Di Maio prova a ripartire dalla riforma della giustizia

Il leader del M5s incalza il Pd sulla prescrizione: «Possiamo fare questo passo insieme». Ma la trattativa non è ancora finita. All'orizzonte ci sono le Regionali: in Calabria potrebbe tornare in campo Callipo, in Emilia-Romagna liste in alto mare.

Luigi Di Maio prova a riscrivere la sua agenda di capo politico del M5s dopo il faccia a faccia con Beppe Grillo. Il garante pentastellato ha chiesto un forte rilancio della maggioranza sull’azione del governo. E così Di Maio, in piena crisi di leadership, mentre da una parte fa partire il difficile confronto sul territorio per le elezioni regionali in Emilia-Romagna e Calabria, dall’altra mette sul tavolo i desiderata del Movimento per l’esecutivo.

In cima alla lista c’è il cavallo di battaglia per eccellenza del M5s, la riforma della giustizia, a partire dalla prescrizione. Le modifiche su quest’ultimo punto sono già state approvate con la legge che ha inasprito le pene per i reati di corruzione, la cosiddetta spazzacorrotti. Previsto il blocco dei tempi dopo il primo grado di giudizio, con entrata in vigore dal primo gennaio 2020. Il Pd, tuttavia, finora si è opposto, chiedendo prima che la riforma del processo penale velocizzi la durata dei procedimenti. La trattativa tra dem, renziani e il ministro Alfonso Bonafede non è ancora finita.

«Questo governo può davvero cambiare le cose. Ma le parole non bastano, servono i fatti», ha scritto Di Maio su Facebook, lanciando un monito proprio al Pd. Ai partner di governo viene chiesto di «andare avanti, non indietro». E di non comportarsi come Matteo Salvini, visto che a battersi contro quella che viene definita una norma «di assoluto buon senso» in prima fila ci sono Lega e Forza Italia.

LEGGETE E CONDIVIDETE! SULLA PRESCRIZIONE E SU UN PAESE CHE DEVE ANDARE AVANTI (E NON INDIETRO)Vittime di disastri,…

Posted by Luigi Di Maio on Monday, November 25, 2019

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Di Maio incassa la sponda del premier Giuseppe Conte, che ha sottolineato come la riforma della giustizia non solo figuri nei punti programmatici della maggioranza, ma sia anche «fortemente voluta dal presidente del Consiglio». Ovvero da lui stesso. Il Pd, per il momento, non ha replicato ufficialmente. Ma fonti dem vicine al dossier tendono a considerare l’uscita di Conte come un segnale della volontà del premier di farsi carico di una mediazione.

IL PD STORCE IL NASO

Il Pd, com’è noto, chiede l’introduzione di limiti alla durata dei processi, una sorta di prescrizione processuale. E interpreta il post di Di Maio come una provocazione demagogica, che semplifica eccessivamente la questione mentre le parti stanno cercando di raggiungere una sintesi. Di Maio ha rilanciato anche sulla revoca delle concessioni ad Autostrade per l’Italia («Bisogna muoversi») e sul carcere per i grandi evasori. Ma all’orizzonte ci sono le Regionali del 26 gennaio 2020.

IL REBUS DELLE REGIONALI IN EMILIA-ROMAGNA E CALABRIA

Mentre in Calabria si vocifera di un possibile ritorno in campo dell’imprenditore del tonno Pippo Callipo, in Emilia-Romagna la partita si fa sempre più complicata. Il capo politico del M5s ha incontrato a Bologna gli eletti e gli attivisti, per cercare di trovare una soluzione all’impasse che si è aperta dopo il voto su Rousseau che ha sconfessato Di Maio e ha detto sì alla presentazione delle liste. Ma sia in Calabria, sia in Emilia-Romagna i pentastellati sono divisi. Il deputato “ortodosso” Giuseppe Brescia ha chiesto, assieme all’ex deputata Roberta Lombardi, di rimettere ai voti dei soli iscritti emiliani e calabresi la scelta di come andare al voto: «Non escluderei di tornare su Rousseau per chiedere agli attivisti se preferiscono vederci correre da soli oppure alleati con il Pd», ha detto Brescia.

TEMPO FINO AL 4 DICEMBRE PER LE CANDIDATURE

La vicepresidente della Camera, Maria Elena Spadoni, non concorda: «Penso che sia ormai troppo tardi per aprire a qualsiasi tipo di alleanza, oltretutto non prevista dal nostro statuto», alludendo evidentemente anche alla possibilità di optare per il voto disgiunto, al M5s e al candidato governatore del Pd. Con una presa d’atto finale: «In Emilia i nostri attivisti e consiglieri comunali da anni fanno battaglie contro il Pd. Nessuno dal territorio ha mai aperto ad alleanze». Nell’attesa, il Movimento ha comunque avviato la ricerca dei candidati governatori attraverso le cosiddette “regionarie”: chi intende proporsi avrà tempo fino al 4 dicembre. Sapendo che, come previsto dallo statuto, «il capo politico, sentito il garante», avrà la facoltà di esprimere un eventuale parere vincolante negativo.

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L’Autostrada A26 chiusa a Genova: «Viadotti a rischio»

La decisione presa da Autostrade dopo che la procura aveva avanzato la possibilità di un sequestro per le condizioni dei ponti Pecetti e Fado. Il capoluogo ligure a rischio isolamento.

Autostrade per l’Italia comunica che a partire dalle ore 21:30 di oggi, lunedì 25 novembre, sarà chiusa al traffico in entrambe le direzioni la tratta dell’autostrada A26 compresa tra l’allacciamento con l’autostrada A10 e lo svincolo di Masone.

Tale misura viene assunta per consentire l’esecuzione di verifiche tecniche sui viadotti Fado Nord e Pecetti Sud, presenti in tale tratta. La procura di Genova, fa sapere Repubblica, aveva sostanzialmente intimato la misura alla concessionaria a causa delle condizioni pessime in cui si troverebbero i due viadotti. «Sono viadotti a rischio rovina. Credo che il termine sia chiaro a tutti», aveva detto il procuratore capo Francesco Cozzi.

GENOVA E LA LIGURIA A RISCHIO ISOLAMENTO

Si aggrava così la situazione della viabilità per la Liguria, mentre la frana che ha distrutto il viadotto della Madonna del Monte sulla A6 Savona-Torino al momento è ferma. Ma ci sono ancora 15 mila metri cubi di fango in bilico, che potrebbero scivolare a valle in un attimo, velocissimi, così come veloci sono stati quei 30 mila metri cubi di terra che hanno abbattuto i piloni del viadotto ‘correndo’ a 20 metri al secondo. La massa instabile potrebbe cadere a valle in qualsiasi momento anche in previsione del fatto che mercoledì tornerà a piovere.

LE INDICAZIONI PER LE STRADE ALTERNATIVE

Veicoli leggeri e autocarri fino a 7,5 tonnellate (esclusi autobus): per la A26 dalla A10 uscire a Prà e proseguire fino a Masone tramite la SP 456 del Turchino. Per la A10 dalla A26 effettuare il percorso inverso. Veicoli pesanti superiori a 7,5 ton e autobus: per la A26 dalla A10 utilizzare la A7. Per la A10 dalla A26 obbligo di deviazione sulla Diramazione Predosa Bettole, dalla quale, con fermo temporaneo e progressivo deflusso, sarà possibile procedere verso Genova lungo la A7. Potranno proseguire fino a Masone i soli mezzi pesanti con destinazione di scarico o carico nella zona collegata a tale svincolo. Itinerari di lunga percorrenza: per i collegamenti tra la A4, A26 e A21 verso la Toscana, utilizzare la A21 fino all’allacciamento con la A1 e da questa raggiungere Firenze o riprendere l’autostrada tirrenica tramite la A15.

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Come si evolve la battaglia legale tra giocatori del Napoli e società

Linea dura del presidente De Laurentiis. Taglio del 25% dello stipendio per tutti, con punte del 50% per Allan e i capi della rivolta contro il ritiro. E il procedimento arbitrale è alle porte. La situazione.

Al Napoli le cose in campo non vanno bene. Settimo posto e -15 punti dalla Juventus capolista. Fuori, forse ancora peggio. Questioni calcistiche e giuridiche si sono intrecciate affossando la stagione degli azzurri. Tutto è iniziato col grande “ammutinamento, il rifiuto dei giocatori di andare in ritiro per gli scarsi risultati sportivi (soprattutto in campionato). E ora è arrivata la risposta ufficiale della società, che ha attaccato i calciatori infliggendo un taglio del 25% dello stipendio per tutti, ma punte del 50% nei confronti di Allan e di altri considerati dal club i “capi” della rivolta. Le richieste sono contenute nelle raccomandate inviate anche via pec.

DALLE SUPER MULTE AL CASO DEI FURTI

Il presidente Aurelio De Laurentiis ha inflitto così delle super multe. Gli ultrà avevano “scaricato” la squadra per il suo atteggiamento, mentre in città si è parlato anche molto della fuga” delle mogli dei calciatori dopo i diversi furti subiti che avevano addirittura fatto presupporre l’esistenza di un piano criminale dietro questi episodi.

LETTERE CONSEGNATE PRIMA DELLA CHAMPIONS

La notizia era nell’aria e, si è appreso oltre la cortina di silenzio ufficiale del club, si dovrebbe concretizzare con la ricezione delle lettere a poche ore dalla partita di Champions league contro il Liverpool. I due piani, ormai, sono completamente scollegati. Il Napoli ha deciso di separare le vicende sportive da quelle contrattuali: i tifosi giudicheranno le prestazioni in campo di capitan Lorenzo Insigne e compagni, il collegio arbitrale del tribunale deve decidere in merito alle sanzioni.

COME FUNZIONA IL PROCEDIMENTO ARBITRALE

Ogni calciatore nominerà un proprio arbitro, il club un altro e i due dovranno accordarsi per eleggere il presidente del collegio; ciascun calciatore avrà un proprio procedimento arbitrale.

ALLAN ACCUSATO DI AVER AGGREDITO IL VICEPRESIDENTE

La multa più salata è stata chiesta ad Allan che oltre alla ribellione paga anche l’accusa di aver tentato di aggredire il vicepresidente azzurro Edoardo De Laurentiis negli spogliatoi dopo il match con il Salisburgo.

CONTESTATA LA LESIONE DEI DIRITTI D’IMMAGINE

Oltre alle multe richieste per il mancato rispetto dell’ordine di andare in ritiro, il Napoli è pronto a infliggere anche multe individuali per una lesione dei diritti d’immagine: ogni calciatore quando firma con il club azzurro raggiunge anche un accordo per la cessione dei propri diritti d’immagine che, a parere del Napoli, è stata lesa dall’atteggiamento poco professionale della ribellione. In questo caso le multe saranno individuali e parametrate al contratto che è diverso per ognuno.

DE LAURENTIIS NON È ANDATO A LIVERPOOL

Al Napoli dunque continua il gelo tra lo spogliatoio e la dirigenza, che aspetta ora risultati sul campo, e testimoniato anche dal fatto che il presidente non è volato in Inghilterra per il match di Champions. In questo clima il Napoli parte per Liverpool dove mercoledì sera affronta i campioni d’Europa. L’allenatore Carlo Ancelotti sa che anche il suo futuro personale è legato alle prossime partite e già il pareggio di San Siro contro il Milan è stato considerato negativamente dal club.

GRANDE ATTESA PER LE PAROLE DI ANCELOTTI

Su questo, ma anche sul clima con cui lo spogliatoio sta vivendo il momento, il tecnico è chiamato a parlare martedì 26 novembre nel pomeriggio a Liverpool, durante la conferenza stampa pre-partita destinata a interrompere il silenzio stampa cominciato proprio nella notte dell’insubordinazione dopo il pari con il Salisburgo. Quella sera Ancelotti andò via senza parlare.

INSIGNE INFORTUNATO, ATTACCO DA INVENTARE

Parlò, prima di sapere della rivolta, Insigne, che rimane a Napoli a causa della contusione al gomito subita a Milano. L’attacco è quindi da inventare, la forza di reazione del gruppo da dimostrare in campo. I 2 mila tifosi azzurri a Liverpool aspettano risposte da Anfield. Poi arriveranno le sentenze del tribunale.

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I sondaggi politici elettorali del 25 novembre 2019

Fratelli d'Italia per la prima volta supera il 10%. Brusca frenata della Lega che perde lo 0,9%. Stabili i partiti di governo.

Fratelli d’Italia continua la sua ascesa nel gradimento degli italiani e per la prima volta nella sua storia in un sondaggio nazionale raggiunge una percentuale a doppia cifra. Il partito di Giorgia Meloni, secondo la rilevazione di Swg per il TgLa7 del 25 novembre, passa dal 9,5% del 18 novembre al 10,1%. La Lega subisce una brusca frenata e perde in una settimana lo 0,9%, scendendo dal 34% al 33,1%. Variazioni meno significative per gli altri partiti, con il Pd che passa dal 18,3% al 18,1%, il M5s dal 16,2% al 16,5% e Forza Italia in calo dal 6,4% al 6%. Italia viva riprende a salire, passando dal 5% al 5,5%.

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L’ultimo sfregio ai tesori di Dresda, la “Firenze sull’Elba”

La rapina alla Camera del Tesoro del palazzo reale è un attacco al patrimonio culturale della città tedesca. Già ampiamente distrutto e trafugato nella Seconda guerra mondiale. Le opere e la storia.

Non sarà il «furto spettacolare di un miliardo di euro» sparato dai tabloid tedeschi, ma è un altro saccheggio per Dresda, un nuovo furto del secolo. «Una perdita di valore inestimabile, storico e artistico. Per gioielli del genere non esiste un valore finanziario», raccontano dal museo dei Tesori del Castello che fu la residenza dei principi e dei re di Sassonia. Le sue sale dalle Volte verdi (Grünes Gewölbe) dal 2006 sono tornate lo scrigno della maggiore collezione di gioielli in Europa: la volle nel 1723 Augusto II il Forte, il principe (poi re di Polonia) che rese la città “la Firenze sull’Elba“. Da una vetrina spaccata nella notte tra il 24 e il 25 novembre sono sparite proprio tre parure di diamanti e brillanti, in tutto un centinaio di pezzi, del tesoro del principe del rinascimento della Sassonia. Tra i gioielli più pregiati si è salvato il grande diamante verde da 41 carati, al Metropolitan di New York dal 18 novembre.

NELLE VOLTE VERDI 3 MILA GIOIELLI

I tesori del palazzo reale di Dresda contano più di 4 mila gioielli, circa 3 mila dei quali (non tutti esposti) nelle sale della Grünes Gewölbe, con altre opere in oro, argento e preziosi. Per la Germania, e più che mai per la città, la rapina nel museo è uno choc dopo lo choc: Dresda fu rasa al suolo durante la Seconda guerra mondiale, anche parte rilevante del castello andò distrutta e i tesori furono portati a Mosca dall’Armata rossa. Solo anni dopo i gioielli furono restituiti alla Ddr, e le sale interamente ricostruite all’inizio del 2000. Per il museo della Grünes Gewölbe sono stati spesi 45 milioni di euro: con la Pinacoteca dello Zwinger è diventata la maggiore attrazione dei visitatori di Dresda, ma la storia tormentata dei suoi tesori non ha avuto fine. Per i cristiano-democratici che governano il Land la rapina è «un attentato all’identità culturale di tutta la Sassonia».

Dresda furto gioielli arte
Il furto dei Tesori al palazzo reale di Dresda. GETTY.

I PRECEDENTI DEI MUNCH E DEI VAN GOGH RECUPERATI 

L’allarme del furto è partito all’alba, attorno alle 5. La Bild ha riportato l’indiscrezione (non confermata) di una centralina elettrica collegata al complesso sabotata nella notte. I ladri – «un gruppo di diversi sconosciuti», ha comunicato il governo del Land – sarebbero poi entrati da una finestra nel museo. Anche per la polizia criminale il caso è «grosso». Ma non è il furto più eclatante di opere d’arte, neanche negli ultimi decenni: fece scalpore, nel 2004, l’assalto al Museo Munch di Stoccolma, da parte di due uomini armati, sotto gli occhi dei visitatori. L’Urlo fu recuperato, ma i danni alla tela si sono rivelati irreparabili. Un altro furto spettacolare fu messo a segno nel 1991 al Van Gogh Museum di Amsterdam, dove un rapinatore chiuso in bagno riuscì a trafugare 20 dipinti del genio olandese, con l’aiuto di un basista. Quadri ritrovati poche ore dopo in un’auto.

La Monna Lisa di Leonardo da Vinci fu portata via dal Louvre nel 1911 dal decoratore italiano Vincenzo Peruggia

LA GIOCONDA RUBATA E RITROVATA

Altri capolavori rubati da gallerie o musei sono riemersi tempo dopo, su segnalazioni o alle aste. Accadde così anche per il furto d’arte di tutti i secoli: la Monna Lisa di Leonardo da Vinci portata via dal Louvre nel 1911. Il decoratore italiano Vincenzo Peruggia si infilò in uno sgabuzzino del museo, dopo la chiusura sfilò la Gioconda dalla cornice e se la infilò sotto il camice, scappando da una porta sul retro. Un atto di «patriottismo», dichiarò un paio di anni dopo, intercettato mentre tentava di rivenderla agli Uffizi. Un altro da Vinci, valutato 70 milioni di euro, sparì da un castello scozzese nel 2003 e fu rinvenuto in una perquisizione a Glasgow nel 2007. Altre opere non sono invece mai tornate a casa, come il Manet e il Vermeer trafugati nel 1990 al Gardner Museum di Boston. O come, a proposito di Germania, la moneta d’oro da 100 chili sparita nel 2017 dal Bode Museum di Berlino.

Dresda furto gioielli arte
Le sale delle Volte verdi, nel Castello di Dresda, contengono più di 3 mila preziosi. (Getty)

IL RINASCIMENTO SULL’ELBA

O almeno non sono ancora tornati, ma gli inquirenti dubitano di ritrovare Big Maple Leaf. I quattro autori sono stati arrestati in un mega blitz, ma è probabile che il quintale d’oro da un milione di euro sia stato fuso appena dopo il furto. Anche in questo caso, i ladri sarebbero entrati di notte da una finestra, beffando in un modo o nell’altro il sistema d’allarme: si parlò del «colpo alla moneta più grande del mondo». Quanto al palazzo reale di Dresda, ospita una collezione di gioielli meno nota, per esempio, della Camera del tesoro imperiale di Vienna. Ma come quella dell’Hofburg tra le più antiche e belle d’Europa. Lo splendore neoclassico e barocco, anche degli edifici della città, voluto da Augusto II il Forte ha molto dell’Italia: sotto il suo assolutismo la città sull’Elba visse un rinascimento. Il principe commissionò i lavori ad architetti che avevano studiato il barocco a Firenze, da Michelangelo e dal Bernini.

La Sempergalerie della pinacoteca Zwinger fu progettata ricalcando gli Uffizi, per ospitare centinaia di opere d’arte del 1400, 1550 e 1600

I PALAZZI IN STILE FIORENTINO

Per la cattedrale cattolica, che nella cripta ospita Augusto II il forte e altri membri della casata, fu incaricato l’architetto Gaetano Chiaveri che per il cantiere trasferì a Dresda tutte le maestranze. Diverse ville e palazzi della nobiltà, bombardati nei raid del 1945, furono costruiti sul modello dei palazzi fiorentini. La Sempergalerie della pinacoteca Zwinger fu progettata ricalcando gli Uffizi, per ospitare centinaia di opere d’arte del 1400, 1550 e 1600, diverse anche del Rinascimento italiano. Della collezione inestimabile di Dresda fanno parte capolavori di Tiziano, Raffaello, del Correggio e del Mantegna: opere accumulate nei palazzi, come i gioielli della Camera del tesoro, per la sete estetica anche del figlio e successore di Augusto II il forte, Augusto III. La rapina al palazzo reale è una nuova ferita per Dresda, per la Germania il «furto peggiore dalla Seconda guerra mondiale».

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Roberto Tomasi è il nuovo amministratore delegato di Autostrade

La scelta del consiglio di amministrazione della società.

Roberto Tomasi, come annunciato a gennaio 2019 da Autostrade per l’Italia, è stato ufficialmente nominato come nuovo amministratore delegato della società. Il consiglio di amministrazione si è riunito il 25 novembre per la prima volta sotto la presidenza dell’ingegner Giuliano Mari, dopo il rinnovo deciso venerdì dall’assemblea degli azionisti.

In quell’occasione i vicepresidenti di Autostrade Giancarlo Guenzi, direttore generale di Atlantia, e Michelangelo Damasco, general counselor di Atlantia, nonché il consigliere Amedeo Gagliardi, direttore legale di Autostrade, hanno rassegnato le dimissioni.

L’assemblea aveva stabilito che il cda sarebbe stato composto da 11 persone, nominando per gli esercizi 2019-2020-2021 Giuliano Mari, Roberto Tomasi, Tommaso Barracco, Carlo Bertazzo, Massimo Bianchi, Roberto Pistorelli, Elisabetta De Bernardi Di Valserra, Nicola Rossi e Antonino Turicchi, tratti dalla lista presentata da Atlantia; Christoph Holzer, dalla lista presentata da Appia Investments; e Hongcheng Li, dalla lista presentata dal socio Silk Road Fund.

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Da Londra a Barcellona: la corsa a ostacoli di Uber in Ue

La app di trasporto ha già avuto difficoltà in Germania, Spagna, Regno Unito, Belgio, Danimarca, Bulgaria e Ungheria. Una sentenza della Corte Ue lascia largo margine alle città.

La fine della proroga per l’utilizzo della licenza a Londra per Uber è solo l’ennesimo ostacolo per la app di trasporto auto con conducente in Ue anche se quella che pesa di più tra le città per numero di autisti coinvolti e di corse effettuate.

BRUXELLES TRA LE PRIME A LIMITARE IL SERVIZIO

Tra le città che hanno limitato l’ingresso di Uber per prime è stata Bruxelles: nel 2014, infatti, la giustizia belga ha messo al bando l’applicazione dopo le proteste dei tassisti dato che il nuovo servizio auto non era in possesso della licenza.

IN GERMANIA DISPONIBILE SOLO IN ALCUNE CITTÀ

Il nuovo piano Taxi in Belgio prevede ora un servizio Uber limousine, mentre continua ad essere vietato Uberpop, il servizio meno costoso, condotto da guidatori non professionisti. In Germania il servizio Uber è disponibile in quattro delle principali città (tra le quali Berlino e Monaco) mentre non è disponibile in numerose altre città.

BARCELLONA ABBANDONATA DA UBER

Uber ha avuto difficoltà in Danimarca, Bulgaria e Ungheria mentre ha deciso di abbandonare Barcellona dopo che sono cambiate le regole rendendo il servizio poco vantaggioso per l’azienda.

LA SENTENZA DELLA CORTE UE CHE DÀ LIBERTÀ ALLE CITTÀ

Ad aprile la Corte Ue ha stabilito che gli Stati membri «possono vietare e reprimere penalmente l’esercizio illegale dell’attività di trasporto nell’ambito del servizio UberPop senza dover previamente notificare alla Commissione il progetto di legge che stabilisce il divieto e le sanzioni penali per tale esercizio». Il servizio Uberpop viene considerato rientrante nel «settore dei trasporti» e non in quello dei servizi digitali, che invece richiederebbe una notifica in base alla direttiva «società dell’informazione».

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Da Londra a Barcellona: la corsa a ostacoli di Uber in Ue

La app di trasporto ha già avuto difficoltà in Germania, Spagna, Regno Unito, Belgio, Danimarca, Bulgaria e Ungheria. Una sentenza della Corte Ue lascia largo margine alle città.

La fine della proroga per l’utilizzo della licenza a Londra per Uber è solo l’ennesimo ostacolo per la app di trasporto auto con conducente in Ue anche se quella che pesa di più tra le città per numero di autisti coinvolti e di corse effettuate.

BRUXELLES TRA LE PRIME A LIMITARE IL SERVIZIO

Tra le città che hanno limitato l’ingresso di Uber per prime è stata Bruxelles: nel 2014, infatti, la giustizia belga ha messo al bando l’applicazione dopo le proteste dei tassisti dato che il nuovo servizio auto non era in possesso della licenza.

IN GERMANIA DISPONIBILE SOLO IN ALCUNE CITTÀ

Il nuovo piano Taxi in Belgio prevede ora un servizio Uber limousine, mentre continua ad essere vietato Uberpop, il servizio meno costoso, condotto da guidatori non professionisti. In Germania il servizio Uber è disponibile in quattro delle principali città (tra le quali Berlino e Monaco) mentre non è disponibile in numerose altre città.

BARCELLONA ABBANDONATA DA UBER

Uber ha avuto difficoltà in Danimarca, Bulgaria e Ungheria mentre ha deciso di abbandonare Barcellona dopo che sono cambiate le regole rendendo il servizio poco vantaggioso per l’azienda.

LA SENTENZA DELLA CORTE UE CHE DÀ LIBERTÀ ALLE CITTÀ

Ad aprile la Corte Ue ha stabilito che gli Stati membri «possono vietare e reprimere penalmente l’esercizio illegale dell’attività di trasporto nell’ambito del servizio UberPop senza dover previamente notificare alla Commissione il progetto di legge che stabilisce il divieto e le sanzioni penali per tale esercizio». Il servizio Uberpop viene considerato rientrante nel «settore dei trasporti» e non in quello dei servizi digitali, che invece richiederebbe una notifica in base alla direttiva «società dell’informazione».

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Tiffany è un mito appannato. E Arnault lo sa bene

Il patron del lusso ha acquistato strapagandolo il marchio reso celebre dal romanzo di Capote e dal film. Ma che negli anni ha perso il suo fascino presso i millenial riducendosi a rivenditore di oggetti per la casa e gadget d’argento per signori di mezza età.

Dopo otto anni di tentativi Bernard Arnault ha comprato Tiffany, strapagandolo, e siamo in attesa di capire che straordinaria immissione di denaro dovrà fare per recuperarne l’immagine e il posizionamento, perché dubitiamo che voglia mantenerlo nel novero del produttore di oggetti per la casa e gadget d’argento per signori di mezza età in cui è scivolato negli ultimi decenni, l’ultimo in particolare e in particolare in Europa.

UNA LEGGENDA APPANNATA

Anni di sonaglini per neonati, di medagliette a 160 euro e di tagliasigari per nostalgici hanno polverizzato lo straordinario capitale di marca dato da quel titolo letterario e geniale 50 anni fa. E i volenterosi tentativi di Daniella Vitale per rivitalizzare la marca nel Vecchio Continente fino a oggi non sono stati coronati da clamorosi successi (la chief brand officer, prima signora ai vertici di Tiffany dalla fondazione nel 1837, è arrivata nel 2017 in Fifth Avenue dalla Madison, e per la precisione da Barneys, il grande magazzino fallito, diciamo non proprio un biglietto da visita eccezionale).

UNA COLAZIONE CHE HA PERSO APPEAL

Cartier, come rilevava l’analista indiana Rhada Chahda qualche anno fa, è sinonimo di lusso nel gioiello soprattutto in Asia. Altrove, le reazioni sono “mixed”. E poi ci sono i giovani, anzi, ci sono innanzitutto loro.

Chiedete a un 20enne se abbia mai letto Colazione da Tiffany e 99 volte su 100 vi dirà di no. Di solito ignora perfino che all’origine del film vi sia un racconto. Truman Capote, il White Ball, i cigni: chi sono, anzi, chi sono stati. Anche sul celeberrimo film, che pure del racconto ha poco e niente e sembra fatto solo per soddisfare la pruderie americana degli Anni 60, le nozioni sono vaghe e confuse (il tema di fondo è quello di Peccato che sia una sgualdrina, commedia elisabettiana di John Ford, ma sfidiamo chiunque a capire dalla sceneggiatura come Audrey Hepburn si paghi gli abiti di alta sartoria).

Audrey Hepburn sul set di Colazione da Tiffany.

I MILLENNIAL NON CONOSCONO LA STORIA DEL MARCHIO NÉ IL ROMANZO

Per tutto il resto, cioè per le pietre, i gioielli, i nomi di riferimento a livello mondiale sono altri. Marilyn Monroe non lo citerebbe più prima di «Cartier» e di Harry Winston «tell me all about it».

La mappa del posizionamento mondiale della gioielleria è profondamente cambiato dai tempo dei diamanti che sono i migliori amici delle ragazze, e ai vertici di questa piramide si trovano Van Cleef&Arpels, ancora Cartier oppure, Bulgari, che in questa ultima acquisizione di Arnault entra certamente più di quanto si creda, visto che l’amministratore delegato Alessandro Bogliolo è un ex-Bulgari e due anni fa venne chiamato in Tiffany da Francesco Trapani, nipote di Paolo e Nicola Bulgari, che per molti anni guidò l’azienda di famiglia prima di cederla ad Arnault.

LA SCELTA STRATEGICA DI LVMH

Il duo Bogliolo-Trapani ha certamente favorito il deal, benché il prezzo di 135 dollari per azione pagato dal patron di Lvmh Bernard Arnault, con un premio di maggioranza di 9,5 dollari rispetto al valore di chiusura del titolo di venerdì scorso a 125,5 dollari (li pagherà cash per una transazione totale di 16,2 miliardi di dollari che verrà completata entro i primi mesi del 2020), rappresentano un prezzo amateur. Da collezionista. Per Lmvh si tratta della maggiore acquisizione mai effettuata, superiore anche all’acquisto dell’ultima quota di Christian Dior nel 2017. Addirittura superiore di tre volte rispetto a quanto pagato per rilevare Bulgari nel 2011 (4,3 miliardi di euro), quando l’approccio fu simile anche nelle tempistiche “da week end”.

TIFFANY, RICAVI IN DISCESA

«L’acquisizione di Tiffany», si legge nella nota diffusa, «rafforzerà la posizione di Lvmh nella gioielleria e aumenterà ulteriormente la sua impronta negli Stati Uniti. L’aggiunta di Tiffany trasformerà la divisione Watches & Jewelry di Lvmh e va a completare le 75 distinguished houses del gruppo», che nel settore specifico comprendono per l’appunto Bulgari, ma anche Tag Heuer, Zenith, Fred, Hublot, Chaumet. Una scelta, dunque, strategica, effettuata sia per accorciare le distanze dal gruppo Richemont (appunto Cartier e Van Cleef) sia per rafforzarsi nel segmento, fra i più profittevoli del 2018, con una crescita del 7%. Nello stesso periodo, Tiffany è andata in controtendenza; nei primi sei mesi del 2019 ha perso il 3% dei ricavi, scesi a 2,1 miliardi di dollari.

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Tiffany è un mito appannato. E Arnault lo sa bene

Il patron del lusso ha acquistato strapagandolo il marchio reso celebre dal romanzo di Capote e dal film. Ma che negli anni ha perso il suo fascino presso i millenial riducendosi a rivenditore di oggetti per la casa e gadget d’argento per signori di mezza età.

Dopo otto anni di tentativi Bernard Arnault ha comprato Tiffany, strapagandolo, e siamo in attesa di capire che straordinaria immissione di denaro dovrà fare per recuperarne l’immagine e il posizionamento, perché dubitiamo che voglia mantenerlo nel novero del produttore di oggetti per la casa e gadget d’argento per signori di mezza età in cui è scivolato negli ultimi decenni, l’ultimo in particolare e in particolare in Europa.

UNA LEGGENDA APPANNATA

Anni di sonaglini per neonati, di medagliette a 160 euro e di tagliasigari per nostalgici hanno polverizzato lo straordinario capitale di marca dato da quel titolo letterario e geniale 50 anni fa. E i volenterosi tentativi di Daniella Vitale per rivitalizzare la marca nel Vecchio Continente fino a oggi non sono stati coronati da clamorosi successi (la chief brand officer, prima signora ai vertici di Tiffany dalla fondazione nel 1837, è arrivata nel 2017 in Fifth Avenue dalla Madison, e per la precisione da Barneys, il grande magazzino fallito, diciamo non proprio un biglietto da visita eccezionale).

UNA COLAZIONE CHE HA PERSO APPEAL

Cartier, come rilevava l’analista indiana Rhada Chahda qualche anno fa, è sinonimo di lusso nel gioiello soprattutto in Asia. Altrove, le reazioni sono “mixed”. E poi ci sono i giovani, anzi, ci sono innanzitutto loro.

Chiedete a un 20enne se abbia mai letto Colazione da Tiffany e 99 volte su 100 vi dirà di no. Di solito ignora perfino che all’origine del film vi sia un racconto. Truman Capote, il White Ball, i cigni: chi sono, anzi, chi sono stati. Anche sul celeberrimo film, che pure del racconto ha poco e niente e sembra fatto solo per soddisfare la pruderie americana degli Anni 60, le nozioni sono vaghe e confuse (il tema di fondo è quello di Peccato che sia una sgualdrina, commedia elisabettiana di John Ford, ma sfidiamo chiunque a capire dalla sceneggiatura come Audrey Hepburn si paghi gli abiti di alta sartoria).

Audrey Hepburn sul set di Colazione da Tiffany.

I MILLENNIAL NON CONOSCONO LA STORIA DEL MARCHIO NÉ IL ROMANZO

Per tutto il resto, cioè per le pietre, i gioielli, i nomi di riferimento a livello mondiale sono altri. Marilyn Monroe non lo citerebbe più prima di «Cartier» e di Harry Winston «tell me all about it».

La mappa del posizionamento mondiale della gioielleria è profondamente cambiato dai tempo dei diamanti che sono i migliori amici delle ragazze, e ai vertici di questa piramide si trovano Van Cleef&Arpels, ancora Cartier oppure, Bulgari, che in questa ultima acquisizione di Arnault entra certamente più di quanto si creda, visto che l’amministratore delegato Alessandro Bogliolo è un ex-Bulgari e due anni fa venne chiamato in Tiffany da Francesco Trapani, nipote di Paolo e Nicola Bulgari, che per molti anni guidò l’azienda di famiglia prima di cederla ad Arnault.

LA SCELTA STRATEGICA DI LVMH

Il duo Bogliolo-Trapani ha certamente favorito il deal, benché il prezzo di 135 dollari per azione pagato dal patron di Lvmh Bernard Arnault, con un premio di maggioranza di 9,5 dollari rispetto al valore di chiusura del titolo di venerdì scorso a 125,5 dollari (li pagherà cash per una transazione totale di 16,2 miliardi di dollari che verrà completata entro i primi mesi del 2020), rappresentano un prezzo amateur. Da collezionista. Per Lmvh si tratta della maggiore acquisizione mai effettuata, superiore anche all’acquisto dell’ultima quota di Christian Dior nel 2017. Addirittura superiore di tre volte rispetto a quanto pagato per rilevare Bulgari nel 2011 (4,3 miliardi di euro), quando l’approccio fu simile anche nelle tempistiche “da week end”.

TIFFANY, RICAVI IN DISCESA

«L’acquisizione di Tiffany», si legge nella nota diffusa, «rafforzerà la posizione di Lvmh nella gioielleria e aumenterà ulteriormente la sua impronta negli Stati Uniti. L’aggiunta di Tiffany trasformerà la divisione Watches & Jewelry di Lvmh e va a completare le 75 distinguished houses del gruppo», che nel settore specifico comprendono per l’appunto Bulgari, ma anche Tag Heuer, Zenith, Fred, Hublot, Chaumet. Una scelta, dunque, strategica, effettuata sia per accorciare le distanze dal gruppo Richemont (appunto Cartier e Van Cleef) sia per rafforzarsi nel segmento, fra i più profittevoli del 2018, con una crescita del 7%. Nello stesso periodo, Tiffany è andata in controtendenza; nei primi sei mesi del 2019 ha perso il 3% dei ricavi, scesi a 2,1 miliardi di dollari.

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