione di piazza anti-leghista accoglie soprattutto la richiesta di “buona politica”, depurata da un leaderismo sguaiato e demagogico. E coglie, credo, il dato più interessante e utile in prospettiva nell’inedita convergenza di generazioni che sono anagraficamente distanti, quasi remote fra loro.
L’ETÀ DI MEZZO VITTIMA DEL DISINCANTO
Le Sardine infatti nella loro attuale composizione sono perlopiù giovani e giovanissimi con presenza significativa di 50/60enni e oltre. Piuttosto che di 40enni, intesi come generazione di mezzo, fascia d’età che si allunga di cinque-10 anni sia in basso che in alto, comprendendo 30enni maturi e 50enni “suonati”. Ovvero quell’Italia di mezzo, che essendo cresciuta e formatasi in una società sempre più spoliticizzata, è culturalmente, anche per effetto di lunga esposizione alla tivù commerciale, ovvero a una “programmazione populista”, attratta dalle sirene leghiste e sovraniste. Ma riferendomi ai 35-50enni devo aggiungere che questi non hanno vissuto la stagione delle grandi lotte politiche di piazza, ma quella del disincanto. Quindi sono fisiologicamente refrattari alla partecipazione politica e alla militanza partitica. Ma sono anche poco digitali: usano perlopiù solo i social, perché non richiedono competenze specifiche e abilitanti. Ciò spiega anche perché questa classe d’età sia la più sensibile alla propaganda, alla comunicazione emozionale.
IN PIAZZA C’È LA CONVERGENZA DI GENERAZIONE Z E I BABY BOOMER
Le piazze che si stanno riempiendo di Sardine vedono la convergenza di generazione Z e della parte più giovane dei millenial, con la fascia di baby boomer più colta e benestante. In questo senso si può convenire con chi parla di piazze sardiniste caratterizzate e fisicamente occupate dal ceto medio urbano. E nel segnalare come questa convergenza sia in linea col fenomeno, definito da The Economist “Socialismo dei millenial”, che è nato e si sta sviluppando in Inghilterra e Usa. E che vede un numero crescente di giovani e giovanissimi sostenere e votare Bernie Sanders e Jeremy Corbyn (che conta appunto molto sui nuovi elettori per le prossime elezioni del 12 dicembre). E che ha la sua icona nella più giovane congresswomen della storia parlamentare statunitense:Alexandria Ocasio-Cortez.
MANCA OGNI RIFERIMENTO AI LEADER DEGLI ULTIMI 20 ANNI
I due estremi generazionali che vengono colmati e pareggiati da una richiesta di “buona politica” trovano una spiegazione convincente in un comune rimpianto: per i primi esprime desiderio di provare quel che è stato loro raccontato e che ormai è storia, mentre per i secondi è voglia di ritrovare gli ideali e le pratiche della giovinezza. Non casualmente manca del tutto qualsiasi riferimento alla sinistra di governo, ai leader democratici di quest’ultimo ventennio. Non rivoluzionari veri né riformisti convinti, ma aggiustatori mediocri di un sistema che ha penalizzato soprattutto i giovani. Sono infatti Enrico Berlinguer e la “meglio gioventù” i più citati ed evocati dalle Sardine. Ovviamente con tutte le retoriche e le amnesie che ogni riscoperta si porta appresso.
UNA GENERAZIONE SCHIACCIATA
Disintermediazione è la parola chiave di questi anni e prevedibilmente, con più forza distruttiva, dei prossimi. Ma curiosamente o paradossalmente questo processo si manifesta anche sulle età della vita e sulle dinamiche generazionali e intergenerazionali. Non sono solo i corpi sociali e i quadri produttivi intermedi, le mezze stagioni e le mezze porzioni a essere disintermediati. Ma anche le classi d’età di mezzo, quelle situabili fra i 35 e i 50 anni che scontano oggi, come non era mai accaduto prima, il fatto di non essere più anelli di congiunzione fra giovinezza e maturità, ma invece delle interruzioni, se non delle fratture, generazionali. Oggi, infatti, le classi d’età di mezzo sono compresse, schiacciate, non potendo competere con i nativi digitali, sul piano delle abilità e competenze tecnologiche, ma nemmeno con i 60/70enni sul piano dell’esperienza.
Anche perché sono entrati nel mercato del lavoro tardi, così come tardi si sono sposati e non hanno fatto figli. Non sono svelti e intuivi come i 20enni, ma nemmeno riflessivi e con la cultura del lavoro dei più anziani. Sono quelli che pur essendo ancora giovani anagraficamente, hanno meno futuro degli altri. Sono furbi, però con bassa propensione etica, perché hanno coltivato grandi attese e sogni di gloria, essendosi formati nei decenni 80 e metà 90, quelli dell’edonismo reaganiano, della glorificazione del successo e dei soldi. Ma proprio per questo anche il molto che materialmente hanno sembra a loro poco. Quasi niente. Per questo sono eversivi, ma non rivoluzionari. Prova è che i Gilet gialli francesi sono 50enni, così come il grosso dell’elettorato leghista e sovranista in Italia.
L’ITALIA RINCORRE ANCORA IL TRENO DELL’INNOVAZIONE
In tale contesto e considerato che la classe politica e di governo attuale, più che mai sgangherata, è nelle mani di leader (Matteo Salvini, Matteo Renzi, Luigi Di Maio, Giorgia Meloni e mettiamoci anche Giuseppe Conte e Carlo Calenda) che anagraficamente stanno, appunto, nell’età di mezzo, si comprende perché abbiamo perso, come Paese, lo spirito imprenditoriale, la creatività e la voglia di lavorare che hanno fatto grande l’Italia nei due decenni postbellici. Nel contempo non siamo riusciti ad agganciarci al treno dell’innovazione, non solo tecnologica, che ormai è in piena corsa in numerosi altri Paesi e che di questo passo rischiamo di perdere definitivamente.
Le Sardine a Bologna.
I GIOVANI HANNO BISOGNO DI GUIDE RICONOSCIUTE
Non ci resta che confidare nella discesa in piazza di giovani e giovanissimi, in grado, vista la velocità con la quale si sono materializzati dal nulla, di dare vita a qualcosa di radicalmente nuovo. Una politica più gentile e capace di tradurre, in forme più avanzate di partecipazione e rappresentanza, le enormi possibilità offerte dall’economia digitale. Visto che sin qui, come scrive il sociologo svedese Adam Ardvisson (Changemakers: The Industrious Future of the Digital Economy ), «l’uso migliore che abbiamo saputo trovare per l’intelligenza artificiale e l’analisi dei big data è la pubblicità mirata su Facebook per uno shampoo o un app per ordinare la pizza senza dover alzare il telefono». Mentre invece serve urgentemente regolare la sharing economy e avere idee concrete su cosa farsene del blockchain.
E qui, certo, sono zeter e millenial che devono immaginare il mondo e la società che verranno. Naturalmente migliori di quelli attuali. Ma potranno realizzarli solo accantonando idee di rottamazione e di scontro generazionale, del quale, peraltro, Quota 100 è un bell’incentivo, il cui solo aspetto positivo è rendere evidente quanto la politica e i politici che l’hanno voluto sono obsoleti. Nonostante siano anagraficamente giovani. E di contro quanto giovani e giovanissimi abbiano bisogno non di vecchi narcisi (giornalisti soprattutto) che fanno ironie su gretini e Sardine, bensì di vecchi sapienti e competenti. Capaci di indicare futuri possibili e auspicabili. In forza di leadership riconosciute e ispirate. Come Mario Draghi, appunto.
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Gli effetti del sisma aggravano i problemi. Crescita rallentata, scontri di piazza, veto francese sull’ingresso nell’Ue. Per le divisioni europee e la piaga interna dei traffici criminali e dell’abusivismo. Anche edilizio.
Il terremoto è l’ultimo – e il più grave – dei colpi che in questi mesi si sono abbattuti sull’Albania. I morti e la devastazione di Durazzo non aiutano l’ex protettorato italiano mai decollato dalla rovinosa fine della dittatura di Enver Hoxha. In crescita, ma non abbastanza per un Paese ancora molto povero, rapportato all’economia dell’Ue. Fragile di infrastrutture e di strutture, come ha dimostrato il sisma a Durazzo del 26 novembre 2019 di magnitudo 6.4. Le scosse successive continuano a far crollare come cartapesta gli ammassi di cemento delle case e dei palazzi accatastati su terreni franosi. Senza le minime norme antisismiche, negli anni delle speculazioni finanziarie e dell’anarchia politica e anche dopo. L’abusivismo dell’edilizia controllata dai clan locali e stranieri è una delle piaghe combattute dal governo di Edi Rama: il premier socialista ha fatto degli sforzi, bloccando cantieri e abbattendo ecomostri. E in generale per far rispettare di più le regole. Ma non sono bastati a convincere tutti a Bruxelles a dare il via, quest’autunno, ai negoziati per ammettere l’Albania nell’Ue.
CRESCITA TROPPO BASSA PER L’UE
Tanto la Banca mondiale quanto il Fondo monetario internazionale (Fmi) rivedono al ribasso, attorno al 3% anziché al 3,7%, le previsioni di crescita dell’Albania per il 2020, tenuto conto della contrazione nel 2019. Un ritmo reputato dal Fmi «troppo basso per una convergenza tangibile con gli standard di vita nell’Ue, considerato che il reddito pro capite pari degli albanesi è pari a un quarto della media nell’Ue». Per l’organizzazione internazionale che sprona Tirana a una «migliorare governance» pesano ancora le «debolezze delle infrastrutture e delle istituzioni economiche che impediscono un miglioramento ampio e duraturo degli standard di vita». Queste perplessità hanno bloccato la Francia, il Belgio e la Danimarca dal sì all’allargamento, al Consiglio europeo di fine ottobre, all’Albania dell’Ue. «Un duro colpo» per il premier Rama «molto deluso», come diversi altri leader europei. Sperava nel passo, slittato già due volte dal 2017. Aveva l’appoggio deciso di Italia e Germania, ma la Francia poi ha tirato il freno a mano anche con la Macedonia del Nord.
Le vittime di un edificio collassato per il terremoto di Durazzo, in Albania. GETTY.
IL VETO FRANCESE SU ALBANIA E MACEDONIA
Emmanuel Macron si è scontrato, ancora una volta in questi mesi, con la cancelliera Angela Merkel per una questione di fondo che divide da sempre la leadership franco-tedesca dell’Ue, e che stavolta si riflette nelle procedure da adottare con gli Stati balcanici. Parigi chiede una maggiore integrazione tra gli Stati già membri dell’Ue, attraverso anche la revisione di alcuni meccanismi decisionali interni, prima di includerne altri. Anche per evitare di ripetere lo squilibrio di un’Europa a tre velocità (la seconda è nei Pigs del Sud), creato dall’ingresso nell’Ue degli Stati satellite dell’ex Urss, un bacino di manodopera interna a bassissimo costo. Con un’Albania dentro, ma fuori dall’euro, accadrebbe lo stesso o forse peggio: dai dati dell’Istituto nazionale statistico (Instat) del 2018, il salario minimo nel Paese delle aquile è di circa 190 euro lordi al mese, oltre la metà degli albanesi guadagna meno di 315 lordi, solo il 10% più di 750. Non a torto poi Macron lamenta riforme giudiziarie inadeguate a Tirana per contrastare corruzione e criminalità organizzata.
Rama si è messo a disposizione dell’Ue, stringendo accordi di cooperazione con sui migranti
ITALIA E GERMANIA PER L’INGRESSO NELL’UE
Parigi chiede un processo di allargamento dell’Ue «riformato», con un accesso «graduale» alla politiche europee e un iter «rigoroso» e soprattutto «reversibile». Mentre la politica della Germania, che nell’Est e nei Balcani ha come l’Italia interessi commerciali e ramificazioni bancarie, è quella di includere nuovi Stati. Forse proprio per alimentare l’economia di un’Ue a più velocità. Il clima di scontro politico tra il premier socialista e la destra del predecessore Sali Berisha, sfociato nelle gravi violenze alle manifestazioni di quest’anno, è un altro elemento di instabilità che rende l’Albania scivolosa per i partner europei. Eppure Rama si è messo a disposizione dell’Ue, stringendo accordi di cooperazione con sui migranti, attraverso l’agenzia europea Frontex per la difesa dei confini esterni e per il contrasto del traffico di esseri umani. E a denti stretti è pronto a ingoiare il tradimento di fiducia, per riprendere le trattative con Bruxelles in primavera, «perché non ci sono alternative a un’Albania europea, lo dobbiamo alle nuove generazioni».
Il premier albanese Edi Rama. GETTY.
I TRAFFICI DEL BALCANI E L’ESCA RUSSA
Per venire incontro all’Ue, nel 2019 la Macedonia ha concordato con la Grecia il difficile cambio di nome in Macedonia del Nord, chiudendo un contenzioso storico. La porta blindata dalla Francia, con motivazioni anche sensate, frustra le popolazioni (anche della Serbia e del Montenegro in fila con la Bosnia per entrare), riaccende i nazionalismi e sposta i Balcani verso l’area russo-turca. Una situazione molto complicata: per reazione anche i grossi traffici di droga e armi – mai stroncati – della regione possono aumentare. Il gioco d’azzardo legale, abolito da Rama dall’inizio del 2019, è tra le cause che riducono la crescita in Albania. Oltre al calo di produzione di elettricità, nel Paese delle aquile ricco di acqua e di centrali, per le ricadute della congiuntura internazionale e per le turbolenze interne. Il terremoto aggrava non poco le carenze strutturali e infrastrutturali dell’Albania, che è priva anche di una vera rete ferroviaria. E può frenare il turismo: nel 2019 i visitatori stranieri erano cresciuti dell’11% (dati Instat), migliaia di loro erano italiani.
Il nuovo stop dell’Ue allontana l’accesso di Tirana aifondi strutturali europei
ITALIA PRIMO PARTNER COMMERCIALE
L’Italia è storicamente il primo partner commerciale, per un interscambio di 1,2 miliardi di euro nel primo semestre del 2019. Soprattutto nell’export, che equivale al 30% delle merci in ingresso in Albania. Banca Intesa poi, attraverso le filiali dell’ex Veneto Banca, è la quarta banca presente sul territorio. E centinaia sono anche le imprese, molte delle quali volatili, registrate dai connazionali nel Paese delle aquile: gli italiani restano tra i primi investitori nel commercio, nell’industria, anche nell’energia e nelle costruzioni. In un territorio ancora difficile, nel 2017 e nel 2018 l’interscambio con l’estero dell’Albania era cresciuto dell’11%, ricorda un rapporto della Farnesina. Il nuovo stop dell’Ue, a un processo che sarebbe comunque durato del tempo, allontana l’accesso di Tirana ai fondi strutturali europei che sarebbero stati molto d’aiuto alla ricostruzione dopo il sisma. Ma la ressa dei terremotati per pane e per le derrate nelle tendopoli a Durazzo è anche conseguenza della «repubblica delle betoniere», ricorda l’attivista albanese Mirela Jorgo.
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Accordo con il Ministero della Giustizia per promuovere il lavoro fra i detenuti.
Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, accompagnato dal Vice Presidente Esecutivo e Amministratore Delegato di Pirelli, Marco Tronchetti Provera, ha visitato il centro di Ricerca & Sviluppo di Pirelli situato nell’Headquarters della società. Alla visita hanno preso parte Andrea Casaluci, General Manager Operations Pirelli, e Maurizio Boiocchi, Executive Vice President and Strategic Advisor Technology and Innovation Pirelli.
IL CENTRO RICERCA E SVILUPPO
Il centro Ricerca & Sviluppo di Milano, a cui si affiancano altri 12 centri nel mondo, rappresenta il principale laboratorio di innovazione di Pirelli e si avvale della professionalità di circa 450 ingegneri e specialisti sugli oltre 1.900 impiegati a livello mondiale. La Ricerca & Sviluppo, cui viene destinato circa il 6% dei ricavi del segmento High Value su cui si concentra la produzione Pirelli, costituisce una fase centrale per la nascita di nuovi prodotti tecnologicamente avanzati e sempre più sostenibili, di processi produttivi all’avanguardia, di materiali innovativi e a basso impatto ambientale, contribuendo in modo determinante a rendere Pirelli un leader di sostenibilità del suo comparto, riconosciuto dalle maggiori società specializzate del settore.
ACCORDO CON IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA PER IL LAVORO AI DETENUTI
Nel corso della visita è stato anche firmato un protocollo d’intesa fra il Ministero della Giustizia -Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e Pirelli finalizzato alla promozione del lavoro per i detenuti da realizzarsi attraverso un programma formativo per la creazione di competenze spendibili nel mondo del lavoro. L’accordo, siglato da Francesco Basentini, Capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, e da Filippo Maria Grasso, Corporate Vice President Global Institutional Affairs & Sustainability di Pirelli, prevede l’impegno delle parti a individuare specifiche attività lavorative da realizzarsi in spazi dedicati all’interno degli istituti penitenziari con l’obiettivo di accrescere le competenze professionali dei detenuti coinvolti in progetti di pubblica utilità e per un futuro inserimento all’interno di Pirelli e, più in generale, nel mercato del lavoro. Il Protocollo d’intenti sottoscritto oggi, le cui modalità esecutive saranno definite entro giugno 2020, e i successivi accordi operativi avranno una validità di tre anni e, con l’accordo delle Parti, potranno essere replicati in collaborazione con soggetti internazionali.
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Attacco in una via dello shopping nel centro della città olandese. Un sospetto è in fuga.
Ci sono tre feriti, si cerca un uomo sui 45-50 anni di carnagione scura. Sono passate poche ore dall’attacco al London Bridge, che ha lasciato dietro di sé due morti più il killer e diversi feriti, quando a twittare l’appello ai cittadini è la polizia dell’Aja. Anche questa volta l’arma è un coltello, anche questa volta in una zona piena di gente e turisti di venerdì sera. Anche in questo caso l’intervento della polizia è stato immediato: la zona è stata chiusa, mentre la gente fuggiva terrorizzata.
Steekincident met meerdere gewonden aan de #GroteMarktstraat in #DenHaag. Hulpdiensten zijn ter plaatse. Meer info volgt via dit kanaal.
Ambulanze ed elicotteri hanno trasformato Grote Marktstraat, la via dello shopping particolarmente affollata nel giorno del Black Friday, in una strada deserta e blindata. A terra, davanti al centro commerciale Hutsons Bay, alcuni feriti, soccorsi dalle ambulanze. Immagini immediatamente rilanciate sui social. Dell’attentatore, al momento si sa poco o nulla.
RICERCATO UN UOMO DI CARNAGIONE SCURA DI 45 – 50 ANNI
La polizia olandese ha pubblicato su Twitter un appello in cui chiede informazioni su un uomo di carnagione scura di circa 45-50 anni che indossa una sciarpa e una tuta da jogging grigia. Secondo alcune testimonianze, avrebbe scelto a caso le sue vittime. Ma dopo l’attacco sembra essere sparito nel nulla. Un attacco che ha fatto ripiombare l’Aja nella paura, riportando alla mente l’attentato del maggio del 2018, quando gridando Allah Akbar un uomo ha accoltellato tre passanti. In quell’occasione si parlò di uno squilibrato. In questo caso, secondo la polizia, «non è ancora chiaro se si sia trattato di un atto terroristico»
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