Conte visita l’area Ricerca e Sviluppo Pirelli

Accordo con il Ministero della Giustizia per promuovere il lavoro fra i detenuti.

Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, accompagnato dal Vice Presidente Esecutivo e Amministratore Delegato di Pirelli, Marco Tronchetti Provera, ha visitato il centro di Ricerca & Sviluppo di Pirelli situato nell’Headquarters della società. Alla visita hanno preso parte Andrea Casaluci, General Manager Operations Pirelli, e Maurizio Boiocchi, Executive Vice President and Strategic Advisor Technology and Innovation Pirelli.

IL CENTRO RICERCA E SVILUPPO

Il centro Ricerca & Sviluppo di Milano, a cui si affiancano altri 12 centri nel mondo, rappresenta il principale laboratorio di innovazione di Pirelli e si avvale della professionalità di circa 450 ingegneri e specialisti sugli oltre 1.900 impiegati a livello mondiale. La Ricerca & Sviluppo, cui viene destinato circa il 6% dei ricavi del segmento High Value su cui si concentra la produzione Pirelli, costituisce una fase centrale per la nascita di nuovi prodotti tecnologicamente avanzati e sempre più sostenibili, di processi produttivi all’avanguardia, di materiali innovativi e a basso impatto ambientale, contribuendo in modo determinante a rendere Pirelli un leader di sostenibilità del suo comparto, riconosciuto dalle maggiori società specializzate del settore.

ACCORDO CON IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA PER IL LAVORO AI DETENUTI

Nel corso della visita è stato anche firmato un protocollo d’intesa fra il Ministero della Giustizia -Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e Pirelli finalizzato alla promozione del lavoro per i detenuti da realizzarsi attraverso un programma formativo per la creazione di competenze spendibili nel mondo del lavoro. L’accordo, siglato da Francesco Basentini, Capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, e da Filippo Maria Grasso, Corporate Vice President Global Institutional Affairs & Sustainability di Pirelli, prevede l’impegno delle parti a individuare specifiche attività lavorative da realizzarsi in spazi dedicati all’interno degli istituti penitenziari con l’obiettivo di accrescere le competenze professionali dei detenuti coinvolti in progetti di pubblica utilità e per un futuro inserimento all’interno di Pirelli e, più in generale, nel mercato del lavoro. Il Protocollo d’intenti sottoscritto oggi, le cui modalità esecutive saranno definite entro giugno 2020, e i successivi accordi operativi avranno una validità di tre anni e, con l’accordo delle Parti, potranno essere replicati in collaborazione con soggetti internazionali.

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Armato di coltello aggredisce i passanti nel centro de L’Aja: tre feriti

Attacco in una via dello shopping nel centro della città olandese. Un sospetto è in fuga.

Ci sono tre feriti, si cerca un uomo sui 45-50 anni di carnagione scura. Sono passate poche ore dall’attacco al London Bridge, che ha lasciato dietro di sé due morti più il killer e diversi feriti, quando a twittare l’appello ai cittadini è la polizia dell’Aja. Anche questa volta l’arma è un coltello, anche questa volta in una zona piena di gente e turisti di venerdì sera. Anche in questo caso l’intervento della polizia è stato immediato: la zona è stata chiusa, mentre la gente fuggiva terrorizzata.

Ambulanze ed elicotteri hanno trasformato Grote Marktstraat, la via dello shopping particolarmente affollata nel giorno del Black Friday, in una strada deserta e blindata. A terra, davanti al centro commerciale Hutsons Bay, alcuni feriti, soccorsi dalle ambulanze. Immagini immediatamente rilanciate sui social. Dell’attentatore, al momento si sa poco o nulla.

RICERCATO UN UOMO DI CARNAGIONE SCURA DI 45 – 50 ANNI

La polizia olandese ha pubblicato su Twitter un appello in cui chiede informazioni su un uomo di carnagione scura di circa 45-50 anni che indossa una sciarpa e una tuta da jogging grigia. Secondo alcune testimonianze, avrebbe scelto a caso le sue vittime. Ma dopo l’attacco sembra essere sparito nel nulla. Un attacco che ha fatto ripiombare l’Aja nella paura, riportando alla mente l’attentato del maggio del 2018, quando gridando Allah Akbar un uomo ha accoltellato tre passanti. In quell’occasione si parlò di uno squilibrato. In questo caso, secondo la polizia, «non è ancora chiaro se si sia trattato di un atto terroristico»

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Il manifesto delle squadre di Serie A contro il razzismo

I 20 club hanno firmato un documento in cui si impegnano a combattere la discriminazione. Ma spesso sono i primi a sminuire gli episodi che avvengono nelle loro curve.

Dalla Juventus al Verona, dal Napoli all’Atalanta, dalla Roma all’Inter e via dicendo, i 20 club di serie A uniti contro il razzismo che nelle ultime settimane è tornato prepotentemente protagonista sui campi di calcio. Dagli insulti a Lukaku a quelli a Balotelli, il mondo del calcio si interroga e decide di affrontare il tema in prima persona facendo anche seguito alla proposta del presidente della Figc, Gabriele Gravina, per il progetto dei pannelli acustici che potranno individuare così i responsabili di cori e insulti razzisti durante le partite. «La Lega Serie A sta lavorando sodo su questo tema, ed è pronta a guidare la lotta al razzismo all’interno e all’esterno degli stadi», ha sottolineato l’ad della Lega di A, Luigi De Siervo. I 20 club di serie A hanno condiviso oggi, sui propri siti ufficiali, una lettera aperta «a tutti coloro che amano il calcio italiano per chiedere aiuto nel combattere il razzismo».

IL DOVEROSO MEA CULPA DELLE SQUADRE

Un documento con cui si impegnano «pubblicamente a fare meglio», chiedendo «una efficace policy contro il razzismo, con nuove leggi e regolamenti». La lettera inizia con un’ammissione di colpa: «Dobbiamo riconoscere che abbiamo un serio problema con il razzismo negli stadi italiani e che non l’abbiamo combattuto a sufficienza nel corso di questi anni». Un mea culpa doveroso, soprattutto dal momento che i club spesso e volentieri sono i primi a non voler ammettere o a sminuire episodi di razzismo quando questi accadono tra le loro tifoserie. «Anche in questa stagione, le immagini del nostro calcio, in cui alcuni giocatori sono stati vittime di insulti razzisti, hanno fatto il giro del mondo, scatenando ovunque dibattito», prosegue la lettera pubblicata dai club sui rispettivi siti, «è motivo di frustrazione e vergogna per tutti noi. Nel calcio, così come nella vita, nessuno dovrebbe mai subire insulti di natura razzista. Non possiamo più restare passivi e aspettare che tutto questo svanisca».

«DESIDERIO DI SERI CAMBIAMENTI»

«Su spinta degli stessi club, nelle ultime settimane, è stato avviato un confronto costruttivo con Lega Serie A, Figc ed esperti internazionali su come affrontare e sradicare questo problema dal mondo del calcio», si sottolinea quindi nel documento, «noi, i club che sottoscrivono questa lettera, siamo uniti dal desiderio di seri cambiamenti e la Lega Serie A ha dichiarato la sua intenzione di guidare questo percorso attraverso una solida e completa politica anti-razzismo in Serie A, con nuove leggi e regolamenti più severi, assieme a un piano di sensibilizzazione mirato per tutti coloro che sono coinvolti in questo sport riguardo al flagello del razzismo».

«NON C’È PIÙ TEMPO DA PERDERE»

«Non abbiamo più tempo da perdere», conclude la lettera, «dobbiamo agire uniti con rapidità e determinazione, e così faremo di qui in avanti. Ora più che mai il contributo e il sostegno di tutti voi, tifosi dei nostri club e del calcio italiano, sarà fondamentale in questo sforzo di vitale importanza».

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Il clan Fasciani è la mafia di Ostia: la sentenza definitiva della Cassazione

Per la prima volta riconosciuta l'organizzazione criminale autoctonia della capitale. Raggi: «Sentenza storica».

Per la prima volta viene riconosciuta al massimo grado della giustizia italiana la presenza della mafia a Roma. La seconda sezione penale della Cassazione ha confermato che il clan Fasciani è la mafia di Ostia, rendendo definitive le 10 condanne a vario titolo per associazione mafiosa e altri reati aggravati dall’uso del metodo mafioso e confermando in grand parte quanto stabilito dalla sentenza della Corte d’appello di Roma del 4 febbraio scorso.

27 ANNI DI RECLUSIONE CONFERMATI A CARMINE FASCIANI

Oltre 27 anni di reclusione al ‘patriarca’ Carmine Fasciani, 12 anni e 5 mesi alla moglie Silvia Franca Bartoli, 11 anni e 4 mesi alla figlia Sabrina e 6 anni e dieci mesi alla figlia Azzurra. Il collegio della seconda sezione penale della Cassazione, presieduta da Giovanni Diotallevi, ha condannato anche Alessandro Fasciani, nipote di Carmine, a 10 anni e cinque mesi (con uno sconto di pena di un mese), Terenzio Fasciani (8 anni e mezzo), Riccardo Sibio (25 anni e mezzo), Luciano Bitti (13 anni e tre mesi), a John Gilberto Colabella 13 anni, Danilo Anselmi 7 anni. Ci sarà un nuovo processo per la determinazione della pena a Mirko Mazzoni ed Eugenio Ferramo.

RAGGI: «SENTENZA STORICA»

La sindaca di Roma ha commentato: «È una sentenze storica, per la prima volta viene affermato in modo chiaro che a Roma c’è stata, che c’è, la mafia. È importante perché per iniziare la cura bisogna riconoscere la malattia. Ostia può voltare pagina e alzare la testa». L’avvocato Giulio Vasaturo, di Libera che è parte civile nel processo: «È la prima volta che la Cassazione riconosce la mafia a Roma, non era mai accaduto, nemmeno ai tempi della banda della Magliana». «Segna un nuovo corso della giurisprudenza. Vengono riconosciute le mafie autoctone al centro e al nord. È una sentenza che farà scuola», ha aggiunto il legale..

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La conferenza stampa di Wong fa litigare Italia e Cina

Il collegamento video dell'attivista di Hong Kong fa irritare Pechino. Che definisce «irresponsabili» i parlamentari che l'hanno organizzato. La Farnesina: «Ingerenza inaccettabile».

Duro botta e risposta tra Italia e Cina su Hong Kong. Al centro del contendere, la conferenza stampa in collegamento video tenuta il 28 novembre dall’attivista e volto delle manifestazioni pro-democrazia nell’ex colonia Joshua Wong. Una conferenza che ha irritato non poco Pechino. «Wong ha distorto la realtà, legittimato la violenza e chiesto l’ingerenza di forze straniere negli affari di Hong Kong», ha dichiarato l’ambasciata cinese in un tweet. «I politici italiani che hanno fatto la videoconferenza con lui hanno tenuto un comportamento irresponsabile».

Pronta la replica della Farnesina. «Dichiarazioni quali quelle rese dal portavoce dell’ambasciata della Repubblica Popolare Cinese a Roma sono del tutto inaccettabili e totalmente irrispettose della sovranità del parlamento italiano», hanno dichiarato fonti della Farnesina sentite dall’Ansa, spiegando che all’ambasciatore cinese a Roma è stato espresso «forte disappunto per quella che è considerata una indebita ingerenza nella dialettica politica e parlamentare italiana».

LA CONFERENZA STAMPA ORGANIZZATA DA FDI E RADICALI

La conferenza stampa di Wong, tenuta nella Sala Caduti di Nassirya del Senato della Repubblica, è stata organizzata da Fratelli d’Italia e dal Partito Radicale e promossa dal senatore di FdI e vicepresidente del Copasir, Adolfo Urso, da Laura Harth, rappresentante del Partito Radicale presso l’Onu, e da Giulio Terzi di Sant’Agata, diplomatico e già ministro degli Esteri nel governo Monti. Sono intervenuti, tra gli altri, anche i parlamentari Enrico Aimi (Forza Italia) e Valeria Fedeli (Partito Democratico).

La Via della Seta non è altro che una strategia della Cina per influenzare i Paesi

Joshua Wong

Tra le altre cose, nel suo collegamento Wong ha accusato l’Italia di fornire alla polizia di Hong Kong mezzi per la «repressione» dei manifestanti; al tempo stesso, ha messo in guardia il governo di Roma, invitandolo a «stare attento in particolare al progetto Belt and Road Inititative, la Via della Seta. Non è altro che una strategia della Cina per influenzare i Paesi».

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Von der Leyen: «No allo scorporo degli investimenti verdi dal deficit»

La tedesca non apre alla flessibilità di bilancio sugli investimenti verdi perché vi sarebbe «da parte degli Stati la tentazione di fare del green washing», un ambientalismo di facciata.

In un’intervista al Sole 24 Ore e altri quotidiani stranieri Ursula Von der Leyen ha messo fine alle speranze di chi voleva la riconversione verde non calcolata dalle spese in deficit. «No allo scorporo degli investimenti green dal calcolo del deficit», ha affermato la neo presidente della Commissione. La tedesca non apre alla flessibilità di bilancio sugli investimenti verdi perché vi sarebbe «da parte degli Stati la tentazione di fare del green washing», un ambientalismo di facciata. E aggiunge che già «c’è sufficiente margine di manovra nel Patto a favore degli investimenti».

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Elkann si compra Gedi dai De Benedetti

I fratelli avrebbero deciso di vendere il gruppo che edita Repubblica, La Stampa e l'Espresso al rampollo Agnelli. Lo fa sapere Dagospia.

I fratelli De Benedetti avrebbero deciso di vendere il gruppo Gedi (Repubblica, Stampa, Espresso) a John Elkann. Lo fa sapere Dagospia. L’affare sarebbe stato deciso ieri a Milano e la cifra messa sul piatto dal presidente di Fca sarebbe stata di quelle che non si possono rifiutare.

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Come funziona il sorteggio per l’Europeo di calcio 2020

Dalla suddivisione in fasce al fattore campo: così prende forma la prima edizione itinerante nella storia. Per l'Italia i pericoli maggiori sono Francia e Portogallo. La guida completa.

È tutto pronto per il sorteggio dell’Europeo di calcio 2020. Per la prima volta, la competizione continentale per nazionali sarà itinerante: apertura all’Olimpico di Roma venerdì 12 giugno, chiusura a Wembley (dove, oltre alla finale, si disputeranno anche le semifinali) il 12 luglio. In mezzo altre 10 città ospitanti. Ecco le cose da sapere sul sorteggio in programma sabato 30 novembre 2019 a Bucarest (diretta tv su Sky).

COME SONO DIVISE LE FASCE E COME SI FORMANO I GRUPPI

I gironi sono sei. Al sorteggio accedono le prime due classificate nei 10 gironi di qualificazione e le quattro vincenti degli spareggi in programma a marzo 2020: una tra Islanda, Bulgaria, Ungheria, Romania (Spareggio A); una tra Bosnia, Slovacchia, Irlanda, Irlanda del Nord (B); una tra Scozia, Norvegia, Serbia, Israele (C); una tra Georgia, Macedonia del Nord, Kosovo, Bielorussia (D). Le 24 squadre sono divise in quattro fasce. Eccole, di seguito.

FASCIA 1FASCIA 2FASCIA 3FASCIA 4
BelgioFranciaPortogalloGalles
ITALIAPoloniaTurchiaFinlandia
InghilterraSvizzeraDanimarcaVinc. Spareggio A
GermaniaCroaziaAustriaVinc. Spareggio B
SpagnaOlandaSveziaVinc. Spareggio C
UcrainaRussiaRep. CecaVinc. Spareggio D
  • In grassetto, le nazioni ospitanti. Altre quattro (Romania, Scozia, Irlanda e Ungheria) sono coinvolte negli spareggi.

CHI RISCHIA DI INCROCIARE L’ITALIA DI MANCINI

L’Italia – come si vede dalla tabella – è testa di serie, reduce da un girone di qualificazione a punteggio pieno (unico caso col Belgio). Tuttavia, il meccanismo di fasce non mette la nazionale di Roberto Mancini al riparo da rischi concreti. Il peggiore dei gironi possibili riserverebbe all’Italia la Francia campione del mondo (in seconda fascia), il Portogallo di Cristiano Ronaldo e il Galles di Aaron Ramsey e Gareth Bale. L’Italia può pescare una tra Francia, Polonia, Svizzera e Croazia; una tra Portogallo, Turchia, Austria, Svezia e Repubblica Ceca; e come quarta Finlandia o Galles.

COME FUNZIONA IL FATTORE CAMPO E CHI NE BENEFICIA

Alle nazionali ospitanti è già stato assegnato automaticamente il proprio girone. L’Italia è nel gruppo A; Russia e Danimarca nel B; l’Olanda nel C; l’Inghilterra nel D; la Spagna nell’E; la Germania nel gruppo F. In caso di qualificazione, la Romania è destinata al gruppo C, la Scozia al D, l’Irlanda all’E e l’Ungheria all’F. L’Italia disputa in casa (all’Olimpico) le tre gare del girone, come anche Olanda, Inghilterra, Spagna e Germania e Danimarca. La Russia, invece, ne gioca due – come ha stabilito un sorteggio -, essendo nel girone con la Danimarca. Anche Romania, Scozia, Irlanda e Ungheria disputerebbero in casa due partite nel caso in cui si qualificassero. Dopo i gironi, si passa agli scontri diretti. Si qualificano agli ottavi le prime due e quattro migliori terze.

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Il razzismo sulla calciatrice della Juventus Aluko scuote Torino

L'attaccante nigeriana naturalizzata britannica saluta l'Italia dopo un anno e mezzo: «Città indietro di decenni, io trattata come una ladra o tipo Escobar». La sindaca Appendino: «Parole che pesano, ma la colpa è solo di alcune persone».

Italia e calcio, anno 2019: un altro caso di razzismo. Questa volta non riguarda il mondo maschile del pallone, ma ha coinvolto una giocatrice della Juventus femminile: Eniola Aluko, 32enne nigeriana naturalizzata britannica. Era arrivata in bianconero soltanto a giugno 2018. Ma ha già detto addio per tornare in Inghilterra. E tra i motivi ci sono anche le discriminazioni che ha subito qui da noi.

«NEI NEGOZI SI ASPETTAVANO CHE RUBASSI»

«A volte Torino sembra un paio di decenni indietro nei confronti dei differenti tipi di persona. Sono stanca di entrare nei negozi e avere la sensazione che il titolare si aspetti che io rubi», ha detto Aluko in una intervista al Guardian che ha fatto molto discutere. «Ci sono non poche volte in cui arrivi all’aeroporto e i cani antidroga ti fiutano come se fossi Pablo Escobar».

«IL RAZZISMO È PARTE DELLA CULTURA DEL TIFO»

L’attaccante ha precisato «di non avere avuto esperienza di razzismo dai tifosi della Juventus né tantomeno nel campionato di calcio femminile, ma il tema in Italia e nel calcio italiano c’è ed è la risposta a questo che veramente mi preoccupa, dai presidenti ai tifosi del calcio maschile che lo vedono come parte della cultura del tifo». “Eni” ha invitato la società, per continuare ad attrarre i talenti dell’Europa dall’Italia, a «farli sentire a casa». Questa infatti «è una parte importante di un progetto a lungo termine».

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Eniola Aluko quando giocava in Inghilterra. (Getty)

APPENDINO: «TORINO HA UNA STORIA DI PORTE APERTE»

La sindaca di Torino Chiara Appendino è intervenuta sul caso dicendo che le sue parole «pesano come un macigno». Su Facebook ha ricordato che quella della città piemontese è «storia di porte aperte». Ma «purtroppo nel nostro Paese episodi di discriminazione sono tornati a diffondersi, a essere tornata indietro però non è la città, solo alcune persone che non rappresentano che loro stesse. Torino non si rassegna».

Si è tornati a legittimare pensieri e comportamenti che dovevano rimanere sepolti per sempre


Chiara Appendino

Poi la sindaca ha aggiunto: «Negli ultimi tempi qualcosa in Italia è cambiato. In alcuni frangenti si è tornati a legittimare pensieri e comportamenti che dovevano rimanere sepolti per sempre, nelle pagine più vergognose dei libri di storia. Studiati sempre troppo poco». E ancora: «Non mi rassegno io, non si rassegnano migliaia di cittadini che quei pensieri li combattono ogni giorno, non si rassegna Torino. Perché Torino non è così».

La sindaca di Torino Chiara Appendino.

«SERVONO RISPOSTE CULTURALI E POLITICHE»

Com’è allora Torino? «Consapevole delle difficoltà, ma profondamente determinata nel rifiutare che queste possano essere ridotte al colore della pelle, alla religione, o a qualsiasi altra caratteristica della persona», ha concluso Appendino. «Rimango convinta che la discriminazione si combatta con risposte culturali e politiche, a tutti i livelli, che non possono tardare ad arrivare. La città proseguirà nel suo costante impegno in questa direzione, con tutti gli strumenti a sua disposizione».

ASCANI DEL PD: «UN COLPO AL CUORE»

La viceministra dell’Istruzione Anna Ascani del Partito democratico ha detto sempre su Facebook: «Il clima di intolleranza nel nostro Paese sta diventando insostenibile. La lettera con la quale la calciatrice della Juventus Eniola Aluko annuncia di lasciare l’Italia per questa motivazione è davvero un colpo al cuore. Mi ha colpito la frase “mi sono stancata di entrare nei negozi e sentirmi come se il proprietario si aspettasse che potessi rubare qualcosa”. Perché, davvero, fa capire come ci si sente, nella vita di tutti i giorni. E stupisce che tutto questo avvenga oggi, nel 2019».

La scuola ha molto da insegnarci: è il luogo dell’inclusione e dell’accoglienza. I bambini non fanno differenze


Anna Ascani, viceministra dell’Istruzione

Quindi Ascani ha osservato: «Davvero incredibile come stiamo tornando indietro. È inaccettabile. Non possiamo permetterlo. Per questo la sua denuncia va presa sul serio: in Italia esiste un problema “razzismo” nel calcio, e non solo. E deve farci riflettere tutti. E soprattutto deve farci reagire. La scuola da questo punto di vista ha molto da insegnarci: è il luogo dell’inclusione e dell’accoglienza. I bambini non fanno differenze. Dobbiamo chiederci dove il sistema fallisce e intervenire immediatamente. Dobbiamo garantire il rispetto dei diritti di ogni persona. È il razzismo che se ne deve andare via dal nostro Paese!».

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Volano stracci tra Erdogan e Macron alla vigilia del summit Nato

Il presidente della Turchia ha definito l'omologo francese in «stato di morte cerebrale», riciclando l'espressione usata dal capo dell'Eliseo per descrivere l'Alleanza Atlantica. Parigi convoca l'ambasciatore turco.

«Il presidente francese Emmanuel Macron ha detto che la Nato è in stato di morte cerebrale. Macron, ascolta cosa ti dico dalla Turchia, lo dirò anche alla Nato: prima di tutto fai controllare la tua morte cerebrale», ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan dopo le critiche di Macron all’offensiva di Ankara contro le milizie curde in Siria. «Queste dichiarazioni sono adatte solo a persone come te che sono in stato di morte cerebrale. Non rispetti i tuoi obblighi nella Nato, non paghi neppure quello che dovresti pagare alla Nato, ma quando c’è da mettersi in mostra ti metti in mostra», ha aggiunto Erdogan.

«LA FRANCIA NON HA DIRITTO DI STARE IN SIRIA»

«Escludere o non escludere la Turchia dalla Nato… hai l’autorità per prendere una decisione del genere? Tu non ha alcun diritto legittimità a stare laggiù (in Siria). Non ti ha invitato neppure il regime, mentre la sicurezza della Turchia è la sicurezza dell’Europa», ha concluso Erdogan.

L’AMBASCIATORE TURCO CONVOCATO A QUAI D’ORSAY

Per tutta risposta, l’ambasciatore della Turchia in Francia è stato convocato al ministero degli Esteri di Parigi. Per l’Eliseo, «non si tratta di dichiarazioni, sono insulti. L’ambasciatore verrà convocato al ministero per spiegarsi». Il nuovo duello tra Ankara e Parigi rischia di alimentare le tensioni a pochi giorni dal summit Nato della settimana prossima a Londra.

ATTACCHI ANCHE DAL MINISTERO DEGLI ESTERI

Il duro attacco del presidente turco giunge dopo che il suo ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu aveva definito il capo dello Stato francese uno «sponsor del terrorismo», facendo riferimento all’appoggio di Parigi alle milizie curde Ypg, che Ankara considera appunto «terroriste». Cavusoglu aveva anche detto che Macron vorrebbe diventare il capo dell’Europa, ma è in realtà «debole».

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